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L’ANTROPOLOGISA DEL POTERE
Il potere deve essere considerato come un particolare tipo di relazione sociale. Si tratti di una relazione sociale
asimmetrica, nella quale uno dei soggetti che ne fanno parte riesce a ottenere i propri scopi a donno di altri
soggetto, o a imporre la propria volontà, anche a dispetto della resistenza di altri. Il potere va studiato quindi in
relazione con il consenso, sia esso esplicito o mascherato nelle diverse manifestazione di quella che è stata definita
da Bordieu come la violenza simbolica, un tipo di violenza che si esercito con il consenso di chi la subisce. Altrettanto
importante è studiare il potere in rapporto con le diverse possibilità di resistenza, anch’essa più o meno consapevole
o esplicita, al potere stesso. La cultura, intesa come l’insieme delle concezioni e dei valori condivisi che orientano
l’agire di determinati soggetti, si libera di un ruolo importante, sia in relazione con il mantenimento del consenso sia
in relazione con la possibilità di concepire e mettere in atto diverse forme di resistenza nei confronti del potere. Il
potere ha a che vedere con la riproduzione di un certo ordine sociale. I rapporti sociali intesi come rapporti che
implicano l’esercizio di una certa dose di potere, deve essere distinto dallo studio del potere politico, cioè di
quell’ambito specifico delle relazioni sociali che fa riferimento al governo della società. L’insieme dei fenomeni che
derivano dall’uso della politica per fini privati viene definito clientelismo politico. Il potere si esercita quindi
attraverso i rapporti sociali che esistono tra i sessi o fra i membri di diverse generazioni, ma esso entra in contatto
con i temi della partecipazione al governo da parte dei cittadini e con lo studio della cultura politica, intesa come
l’insieme delle rappresentazioni e dei valori che mediano il rapporto dei cittadini con la sfera del potere politico,
visto nelle società contemporanee con la res publica, cioè con quei beni e servizi che possono sussistere e funzionare
solo mediante l’impegno di tutti e in vista di un beneficio comune.
L’ANTROPOLOGIA MEDICA
L’antropologia medica è una branca delle scienze antropologiche che studia il corpo. La saluta e la malattia in
rapporto ai contesti sociale, culturali e politici. All’origine è nata come l’obbiettivo di comparare le diverse concezioni
di salute e malattia. Si è poi andata specializzando come studio dei modi di costruzione sociale del corpo, esplorando
la dimensione culturale e istituzionale delle pratiche mediche, attraverso ricerche condotte anche in seno alla
biomedicina occidentale. Oggi l’antropologia medica si qualifica come una scienza plurale sempre più spesso
caratterizzata da una visione critica. Collocandosi nel punto più vicino all’esperienza del dolore e della sofferenza
umana, i praticanti di questa disciplina forniscono resoconti etnografici in grado di mettere in discussione il presunto
carattere naturale degli stessi concetto di corpo. La salute è intesa non soltanto come assenza di malattia ma come
la possibilità di accedere alle risorse che garantiscono la qualità della vita, e pertanto è riconcettualizzata nel suo
rapporto con la giustizia sociale. Qualificandosi come antropologia politica della saluta, l’antropologia medica si
rivela potenzialmente capace di rispondere a una esigenza di cambiamento della biomedicina, come necessaria e
urgente umanizzazione delle pratiche mediche. Perseguire un obiettivo di umanizzazione attraverso l’introduzione
dell’antropologia e delle scienze sociali nel percorso di studi dei futuri medici, significa promuovere una metodologia
critico – riflessiva nella prassi medica, formando figure professionali in grado di cogliere in tutta la sua complessità la
dimensione corporea, nei processi di salute-malattia e nel rapporto tra medici e pazienti l’antropologia medica
quindi può stare accanto a questi corpi sospesi tra la vita e la morte e osservare lo spazio e i contorni dei concetti di
cura e di assistenza, che appaiono più estesi della nozione di terapia o di trattamento. Alle luce di tali questioni, le
stesse variabili normale/patologico e salute/malattia perdono la loro apparente fissità e appaiono problematiche,
dialettiche, variabili, connesse cioè alle egemonie culturali e morali e ai rapporti di forza che regolano la vita sociale.
L’ANTROPOLOGIA URBANA
L’antropologia urbana è un settore di studi che ha come oggetto di analisi le città nelle forme culturali che le
contraddistinguono. Le città sono un tipo particolare di organizzazione umana e sociale dello spazio e di
organizzazione della vita sociale nello spazio, l’antropologia urbana cerca di coglierne le somiglianze e le specificità a
partire da alcuni quesiti di fondo. La prima scuola di studi socio-antropologici è la Scuola di Chicago, gli autori di
questa scuola individuano nelle città e in particolare nella loro organizzazione spaziale un contenitore in grado di
influenzare e condizionare la vita di chi vi abita, nel caso di Chicago si trattava di un organizzazione all’interno delle
quali persone simili per provenienza etnica e collocazione socio – lavorativa tendevano a concentrarsi in aree
residenziali omogenee, con un conseguente rafforzamento delle somiglianze comportamentali dei gruppi. Questa
chiave di lettura detta ecologia culturale, individua un rapporto tra spazio e cultura, per quanto pertinente allo
spazio e alla sua organizzazione, sarebbero in grado di rafforzare specifiche forme comportamentali e stili di vita.
