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ON.

universitarie, allora esiste nell’ordinamento italiano una norma che permette di fumare nelle aule

universitarie. Ossia, qualora si formuli tale principio come una disgiunzione, che per ogni

ordinamento normativo ON e per ogni comportamento p, o è vero che esiste in (appartiene ad) ON

una norma che vieta la commissione (o l’omissione) di p, o è vero che esiste in (appartiene ad) ON

una norma che permette la commissione (o l’omissione) di Ad es. ‘O esiste nell’ordinamento

p.

o esiste nell’ordinamento italiano una

italiano una norma che vieta di fumare nelle aule universitarie

norma che permette di fumare nelle aule universitarie.

Così inteso il principio di proibizione non è analiticamente vero.

Si considerino le seguenti proposizioni normative: (i) ‘La norma Vp e (ii) ‘La

appartiene ad ON’

Esse non sono contraddittorie: potrebbero, infatti,

norma Pp appartiene ad ON’. essere o entrambe

contenesse un’antinomia: se lo stesso

false o entrambe vere. Sarebbero entrambe vere se ON

sia permesso da una (un’altra) norma di

comportamento p fosse sia vietato da una norma di ON,

ON. Sarebbero entrambe false se ON fosse lacunoso rispetto al comportamento p: se non

appartenesse ad ON né una norma che vieta p, né una norma che permette p.

Pertanto la versione forte del principio di proibizione (‘Se non esiste in ON una norma che vieta un

norma che permette tale comportamento’) potrebbe

dato comportamento, allora esiste in ON una

essere vera solo a condizione che l’ordinamento giuridico in questione sia completo. Solo qualora

tal condizione sia soddisfatta le proposizioni (i) ed (ii) non potrebbero essere entrambe false. Se,

però, la verità del principio di proibizione, nella sua versione forte, presuppone che tutti gli

ordinamenti normativi siano completi, allora non la si può impiegare come prova della necessaria

completezza di tutti gli ordinamenti normativi.

2. La norma generale esclusiva

Il principio di proibizione, nelle sue due versioni, forte e debole, non va confuso con la c. d. norma

generale esclusiva. Su tale norma si basa un ulteriore argomento impiegato per fondare la

completezza degli ordinamenti giuridici. Per ‘norma generale esclusiva’ s’intende una norma che, in

via generale, qualifichi normativamente tutti i comportamenti non qualificati da altre norme del

medesimo ordinamento. La formulazione classica di tale norma è: ‘

E’ permesso ogni comportamento non vietato’.

Tale formulazione, come si vede, è analoga a quella del principio di proibizione, il suo significato è

però diverso. Il principio di proibizione è, o esprime, una proposizione metanormativa vera o falsa:

nella sua formulazione il termine ‘permesso’ si riferisce o all’assenza di una norma (permesso

debole) o all’esistenza di una norma (permesso forte). Invece, la norma generale esclusiva è, per

l’appunto, non già una proposizione normativa, bensì una norma: nella sua formulazione il termine

‘permesso’ non (all’esistenza o all’assenza di) una qualificazione normativa, bensì è

si riferisce a

esso stesso una qualificazione normativa. Tale distinzione corrisponde ai due modi in cui può essere

usato l’enunciato ‘È permesso ogni comportamento non vietato’: per esprimere una proposizione

normativa o per esprimere una norma.

L’argomento basato sulla norma generale esclusiva sostiene che, poiché ad ogni ordinamento

normativo appartiene una norma che qualifica come permesso ogni comportamento non vietato,

allora tutti gli ordinamenti normativi sono completi: non esistono lacune.

La validità di tale argomento è stata variamente contestata.

Innanzitutto, si è osservato come l’appartenenza ad un ordinamento normativo della norma generale

esclusiva sia un fenomeno puramente contingente. Sono immaginabili, e di fatto esistono,

ordinamenti normativi non giuridici fondati su una diversa norma di chiusura. Si pensi, ad esempio,

alle relazioni normative intercorrenti tra padri e figli: a questi ultimi è vietata la commissione di

ogni comportamento che non sia loro espressamente permesso. Anche rispetto agli ordinamenti

giuridici si può affermare che l’esistenza di tale norma sia meramente contingente: vi sono

ordinamenti giuridici in cui tale norma è vigente ed ordinamenti giuridici in cui non è mai stata

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emanata. L’argomento in esame non è pertanto idoneo a fondare la completezza né di ogni

ordinamento normativo né di ogni ordinamento giuridico.

In secondo luogo, si dubita che la norma generale esclusiva sia idonea ad assicurare la completezza

di un ordinamento rispetto ad ogni possibile comportamento. In particolare, si è sostenuto che tale

norma non riguardi, non qualifichi normativamente, i comportamenti consistenti nell’esercizio di un

norme: comportamenti quali l’attività del legiferare. A

potere normativo, nella produzione di

fondamento di tale critica vengono addotti due diversi argomenti, tra loro opposti.

Da un lato, vi è chi ritiene che gli atti consistenti nella produzione di norme siano atti diversi

rispetto a quelli disciplinati dalla norma generale esclusiva: si tratterebbe, infatti, non di atti c. d.

bruti, di forme di comportamento ‘naturali’, preesistenti all’esistenza di qualsivoglia regola, bensì di

atti c. d. istituzionali, di forme di comportamento la cui esistenza, possibilità e percettibilità dipende

logicamente dall'esistenza di regole. Tali regole, dette ‘costitutive’, sarebbero diverse, per struttura

e funzione, rispetto alle comuni norme di comportamento: in particolare non qualificherebbero

deonticamente (come vietato, obbligatorio o permesso) un comportamento.

