Anteprima
Vedrai una selezione di 4 pagine su 13
Licenziamento individuale per motivi economici, Diritto del lavoro Pag. 1 Licenziamento individuale per motivi economici, Diritto del lavoro Pag. 2
Anteprima di 4 pagg. su 13.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Licenziamento individuale per motivi economici, Diritto del lavoro Pag. 6
Anteprima di 4 pagg. su 13.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Licenziamento individuale per motivi economici, Diritto del lavoro Pag. 11
1 su 13
D/illustrazione/soddisfatti o rimborsati
Disdici quando
vuoi
Acquista con carta
o PayPal
Scarica i documenti
tutte le volte che vuoi
Estratto del documento

Cass. civ., sez. lav., 1° giugno 2012, n.8846; Cass. civ., sez. lav., 16 febbraio 2012, n.2250 ), attuato,

per esempio, mediante introduzione di nuovi macchinari ( Cass. 14 dicembre 1998, n.12554) o

informatizzazione dei servizi ( Cass. civ., sez. lav., 14.06.2005, n.12769); la richiesta di

allontanamento dal posto di lavoro da parte di un committente di un appalto affidato al datore, in

presenza di una clausola di gradimento prevista nel contratto di appalto ( Trib. Bolzano 27 luglio

2007); la soppressione del settore lavorativo, del reparto o del posto cui era addetto il dipendente,

attuata per la più economica gestione dell’impresa ( Cass. civ., sez. lav., 27 ottobre 2009, n.22648);

la cessazione dell’attività aziendale motivata dalla scarsa fiducia dell’imprenditore nello sviluppo

del settore, dalle cattive condizioni di salute, dal desiderio di riposo ( Cass. civ., sez. lav., 18 agosto

2000, n.10966; Trib. Bassano 25 settembre 2006).

Passando in rassegna le più recenti pronunce giurisprudenziali sull’istituto in commento, risultano,

invece, non essere ritenute idonee ad integrare G.M.O., circostanze quali: la modesta contrazione

dell’attività produttiva, non implicante sensibile riduzione di personale e mezzi, ove il datore di

lavoro abbia stipulato un contratto di collaborazione a progetto per sostituzione pochi giorni prima

di comunicare il recesso al dipendente ( Cass. civ., sez. lav., 19 gennaio 2012, n.755 ), nonché il

rifiuto del lavoratore, la cui sede di lavoro sia stata chiusa, di passare alle dipendenze di una diversa

società, seppur controllata dal datore, in mancanza della prova, da parte di quest’ultimo,

dell’impossibilità di collocare il dipendente all’interno di un altro ramo aziendale della società di

originaria appartenenza ( Cass. civ., sez. lav., 28 agosto 2003, n.12645). 2

E’ necessario menzionare, altresì, nell’ambito di questo esame della casistica giurisprudenziale sul

G.M.O., l’ipotesi in cui il datore adduca a fondamento del licenziamento individuale per motivi

economici la generica esigenza di ridurre il personale omogeneo e fungibile talché non vi è una sola

posizione lavorativa precisa da sopprimere e tutti i lavoratori siano potenzialmente licenziabili. La

giurisprudenza di legittimità ha precisato che, in fattispecie di questo tipo, la legittimità del

licenziamento individuale è subordinata, in forza del doveroso rispetto dei principi di correttezza e

buona fede, al ricorso, da parte del datore, ai criteri di scelta applicabili ai licenziamenti collettivi,

ossia i carichi di famiglia e l’anzianità ( Cass. civ., sez. lav., 28 marzo 2011, n.7046).

Occorre, a questo punto della trattazione, soffermarsi sulla procedura che il datore di lavoro è tenuto

per legge a seguire laddove decida di licenziare un suo dipendente per giustificato motivo oggettivo.

E’ necessario, a tal proposito, precisare che la Legge 90/2012, riformulando il previgente art. 7 della

L. n. 604/1966, ha introdotto un procedimento conciliativo obbligatorio dinanzi alla Direzione

Territoriale del Lavoro, atto a contemperare fruttuosamente le esigenze di dipendenti e datori di

lavoro: l’obiettivo che attraverso siffatto intervento legislativo ci si è proposti di conseguire è

quello, ambizioso, di deflazionare il contenzioso giurisdizionale in materia.

