La maggior parte degli stranieri che approda in Italia con regolare permesso di
soggiorno non pensa a un viaggio di non ritorno, tuttavia diverse cause quali nuove
opportunità di lavoro, il possibile ricongiungimento familiare e la possibilità di crescere
i figli in un ambiente migliore, hanno portato molti ad un lento e doloroso processo di
radicamento. Ciò significa una maggiore integrazione e stabilizzazione nel paese
ospitante, ma anche l’abbandono definitivo del proprio Paese d’origine.
Per queste persone è molto difficile rimanere nella sfera del “regolare”, le leggi italiane
ed europee pongono molti ostacoli per il rinnovo del permesso di soggiorno, cosicché
molti immigrati, scaduto lo stesso, si ritrovano in una condizione d’irregolarità che fa
venire meno molti di quei diritti che avevano conquistato con l’entrata regolare
all’interno del Paese.
Per far fronte a questa situazione è necessario che le regolarizzazioni siano meno
restrittive in modo che gli immigrati non siano obbligati a doversi nascondere una
volta che sono entrati in Italia, e per evitare l’aumento degli ingressi irregolari; questo
rende anche meno difficoltoso sapere dove si trovano, cosa fanno, controllare meglio
gli ingressi clandestini e combattere specifici tipi di criminalità, come la tratta.
Un motivo dell’aumento di flusso migratorio in Italia è il problema dei richiedenti asilo
e dei rifugiati. Sono ormai molti quelli che devono scappare dal proprio Paese
d’origine, senza poter scegliere, per motivi di razza, religione, pensieri politici,
appartenenza a determinati gruppi sociali. Con la convenzione di Ginevra, l’Italia ha
l’obbligo giuridico, ma soprattutto umano, di proteggere queste persone dalla propria
casa. La nuova politica, tuttavia, è quella di considerare l’asilo una permanenza breve,
una protezione temporanea, con la prospettiva del ritorno al proprio Paese.
A tutti gli esseri umani sono riconosciuti i diritti fondamentali, anche se la maggior
parte dei diritti sociali è limitata ai soli stranieri provenienti da uno Stato facente parte
dell’Unione Europea. Si arriva dunque a percorrere due differenti strade: quella
dell’immigrato europeo che ha diritto alla cittadinanza e quella dell’immigrato
extraeuropeo, spesso considerato in modo negativo a causa della cecità delle persone
“ospitanti”. Purtroppo la pubblicità fatta dai mass media ha occultato la realtà su
queste persone immigrate.
L’immigrato ha la necessità in primo luogo di essere riconosciuto per affrontare le
difficoltà che si presentano con l’entrata in un Paese che non gli appartiene. Elena
Spinelli vuole far aprire gli occhi a coloro che ancora pensano che gli immigrati arrivino
in Italia con l’unico scopo di rubare il lavoro agli italiani. Immigrati e minoranze etniche
continuano a subire discriminazioni senza essere riconosciuti membri legittimi e di
pieno valore nella società.
Quello che molti dei cittadini del nostro Paese dimenticano è che anche l’esperienza
italiana degli emigranti presenta le stesse caratteristiche degli immigrati in Italia: il
doloroso e difficile momento della partenza verso uno Stato e una cultura che non si
conosce, il mito del ritorno in patria, il lento processo di radicamento, la reazione
negativa da parte della società di accoglienza, gli stereotipi legati alla cultura. Gli
immigrati irregolari e i clandestini sono ancora considerati dei delinquenti a
prescindere dalla loro storia personale e dal perché sono dovuti “scappare” dal proprio
paese; e la concezione che gli immigrati irregolari siano dei criminali può essere
interiorizzata dagli stessi interessati.
È importante comprendere che l’immigrazione sta diventando sempre di più la fonte
principale di crescita della popolazione nell’Unione Europea, e tuttavia i programmi
pubblici del welfare sorti per contrastare il fenomeno della povertà e ridurre le
disuguaglianze sono stati costituiti come solidarietà sociale nazionale, non
comprendendo quindi al loro interno gli stranieri. L’assistenza è concepita come un
diritto del cittadino, escludendo e discriminando tutte le altre persone che necessitano
di un aiuto statale.
Gli immigrati irregolari hanno diritto a cure ambulatoriali e ospedaliere urgenti o
essenziali, anche continuative per malattia e infortunio, tuttavia non hanno la
possibilità di essere seguiti a livello assistenziale e di conseguenza di poter trovare un
lavoro e uscire dalla loro condizione da irregolari. Di fianco alla domanda di tipo
sanitario è stato comunque possibile accompagnarne una di tipo sociale per
l’orientamento all’interno dei servizi e per l’accesso alle reti locali. Ad esempio una
donna irregolare incinta ha diritto ad essere assistita durante tutta la gravidanza e per
i primi 6 mesi di vita del figlio, durante questo periodo hanno accesso a servizi sociali,
oltre che sanitari; tuttavia dopo il sesto mese del bambino, madre e figlio si ritrovano
in un stato di irregolarità e non possono più usufruire dei servizi. Tutto ciò causa
profonde difficoltà e pericoli agli immigrati, è perciò necessario che la legge preveda
nuove modalità di accesso per queste persone in stato di bisogno.