L’antropologia urbana in Italia ha una storia più recente, col termine urbanesimo si indica il progressivo
trasferimento della popolazione delle campagne nelle città, che ha in Italia in una lenta storia e subisce una
fortissima accelerazione a partire dalla metà degli anni 40. L’evoluzione degli studi urbani in Italia può essere
suddivisa in tre periodi:
-una fase propedeutica o di preparazione.
-una fase di definizione e acquisizione progressiva di visibilità.
-una fase attuale caratterizzata dall’acquisizione di posizioni istituzionali.
Si può definire quindi l’antropologia urbana come lo studio di “concezione del mondo e della vita, di sistemi
cognitivo –valutativi elaborati in e per contesti urbani” in questo modo l’antropologia urbana si divide tra
antropologia nella città, intesa come studio di micro-realtà interne alla città, e l’antropologia della città che revoca
retaggi ispirati dalla scuola di Chicago. Il rapporto con l’urbanistica costituisce un aspetto particolarmente
importante, dal momento che l’urbanistica rappresenta la disciplina deputata a progettare e pianificare le città, e si
profila dunque come un ambito in cui la ricerca antropologica può fornire utili contributi.
ANTROPOLOGIA DELLE MIGRAZIONI
Le migrazioni come fatto sociale totale includono sempre una valenza culturale. E’ questa valenza per coloro che
migrano che conferisce senso e significato alla distanza e alla prossimità geografica contribuisce a delimitare uno
spazio culturalmente rappresentativo. Le frontiere possono essere viste secondo modalità condizionate anche dal
modo di elaborare le identità e le alterità. Il termine migrazione, indica lo spostamento di un popolo, di un gruppo o
di individuo da un luogo all’altro. Inoltre bisogna distinguere le migrazioni secondo le cause (demografiche,
economiche), secondo l’attraversamenti o meno delle frontiere nazionali (migrazioni interne e internazionali), lo
statuto giuridico del migrante (lavoratore, rifugiato, richiedente asilo), e le modalità d’inserimento nel mercato del
lavoro (con contratto di lavoro con permesso di soggiorno). Questa maniera di ordinare i movimenti di popolazioni è
connessa alla costituzione degli stati nazionali e del capitalismo. Lo sguardo antropologico evidenzia il fatto che la
definizione e il valore che ciascuna cultura assegna alla mobilità è strettamente connesso a quelli che assegna alla
sedentarietà. Muoversi nello spazio era perciò una attività regolata e un privilegio. Il movimento si iscriveva
nell’esercizio del potere e inglobava il valore differenziale dei soggetti elaborato a partire dall’appartenenza di sesso
ai diversi gruppi sociali e alle classi d’età. Anche nel passato, la mobilità h assunto delle forme che oggi si
definirebbero globali. Il costante movimento ha gettato anche le fondamenta per una civiltà mediterranea, costruita
attraverso l’alternanza di conflitti, guerre e unità politiche. Queste forme migratorie sono state ridefinite dalla
costituzione degli stati nazionali. Dalla diffusione del capitalismo e dall’accelerazione dei mezzi di trasporto. On
l’urbanizzazione i movimenti di popolazione dalle campagne vesto le città sono diventati costitutivi del mondo
europeo. La migrazione è stata pensata come uno stato transitorio. Una condizione destinata a essere assorbita
attraverso il ritorno del migrante al luogo di partenza o la sua completa integrazione nel luogo di arrivo. L’attuale
configurazione dei movimenti di popolazioni ha reso evidente che il migrante non può essere visto come un essere
cui si aprono solo le due possibilità dell’assimilazione e del ritorno. Le migrazioni continuano a produrre scontri, in
cui effetti sono visibili nelle elaborazioni delle identità sfidando la pretese culturale ed etnica degli stati nazionali. I
migranti partono anche verso paesi dove non esiste il pieno impiego della forza lavoro locale, i paesi di immigrazione
attuano politiche migratorie sempre più restrittive con l’obiettivo di selezionare i migranti in base alle esigenze del
proprio mercato del lavoro. La storia italiana p stata fortemente marcata sia da migrazioni interne che internazionali.
La costruzione del modello migratorio mediterraneo ha rilevato l’importanza dei fattori non economici nella
strutture delle migrazioni attuali.
L’ANTROPOLOGIA APPLICATA E ANTROPOLOGIA DELLO SVILUPPO.
Si riteneva che la conoscenza delle popolazioni narive e delle loro organizzazioni sociali fosse in grado di fornire un
importnate contributo operativo all’amministrazione al governo delle colonie. Vigeva l’idea che gli aspetti socio –
culturali dello sviluppo ostacolassero il progresso e cvhe lo studio delle popolazioni locali potesse fornire gli elementi
per favorire il cambiamento prokmosso dai programmi internazionali. Roger Bastide proponeva una visione
dell’antropologia applicata come una scienza teorica della pratica focalizzata sull’analisi delle pratiche dei processi di
pianificazione. Arturo Escobar critica l’incontro dello sviluppo, evidenzia l’esistenza di somiglianze significative tra le
pratiche di cambiamento pi