Per quanto concerne l’ambito soggettivo di applicazione della normativa, sono tenuti al suo rispetto

tutti i datori di lavoro, imprenditori e non imprenditori, che in ciascuna sede, stabilimento, filiale,

ufficio o reparto autonomo occupino alle proprie dipendenze più di 15 unità, ovvero più di 5 se

imprenditori agricoli. La nuova procedura è altresì applicabile nei confronti dei datori di lavoro che

nello stesso ambito comunale occupino più di quindici lavoratori, anche se ciascuna unità produttiva

non raggiunge tali limiti, ovvero a chi occupa più di 60 dipendenti sul territorio nazionale ( si tratta

dei requisiti dimensionali previsti dall’art. 18, comma 8° dello L.300/1970, cui l’art. 7 L.604/1966,

nuova formulazione, rinvia espressamente).

Ai fini del computo dei sopra citati limiti numerici, non si devono considerare il coniuge e i parenti

entro il secondo grado. Parimenti non computabili sono i dipendenti assunti a mezzo di determinate

tipologie contrattuali, quali: gli apprendisti; gli assunti con contratto di inserimento; i lavoratori

somministrati; gli assunti già impiegati in lavori socialmente utili o di pubblica utilità e i dipendenti

assunti con contratto di reinserimento. 3

I dipendenti assunti con contratto part-time e gli “intermittenti” dovranno, invece, essere calcolati

“pro quota”, in relazione all’orario di lavoro stabilito contrattualmente.

Per quanto riguarda, poi, le imprese che, per ragioni di mercato o di attività svolta, si caratterizzino,

in un determinato periodo, per un’ occupazione cd. “fluttuante”, non vi è una giurisprudenza

univoca sulle modalità di calcolo del valore che deve fungere da discrimine: le sentenze dei Giudici

del lavoro oscillano, infatti, dalla valorizzazione del concetto di “media” ( Cass. civ., sez. lav., sent.

2546/2004 ) a quello di “normalità”, riferita alla forza lavoro necessaria in quello specifico periodo

dell’anno ( Cass. civ., sez. lav. ,sent. 2371/1986).

Venendo ora a esaminare più specificamente il contenuto dell’art. 7 della L.604/1966, nuova

formulazione, esso prevede, in primo luogo, il dovere del datore di lavoro (avente i requisiti

dimensionali di cui all’art. 18, 8° comma della L.300/1970, sopra precisati) di effettuare una

comunicazione alla Direzione territoriale del lavoro del luogo dove il lavoratore presta la sua opera

e di trasmettere la stessa, per conoscenza, al lavoratore. In tale comunicazione il datore deve

dichiarare l’intenzione di procedere al licenziamento per giustificato motivo oggettivo indicando le

motivazioni poste a fondamento dello stesso nonché le eventuali misure di assistenza alla

riallocazione del lavoratore.

Una volta ricevuta la comunicazione da parte del datore di lavoro, la Direzione territoriale del

lavoro convoca, entro il termine perentorio di sette giorni dalla ricezione della richiesta medesima,

sia il datore che il lavoratore ad un incontro presso la commissione provinciale di conciliazione ex

art.410 c.p.c. . Durante tale incontro le parti possono farsi assistere dalle organizzazioni di

rappresentanza alle quali sono iscritte o alle quali conferiscono apposito mandato, oppure da un

componente della Rsa/Rsu dei lavoratori o, infine, da un avvocato o da un consulente del lavoro. Il

legislatore prevede che la Dtl partecipi attivamente alla procedura e che le parti, nel corso della

medesima, procedano anche all’esame di soluzioni alternative al recesso.

La procedura deve arrivare a conclusione entro il termine di venti giorni decorrente dal giorno di

invio della convocazione per l’incontro da parte della Dtl, salvo che le parti non concordino sul

proseguimento della trattativa in vista della conclusione di un accordo.

