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Civitella in provincia d'Arezzo.
Esiste un numero significativo di eccidi che può essere collocato come ritirata
aggressiva (è il caso di alcune stragi nell'Italia centrale e di diverse nell'aprile del
1945, tipico esempio quella di Grugliasco nel torinese del 30 aprile 1945). Ln questo
caso si assiste a rabbiosi sfoghi di violenza instillati da una coazione a uccidere insita
nell'indottrinamento nazista delle truppe.
Forse non è un caso che, nel corso del successivo mese di agosto, si compiano in Italia
almeno venticinque eccidi di espressive proporzioni facendo entrare la violenza
nazista nella sua fase più intensa. La linea della guerra ai civili è sostenuta senza
remore anche dal ministro degli Interni della RSI Guido Buffarini Guidi il quale, in un
rapporto inviato ai prefetti delle province piemontesi, scrive che «la popolazione civile
nella sua più ampia maggioranza favorisce i banditi e quindi tutta può e deve pagare».
Le vittime degli eccidi
L'esperienza più traumatizzante per chi vi ha assistito ed è sopravvissuto è senz'altro
quella degli eccidi, di solito attuati nelle pubbliche vie. Sono proprio i civili, in
larghissima maggioranza, le vittime di eccidi, persone segnate dalla sventura di
trovarsi, non volendolo, in pieno fronte e spesso disarmati. Le donne, gli anziani e i
bambini sono le categorie più deboli; su di loro la violenza può essere esercitata con
minori rischi e su di loro infieriscono impietosamente i nazifascisti tant'è che quasi
due terzi dei deceduti nelle stragi nazifasciste appartengono a queste categorie.
Esiste una fitta geografia di eccidi e uccisioni (con esclusione degli scontri armati).
Dagli episodi nei quali sono morte più di sette persone, sono stati individuati in Italia
oltre 400 casi di eccidi di civili e di partigiani, con una fitta concentrazione nel
Centro-Nord della Penisola. 9
Toscana ed Emilia Romagna sono le regioni che hanno avuto il maggior numero di
località teatro di eccidi, eventi che avvengano soprattutto in quei centri situati in
prossimità della Linea Gotica.
Il Sud, ad eccezione di alcune aree comprese tra il barese e il foggiano e tra Napoli e
Caserta, resta quasi immune da questa calamità. Nel Nord: Piemonte, Friuli, Istria,
Veneto e in particolare nell'area vicentina, risultano tra le regioni più colpite.
Complessivamente sono state stimate in circa 10.000 le vittime civili di stragi e
massacri, ma il loro numero dove i caduti sono inferiori al numero di sette, deve
ritenersi senz'altra superiore.
La ricostruzione qui proposta è incompleta delle principali stragi italiane, si è
soffermata principalmente sugli eccidi contro i civili.
In diverse circostanze, a perire assieme alla popolazione ci furono anche i partigiani.
Complessivamente sono state censite 285 stragi che hanno colpito, 9903 persone.
In questo elenco sono state inserite soltanto alcune delle stragi più note e sanguinose,
che hanno colpito i combattenti della Resistenza. Nel nostro computo la categoria di
civili include senz'altra ebrei e religiosi mentre, in assenza di ulteriori specificazioni,
appare difficile stabilire se le vittime rientrino tra i caduti civili o partigiani quando le
fonti indicano denominazioni onnicomprensive come quelle di «detenuti antifascisti»
o di «renitenti alla leva».
In base alle indicazioni disponibili, per scindere i ruoli delle persone perite, si può
avanzare soltanto una stima approssimativa che include 244 caduti partigiani, cifra in
netto difetto perché in numerose stragi di civili sono segnalati caduti partigiani senza
che però ne sia riportato il numero, cinquanta militari (fra questi: forze dell'ordine,
vigili urbani, circa trenta disertori tedeschi e due soldati alleati). Altro aspetto di non
s’incontra
facile soluzione quando i caduti sono indicati come «patrioti», cioè
fiancheggiatori del movimento di resistenza.
Nel caso dei detenuti antifascisti, questi individui periscono disarmati di fronte al
nemico e spesso, in analoga condizione, si trovano i renitenti alla leva. Si può arrivare 10
a ritenere che possano essere circa 9.500 le persone, perite in queste stragi, prive di
un’effettiva pericolosità militare e quasi tutte immuni da colpe effettive.
Partigiani come la causa delle violenze?
La propaganda nazifascista si muoveva per attribuire la responsabilità morale degli
eccidi ai partigiani, che sono indicati come la causa del propagarsi della violenza
contro i civili. In questo modo la pratica della strage vuole essere lo strumento, allo
stesso tempo brutale e sottile, per spingere la popolazione a mutare il suo
atteggiamento di prevalente complicità con la Resistenza, in un nuovo atteggiamento
di totale ostilità verso i partigiani.
Nella pratica della violenza attuata da nazisti e fascisti, si scorgono importanti risvolti
psicologici connessi all'ideologia.
Ad esempio: per lungo tempo c'è stato il mancato riconoscimento del nemico
partigiano, visto solo nella veste di bandito, e ciò ha prodotto l'effetto distorto di
vedere nella popolazione civile un potenziale nemico.
In questo modo si muove una contraddizione essenziale tra giustificazione, azione e
fini nella condotta nazifascista, che vorrebbe dimostrare che senza partigiani non ci
sarebbe violenza, non fosse che l'esecuzione di numerose stragi (tra le altre
Castiglione di Sicilia, Bellona, Caiazzo e in larga misura quasi tutte quelle compiute al
Sud) ha palesemente provato che l'eccidio prescinde dalla presenza partigiana.