Dall’altro, vi è, invece, chi disconosce la distinzione tra atti istituzionali ed atti bruti e riconduce le

norme di competenza, le norme attributive di poteri, a comuni norme di condotta: in particolare, a

norme permissive. Rispetto alle norme permissive di competenza, però, varrebbe una diversa norma

chiusura: quella secondo cui ‘È vietato il compimento di atti normativi non permessi’.

di

I due argomenti hanno in comune il fatto di ritenere che la semplice assenza del divieto di esercitare

una competenza normativa non possa, in alcun modo, equivalere all’esistenza di tale competenza.

Nell’ordinamento giuridico italiano non esiste una disposizione che vieti espressamente ai comuni

cittadini di emanare decreti legge, tuttavia nessuno direbbe che essi possono farlo.

Infine, si è notato come, almeno nella maggior parte degli ordinamenti giuridici attuali, la generale

esclusiva riguardi solo un limitato settore del diritto: la materia penale.

diffusa l’opinione che la regola

È, infatti, nullum crimen sine lege, codificata nella maggior parte

degli ordinamenti giuridici occidentali, sia interpretabile come una norma generale esclusiva: come

una norma che qualifica come penalmente permesso ogni comportamento che non sia penalmente

vietato. Chiameremo tale norma ‘norma penale esclusiva’ per sottolineare come il suo ambito di

applicazione sia limitato al diritto penale.

Questa non è l’unica interpretazione plausibile della regola del nullum crimen sine lege. Si è, infatti,

sostenuto che essa possa essere interpretata anche nei seguenti modi: i) come direttiva al legislatore,

ossia come divieto di emanare norme penali retroattive; ii) come direttiva per i giudici, ossia come

divieto di applicare sanzioni penali in assenza di una norma che qualifichi come reato il fatto

dell’accusato.

Lacune normative e interpretazione giuridica

Secondo Guastini, le lacune normative sono variabili dipendenti dall’interpretazione nel senso che

mediante l’interpretazione si posso produrre lacune oppure si può evitare di produrre lacune.

Argomenti interpretativi idonei a produrre lacune sono:

l’argomento a contrario in funzione interpretativa,

a) l’argomento della dissociazione.

b)

Argomenti idonei prevenire lacune sono:

l’argomento

a) a contrario in funzione creativa;

l’interpretazione estensiva;

b) l’interpretazione evolutiva.

c)

Per Guastini, invece, l’interpretazione non è idonea a colmare lacune: per colmare una lacuna

occorre creare diritto nuovo. 8

Antinomie e interpretazione giuridica

Secondo Guastini, anche le antinomie sono variabili dipendenti dall’interpretazione nel senso che

mediante l’interpretazione si posso produrre antinomie oppure si può evitare di produrne.

Argomenti idonei a prevenire antinomie:

a) interpretazione sistematica;

b) argomento a contrario in funzione interpretativa,

c) interpretazione adeguatrice,

d) interpretazione restrittiva.

Per produrre antinomie è sufficiente astenersi dall’impiegare gli argomenti idonei a evitarle.

Criteri di soluzione delle antinomie

Nel nostro ordinamento giuridico, come nella maggior parte degli ordinamenti giuridici

contemporanei, sono previsti tre criteri di soluzione delle antinomie.

1. Il criterio gerarchico o della lex superior. Tale criterio stabilisce che in caso di conflitto tra due

norme non pari ordinate prevalga la norma di grado superiore, mentre quella di grado inferiore sia

Ma qual è la norma di grado superiore? Nell’ordinamento italiano vigente

da considerarsi invalida. – certo c’è l’art. 1

non vi sono norme che elenchino le varie fonti normative in ordine di gerarchia

c.c., ma questo risale al 1942, non elenca la Costituzione e contempla invece fonti attualmente

inesistenti come le norme corporative. Piuttosto nel nostro ordinamento troviamo: a) norme dette

criteri di (in)validità materiale - che dispongono che una data fonte A non possa esprimere norme

incompatibili con quelle di una data fonte B; e b) norme che autorizzano una data autorità

giurisdizionale a dichiarare invalide o a disapplicare le norme espresse da A qualora siano in

conflitto con quelle espresse da B. Pertanto, non è del tutto corretto dire che la fonte superiore

prevale su quella inferiore, bensì occorre dire che la fonte che prevale è, per ciò stesso, superiore.

2. Il criterio cronologico o della lex posterior. Tale criterio stabilisce che, in caso di incompatibilità,

di conflitto, tra due norme di pari grado, deve prevalere la norma successiva, mentre quella

precedente deve considerarsi abrogata. Nel nostro ordinamento tale principio è fissato dall’art. 15

prel. al c.c. “Le leggi non sono abrogate che da leggi posteriori […] per incompatibilità tra le

disp.

nuove disposizioni e le precedenti”.

3. Il criterio di specialit&agra

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A.A. 2008-2009
128 pagine
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SSD Scienze giuridiche IUS/20 Filosofia del diritto

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Chiakka87 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Teoria e Tecnica dell'Interpretazione Giuridica e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Milano o del prof Velluzzi Vito.