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La tutela dei diritti umani e il ruolo dello Stato
Vienna nel 1993, attesta che il miglior garante dei diritti umani rimane comunque lo Stato, e con ciò si vuole affermare, quindi, che la tutela dei diritti dell'uomo è assicurata dallo Stato stesso. Emerge però una contraddizione: da una parte, lo Stato è rappresentato come il soggetto titolare dei diritti dell'uomo; dall'altra, si attribuisce allo Stato la possibilità di violare gli stessi diritti umani.
Per tutta questa serie di motivazioni, nei diversi risvolti costituzionalistici si è cercato da sempre di individuare nei diritti umani il nucleo normativo della capacità e dell'efficacia del singolo ordinamento giuridico statale, lasciando quindi che rimanga inalterato il rapporto tra soggetti statali e organismi sovranazionali.
La dimensione europea, da un punto di vista territoriale, deriva direttamente dalla dimensione territoriale e fisica dei singoli Stati che la compongono, stati che sono dei soggetti dotati di potere.
sui Trattati europei, nei Trattati europei e per i Trattati europei. Si è cercato di individuare una matrice comune ai diritti umani, ma quello che appare realmente mancante da sempre è un'idea unitaria di popolo europeo, perché da sempre si è esaltata la preminenza dei soggetti statali. Michel Troper, a proposito del processo di integrazione europea, ha affermato che gli Stati godono ancora di ampia sovranità perché non hanno superiori, e perché la più alta norma di un ordinamento politico nazionale non si fonda su nessun'altra norma.
La globalizzazione: l'economia contro l'etica
Il principio di sovranità è messo in crisi anche da fattori economici, sempre più incidenti, direttamente o indirettamente, sui fattori politici. Nell'Unione europea stessa assistiamo a un aumento di relazioni fra Stati basate su presupposti economici e a una produzione legislativa che mira alla costruzione di un
modello politico unitario. Possiamo dire che il modello originario di Unione europea ha fallito per fare spazio a delle basi costruite su interessi economici. Questo fenomeno si è accentuato per via dello sviluppo tecnologico, dell'introduzione di nuovi strumenti di comunicazione giuridica e dell'allargamento dei confini finanziari: caratteri, questi, preminenti in un sistema economico che sta ormai sopportando un processo di globalizzazione caratterizzato dalla creazione di un diverso modo di vivere a livello spazio-temporale. La globalizzazione ha portato a una modifica del concetto di sovranità, al quale è legata indissolubilmente, perché la globalizzazione porta alla creazione di situazioni di distacco dal fattore spazio-temporale procurando un'indifferenza rispetto ai luoghi e creando un centro definito come non-luogo. La società globale e globalizzata è una società senza Stato, una molteplicità senza unità, inCui appaiono chiaramente sia l'aspetto spaziale sia l'aspetto temporale, costituito dalla rapidità e dall'immediatezza dei mezzi di comunicazione. Uno dei fattori fondanti della globalizzazione è infatti l'ampliarsi dei rapporti di traffico, comunicazione e scambio al di là delle frontiere nazionali. Abbattere le frontiere non è solo un obiettivo economico, ma anche politico, giuridico, culturale, sociale, l'inizio di una situazione di frammentazione e cambiamento.
Ian Clark accentua la contrapposizione strutturale tra globalizzazione e localizzazione, perché una tendenza uniformatrice è opposta a una realtà disgregatrice che porta all'isolamento sociale e anche al separatismo politico.
Antonio Baldassarre vede nel localismo un rifugio rispetto alla globalizzazione. Il localismo costituirebbe un patrimonio di sicurezza e certezza in cui resistere di fronte alle spinte dell'attualità che conducono a
una perdita di identità individuale e di identità collettiva. Zygmunt Bauman afferma che la complementarietà tra globalismo e localismo si ritrova anche nella concezione del potere. La concentrazione del potere globale necessita di ambiti operativi incapaci di uscire dai confini locali, mentre l'espansività spaziale ha bisogno di una limitazione spaziale più diffusa. Jurgen Habermas si sofferma a puntualizzare che la formazione di una società disomogenea ha come effetto l'accentuazione della prospettiva individualistica, favorita anche dal rafforzamento dell'aspetto economico. Le esigenze dell'economia prevalgono sul potere politico, che quindi è in diminuzione, perché questo fenomeno è dovuto alla liberalizzazione dell'attività economica e alla riduzione degli interventi normativi. Gli economisti hanno inoltre puntualizzato che la globalizzazione favorisce l'acquisizione di benefici.
evantaggi per via di un aumento generale dei livelli di disuguaglianza, causati dall'apparentemente positiva apertura maggiore delle società. Il territorio infatti è stato sostituito dal mercato, poiché le valutazioni economiche sembrano prevalere su tutte le altre valutazioni, condizionando inevitabilmente l'azione politica.