Ciò significa che gli stessi civili sono assoggettati al nemico a causa della frequente
incapacità dell'esercito straniero e occupante di rapportarsi con la popolazione.
Dentro a questo percorso, mentale e materiale, si coglie la ragione che alimenta la
violenza nazifascista. Certamente ai nazisti e ai fascisti costa riconoscere il fronte
partigiano, soprattutto per quello che i partigiani rappresentano: un'altra autorità,
un'altra legittimità, altri valori. 11
Ecco la ragione di fondo celata dietro l'ufficiale disprezzo dei militari di carriera per i
gruppi irregolari partigiani che quasi mai si vedono, ma che comunque riescono a
colpire. d’indistinti
Gli attentati e i sabotaggi subiti sono opera banditi, il nemico giacché tale
non esiste, ma ciò crea la logica isterica del «nessun nemico tutti nemici» che convive
all’esecuzione
con l'inclinazione indiscriminata e sistematica di una violenza che può
sfociare nell'eccidio.
L'abitudine alla violenza finisce poi per sovrastare scopi e motivi, cosicché
l'esplosione della violenza può avvenire in modo gratuito e del tutto casuale.
Alla negazione del nemico si aggiungono le precise disposizioni emanate, nel luglio
1944, dal comandante delle truppe tedesche in Italia Albert Kesselring che consentono
il più largo uso della violenza anche contro i civili, disposizioni comuni anche alla
condotta di occupazione fascista in Jugoslavia e che seguono una pratica già in atto.
‘ l’armadio della vergogna ’
Indagini, processi e
I processi per crimini di guerra l’ufficiale
Al termine della seconda guerra mondiale, vi fu un primo processo, dove
tedesco Walter Reder fu ritenuto colpevole di crimini di guerra in due dei massacri più
irruenti compiuti dai nazisti, cioè quella di Marzabotto e Sant’Anna di Stazzema.
Fu processato e nel 1951 e condannato all'ergastolo. Il 14 luglio 1980 il tribunale
militare di Bari gli concesse la libertà condizionale, aggiungendo però un periodo di
trattenimento in carcere di cinque anni, "salva la possibilità per il governo di adottare
provvedimenti in favore del prigioniero". Il 23 gennaio 1985, il presidente del
consiglio Craxi decise di liberare anticipatamente Reder.
A suo favore erano intervenuti a suo tempo sia il Governo austriaco che
quello tedesco. Infine morì a Vienna nel 1991. 12
Nel 2006 ha avuto inizio il processo contro diciassette imputati, tutti ufficiali e
sottufficiali della 16° SS-Freiwilligen-Panzergrenadier-Division Reichsführer SS.
L'istruzione dei procedimenti ha avuto luogo grazie alla scoperta, avvenuta nel 1994,
d’inchiesta
di 695 fascicoli presso la sede della Corte Militare d'Appello di Roma.
Questi fascicoli, segnati con il timbro della "archiviazione provvisoria" datata 1960 e
conservati in un armadio rivolto verso il muro, il cosiddetto "armadio della vergogna",
rimasto chiuso fino alla scoperta avvenuta nel 1994. quest’
Titolo evocativo del libro del giornalista Franco Giustolisi, che diede il titolo a
primo ad aver fatto emergere il tema dell’occultamento di fascicoli relativi a
armadio,
stragi nazifasciste.
Nell’Armadio della Vergogna rinvenuto nel 1994 in un locale di Palazzo Cesi (sede di
vari organi giudiziari militari), conteneva quindi 695 fascicoli e il registro generale
riportante 2274 notizie di reato, relativi a crimini di guerra commessi sul territorio
italiano durante l'occupazione nazifascista.
Si trattava di materiale documentale (istruttorie), che era stato raccolto dalla Procura
generale del tribunale supremo militare, incaricato dal Consiglio dei Ministri.
All’interno dell’armadio emersero fascicoli sulle più importanti stragi naziste, fra le
quali: l’eccidio di Sant'Anna di Stazzema, l'eccidio delle Fosse Ardeatine, quello di
Monte Sole (più noto come strage di Marzabotto), di Korica, di Lero, di Scarpanto,
la strage del Duomo di San Miniato e dell'alto Reno.
A distanza di quasi sessant'anni, il 20 aprile 2004, davanti ai giudici del Tribunale
Militare di La Spezia invece è stato celebrato un processo per il crimine di Sant'Anna
di Stazzema. Poiché tra soldati ed ufficiali gli imputati sarebbero stati centinaia, fu
deciso di rinunciare a processare i soldati esecutori materiali dell'eccidio per
processare solo gli ufficiali che di quell'eccidio erano stati i veri responsabili, essendo
stati loro a dare l'ordine del massacro.
Il giudice delle udienze preliminari ha accolto la richiesta di rinvio a giudizio per i tre
ufficiali SS accusati di essere gli esecutori dell'eccidio. Tra i militari tedeschi
accusati: Gerhard Sommer, 83 anni, comandante la 7° compagnia del II battaglione del 13
1935, reggimento Grenadieren, facente parte della 16° SS-Panzergrenadier-Division
Reichsführer SS; e gli ufficiali Alfred Schonber, 83 anni, e Ludwig Sonntag, 80 anni.
Per altre due SS, Werner Bruss, 84 anni, e Georg Rauch, 83 anni, ha richiesto il non
luogo a procedere, mentre per Heinrich Schendel, 82 anni, il Gup ha rinviato gli atti al
pubblico ministero f