Un altro problema riscontrabile a livello di immigrazione è la mancata consapevolezza
dei propri diritti, compresa la possibilità di rivolgersi ad un servizio; molti degli
immigrati non sono vissuti in uno Stato di diritto o in uno Stato sociale, perciò non
hanno familiarità con esso e con tutto ciò che comporta. Inoltre gli operatori dei servizi
spesso presentano lacune sulla normativa vigente e sulle varie modalità di accesso
possibili ai servizi da parte degli stranieri. L’ignoranza degli operatori sui diritti degli
immigrati, che sono cambiati nel tempo, limita il lavoro di rete che deve essere fatto
tra i vari servizi e che è necessario negli interventi di aiuto, per usufruire delle risorse
che l’organizzazione del welfare mette a disposizione.
In questo quadro problematico l’assistente sociale deve innanzitutto riconoscere che
l’immigrato è una persona e in quanto tale deve essere trattata. Per poter sviluppare
una relazione d’aiuto professionale è quindi necessario il reciproco riconoscimento tra
assistente sociale ed immigrato (evitare la trappola degli stereotipi).
Da questo punto di vista l’operatore è chiamato a una competenza “culturale”, che gli
permetta di avere maggiore attenzione alle specificità culturali e alle differenze. Molte
volte invece viene lasciata da parte la vita precedente degli stranieri e si dà per
scontato che si siano già integrati perfettamente alle tradizioni, modi di fare e
atteggiamenti del Paese ospitante (immigrare è anche emigrare); inoltre si dà per
ovvio il proprio modo di ragionare e di comportarsi senza prendere in considerazione
un altro punto di vista.
Bisogna essere attenti all’abbigliamento con cui gli immigrati si presentano all’incontro
con il servizio sociale perché, oltre a darci un’idea della condizione della persona, ci dà
anche molte informazioni riguardo il suo Paese d’origine e la sua cultura. Questo ci
permette di non essere etnocentrici, ossia di pensare che i valori della nostra cultura
siano gli unici metri di giudizio; è necessario, infatti, capire che non si devono adottare
gli stessi metodi e le stesse pratiche che si utilizzano per gli utenti italiani con gli
immigrati, perché la loro cultura indica cos’è per loro il problema che portano, come
deve essere espresso e come deve essere risolta la domanda di aiuto.
Gli immigrati si ritrovano in una situazione di abbandono, si sentono degli sconosciuti
nel paese in cui vivono e si trovano a dover provvedere a se stessi e alla propria
famiglia da soli. I servizi possono diventare anche un luogo di socializzazione in cui le
persone possono parlare di loro stesse, della propria cultura e tradizioni e, qualche
volta, insegnare agli operatori i loro valori. In questo modo si dà voce alla soggettività
degli utenti e si conoscono il loro modo di pensare e le loro opinioni riguardo salute,
educazione dei figli, aspettative dal paese in cui vivono, progetti.
Un atteggiamento di ascolto e attenzione non è solo indispensabile, ma anche
terapeutico, gli immigrati si sentono accolti e riconosciuti e molto probabilmente
saranno più propensi a raccontare la loro storia, facilitando il lavoro di aiuto e di
autorealizzazione. Il primo contatto con i servizi è spesso segnato dalla solitudine ed è
reso più difficile se c’è una difficoltà comunicativa, per questo motivo è necessario
saper ascoltare e accogliere la persona e con l’utilizzo di un mediatore linguistico
l’impatto con la nuova lingua sarà meno traumatica, anche se il suo utilizzo può
portare a delegare al mediatore il processo di cambiamento.
La maggior parte delle volte s’inizia il colloquio con domande sul permesso di
soggiorno e sulla regolarità dell’immigrato, invece che concentrarsi sul perché la
persona si rivolge al servizio. Questo ci rimanda ad una contraddizione: da una parte
l’operatore deve seguire le leggi dello Stato e quindi escludere gli immigrati irregolari
dalla fruizione del servizio, dall’altra deve accogliere tutte le persone che si
presentano allo sportello per i valori enunciati nel codice deontologico, quali la
solidarietà e il provvedere a chi si trova in uno stato di bisogno. Spesso l’operatore
considera meritevole di aiuto da parte del servizio solo colui che ha regolare permesso
di soggiorno perché tutti gli altri non sono tutelati dalla legge dello Stato.
Se un immigrato, in una situazione di regolarità precaria, si presenta al servizio perché
si trova al di sotto della soglia minima di reddito, lo Stato è legittimato a rimpatriare il
soggetto, in quanto non è obbligato a mantenere una persona che non fa parte della
comunità, un non-cittadino. Povertà di questo tipo, oltre ad essere causate da una
mancanza di reddito, sono dovute anche alla debolezza dei legami sociali, che
vengono contratti per lo più con altri immigrati, e alla mancanza di un riconoscimento
a livello giuridico e sociale.
L’emigrazione per lavoro, difficilmente è solo un fatto individuale, quindi è necessario
enfatizzare la centralità della famiglia, che assume un peso rilevante, nel processo
decisionale e migratorio. Il processo di radicamento, infatti, si attua quando tutta la
famiglia, costituita nel paese d’origine prima dell’immigrazione di uno dei componen
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