Si tratta del "fondamentalismo del mercato", frutto del perseguimento di interessi finanziari e commerciali da parte delle istituzioni internazionali. A tutto questo bisogna aggiungere l'acquisizione di maggiore potere da parte dei soggetti economicamente più forti, che determina la possibilità di sottrarsi a vincoli sanciti dalla politica e dal diritto. La libertà dei mezzi economici e la loro velocità impediscono, infatti, l'esercizio di un'attività di controllo nazionale e internazionale: la conseguenza è, quindi, il riconoscimento della globalizzazione come strumento.
Per la tutela di interessi dei paesi più industrializzati a discapito dei paesi in via di sviluppo, con disinteresse davanti alle diverse forme di povertà nel mondo e con il conseguente allargamento della cerchia del disagio. Ciò che emerge, pertanto, è un quadro negativo in cui i processi economici nell'epoca della globalizzazione rivelano la radicalizzazione di uno schema sociale e di un indirizzo politico-giuridico proiettato verso l'esaltazione individualistica e dell'uomo visto come homo oeconomicus. Questa realtà sembra aver tristemente soppiantato tutte le altre possibili, e addirittura ha sostituito ogni altra componente dell'umanità. Tutto ciò si riflette direttamente sui rapporti economici e di lavoro: la possibilità di controllare i comportamenti dei lavoratori incide sulla competitività delle imprese nel mercato. Questa struttura lavorativa permane nel disinteresse generale sia verso il
predominiodella struttura stessa sia verso le conseguenze negative di questa diversastrutturazione del lavoro, la quale ha come risultato quello di provocare unindebolimento dell'apparato delle tutele sociali.
Anche nell'ordinamento italiano si verifica questa situazione, e ciò è palese neld.lgs. 276/2003 in materia di occupazione e mercato del lavoro. L'articolo 1 ditale atto ha l'intento di promuovere la qualità e la stabilità del lavoro, ma nelfare ciò si serve anche di contratti di lavoro a orario modulato compatibili conle esigenze delle aziende e le aspirazioni dei lavoratori, cadendo in palesecontraddizione. Il principio dominante diventa, perciò, la disoccupazione e illavoratore si trova costretto nella morsa di una dimensione di puro dirittoprivato.
Questo è il risultato di un processo di isolamento del lavoratore, che si muovenella società come un essere distinto dalla stessa, impossibilitato a
risolvere le varie questioni giuridiche, senza alcuna condivisione con gli altri. Si ritorna quindi nell'immaginario stato di natura, stavolta però in forma reale e concreta. L'uomo della società globale è collocato in uno stato di anarchia e assolutezza nello stato di natura, di cui è espressione la modernità e anche il mondo di internet, popolato da ogni specie di soggetti dove ognuno ha licenza di fare ciò che vuole e dove l'unico freno è la persona responsabilità morale dei singoli operatori. Stefano Rodotà temeva che questa situazione potesse estendersi anche alla realtà politica favorendo l'avvento di una "cittadinanza elettronica", in previsione di un sistema nuovo: la teledemocrazia o la cyberdemocrazia, un sistema in cui sparisce ogni decisione d'insieme a favore della volontà di individui isolati davanti a uno schermo. Si è spesso utilizzato, sotto questo profilo,Il termine di spazio giuridico globale, usato per indicare la tendenza al superamento di una dimensione giuridica nazionale a favore di nuove manifestazioni di diritto che siano capaci di governare i dati e i bisogni del mondo globalizzato. Il sostegno agli interessi economici ha accompagnato la nascita e lo sviluppo di un particolare ordine giuridico del mercato e ha allontanato l'obiettivo fondamentale del perseguimento del bene comune e dei rapporti basati sull'equità. Si può ben dire quindi che il nuovo mito del villaggio globale abbia fallito e, più che rendere omogenea la condizione umana, ne ha rafforzato le differenze, aprendo strada a conflitti di supremazia.
Economia ed etica pratica: l'uguaglianza delle risorse
Nello studio del 1981 intitolato What is equality?, il giusfilosofo Ronald Dworkin vuole apportare alcune modifiche e integrazioni a dei concetti ormai radicati nel tempo e diventati comuni, individuando in particolare una relazione tra
Il principio di uguaglianza delle risorse e l'idea di proprietà privata. L'idea di uguaglianza e del suo legame con la proprietà privata è un'idea risalente nel tempo. John Locke parte originariamente dall'idea per cui la finalità della costituzione delle società politiche è rappresentata dalla conservazione della proprietà degli individui, e si deve necessariamente combinare con il riconoscimento del bene degli altri soggetti della comunità almeno per quel che riguarda la possibilità di limitare gli effetti degli accordi instaurati fuori dalla società stessa, i quali porterebbero a una disuguaglianza nella divisione dei possessi privati. David Hume parte da un obiettivo molto simile a quello di John Locke: il suo pensiero si basa su un meccanismo di redistribuzione delle risorse come garanzia di un certo grado di felicità. Adam Smith teorizza invece l'idea per cui il perseguimento
dell'interesse individuale è il sistema più