Nel caso in cui le parti riescano a pervenire a una soluzione concordata, si avrà la risoluzione

consensuale del rapporto di lavoro e il lavoratore potrà beneficiare dell’Assicurazione sociale per

4

l’impiego (ASPI) nonché, ove previsto, dell’affidamento a un’agenzia di somministrazione di

lavoro che ne agevoli la ricollocazione professionale.

Nel caso in cui, invece, il tentativo di conciliazione fallisca o, comunque, il termine di venti giorni

sia decorso senza che sia giunti a una soluzione concordata, il datore può comunicare il

licenziamento al lavoratore.

Per quanto concerne la decorrenza degli effetti del licenziamento intimato in seguito ad esito

negativo della procedura conciliativa, l’articolo 1, comma 41, della L.92/2012, individua il dies a

quo nel giorno della comunicazione, da parte del datore di lavoro, alla Dtl, con cui ha preso avvio

l’intera procedura; la medesima disposizione fa salvo, tuttavia, l’eventuale diritto del lavoratore al

preavviso o alla relativa indennità sostitutiva. Si precisa, altresì, che il periodo di eventuale lavoro

svolto dal lavoratore in pendenza della procedura si considera come preavviso lavorato.

Il lavoratore, laddove abbia motivo di ritenere che il licenziamento per G.M.O. intimatogli, sia

illegittimo, può impugnarlo con le modalità ed i termini prescritti dall’art. 6 L.604/1966: in

particolare, egli è tenuto a impugnare il licenziamento entro il termine di sessanta giorni decorrenti

o dal momento in cui ha ricevuto la comunicazione del licenziamento medesimo, (nel caso in cui

tale comunicazione contenga anche le motivazioni della decisione del datore di lavoro), oppure, dal

momento in cui il lavoratore ha ricevuto la comunicazione dei motivi posti a fondamento del

recesso unilaterale del datore ( se all’atto del licenziamento questi motivi non erano stati

comunicati). Il lavoratore adempie un siffatto onere d’impugnazione con qualsiasi atto scritto, anche

extragiudiziale, (e, eventualmente, anche attraverso l’intervento dell’organizzazione sindacale),

idoneo a rendere nota al datore di lavoro la volontà di effettuare la contestazione del licenziamento

intimatogli.

L’art. 6 della L.604/1996 prevede, altresì, a pena d’inefficacia dell’impugnazione medesima, che

entro il successivo termine di 180 giorni, il lavoratore deve procedere a depositare il ricorso presso

la cancelleria del Tribunale territorialmente competente; invero, il lavoratore, che intenda contestare

il licenziamento intimatogli, può farlo, altresì, attraverso l’esperimento di un tentativo di

conciliazione.

Laddove scelga di percorrere questa strada, egli deve far pervenire al datore di lavoro, sotto pena

d’inefficacia dell’impugnazione, la formale richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato

5

entro il termine di centottanta giorni dalla data dell’impugnazione.

In caso di rifiuto opposto dal datore di lavoro allo svolgimento del tentativo di conciliazione oppure

in caso di mancato accordo, il lavoratore potrà impugnare il licenziamento in sede giudiziaria,

effettuando il deposito del ricorso nella cancelleria del tribunale in funzione di giudice del lavoro,

sotto pena di decadenza dell’impugnazione, entro sessanta giorni dalla data del rifiuto o del

mancato accordo.

Il datore di lavoro, a fronte dell’impugnazione del licenziamento da parte del lavoratore, può, entro

quindici giorni dal ricevimento della comunicazione di impugnazione da parte di quest’ultimo,

revocare il licenziamento. In tal caso, il rapporto di lavoro si intende ripristinato senza soluzione di

continuità, con conseguente diritto del lavoratore alla retri

Dettagli
A.A. 2014-2015
13 pagine
SSD Scienze giuridiche IUS/07 Diritto del lavoro

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher ely1989-votailprof di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto del lavoro e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Firenze o del prof Del punta Riccardo.