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L’aiuto sociale è una realtà edificabile tra i soggetti che condividono la stessa tensione al

superamento di determinate situazioni/problema. Gli operatori non possono conoscere a priori le

possibili risoluzioni a problemi pre-definiti ma vanno definendo con i loro clienti la realtà dei

problemi da fronteggiare e le possibili soluzioni.

Un altro autore da considerare è Erving Goffaman, il quale con la sua opera sulle condizioni di vita

dei malati di mente nei manicomi contribuì a gettare le basi culturali e scientifiche per

l’elaborazione delle istituzioni totali. Importanti sono anche le sue argomentazioni sull’ecologia

sociale del linguaggio, sul modello drammaturgico della società e sulla teoria dell’etichettamento.

Goffman pone l’accento sul fatto che la comunicazione tra soggetti è tale solo nell’interazione con

il contesto e ogni linguaggio tra persone è incassato in un rituale, in un gioco organizzato in mosse

in base al frame work (cornice interpretativa) entro cui si rappresenta.

Secondo il modello drammaturgico della società l’interazione sarebbe un processo di scambio tra

self messi in scena ritualmente. Tale self è una realtà che nasce nell’interazione che consente

l’esclusione o l’adattamento ai rituali che creano un senso condiviso. Tale etichettamento è reso

all’inclusione o meno nei rituali di presentazione o di evitamento, al rispetto dei giochi di contegno

e di deferenza.

Questa teoria fornisce al servizio sociale elementi per prospettare interventi sociali che

accompagnino i soggetti che si trovano in condizione di svantaggio sociale, di debolezza o di

marginalità e riguadagnare i confini dell’inclusione sociale, recuperando il capitale simbolico delle

reti sociali a cui aspirano ed evitando i processi di etichettamento che ne bloccherebbero ogni

evoluzione positiva.

Dagli anni ’80 l’attenzione torna a volgersi ai setting relazioni tra operatori e utenti. Gli assistenti

sociali valorizzando la componente comunicativa e terapeutica a discapito della funzione

amministrativa e burocratica. Si volge un crescente interesse verso il lavoro nell’équipe socio-

psico-pedagogiche, psico-sociali, sociosanitarie.

Anche nel patrimonio di conoscenze del servizio sociale si diffondono elaborazioni teoriche come

la teoria strutturale dell’integrazione tra gruppi di Peter Blau, l’analisi dei linkage groups di Martin

Sussman e l’analisi di rete di Barry Wellman.

Introducendo i riferimenti alla network analysis, anche da una prospettiva di servizio sociale, si

inizia a leggere la realtà comunitaria come network entro cui si articolano ruoli differenti e si

intrecciano aiuto informale, aiuto volontario, assistenza privata a pagamento e assistenza pubblica.

Non viene più richiesto all’assistente sociale soltanto di erogare prestazioni assistenziali ma di

essere promotore di intrecciamento tra formale e informale, tra mondi vitali e sistema sociale nelle

sue forme istituzionali.

In Italia già dalla prima metà degli anni ’80 cresce nei servizi sociali la sensibilità per l’ambiente

umano quotidiano come prima sede di agio delle persone e di protezione e di prevenzione al

disagio. Un contributo sociologico di rilievo si è avuto dalle argomentazioni di Achille Ardigò in

merita all’importanza dei mondi vitali. Questo concetto ha provocato una maggiore attenzione alle

varie forme associate, formali e informali, in cui si produceva benessere relazionale e reale

solidarietà anche al di fuori del sistema assistenziale pubblico. La nuova attenzione

sociologica alle forme dell’aiuto non istituzionale ha portato a parlare di terza dimensione e di terzo

settore, riconoscendo la capacità di una società civile pronta a rivendicare soggettività e autonomia

della società politica.

5.6 La relazione come oggetto del servizio sociale

Il contributo del pensiero sociologico ha consentito di focalizzare l’attenzione del servizio sociale

sul contesto in cui le persone, le famiglie, i gruppi e le comunità svolgono la loro esistenza e su

quanto esso concorra a determinare i processi di definizione delle loro identità e la strutturazione

delle loro azioni.

Il servizio sociale ha potuto adottare sia letture macro che micro-sociologiche; nel primo caso

privilegiando la comprensione della società secondo tradizioni sociologiche olistiche, nel secondo

caso privilegiando la comprensione degli individui secondo tradizioni sociologiche molecolari.

Il principale riferimento italiano per l’approccio relazionale è il sociologo Pierpaolo Donati. La

sociologia relazionale si propone come il tentativo di riconnettere i 2 paradigmi accennati a partire

dalla realtà sociale. L’uomo è riconosciuto come attore autonomo e il suo comportamento è

comprensibile come risultato di un comportamento teleologico. Egli è orientato a fini e valori ultimi

offerti all’uomo dall’essere stesso delle cose. Secondo Donati alla sociologia spetta il compito di

studiare la società come campo delle relazioni intersoggettive e strutturali ma questa sociologia

per essere storica e umanistica mantiene una prospettiva meta-empirica dell’uomo, il quale può

realizzarsi più pienamente come uomo.

Il concetto di relazione sociale conduce ad un modo di essere nella situazione accidentale in cui i

concreti soggetti-attori in relazione la rendono reale. La relazione è il tramite che connette l’azione

sociale dei soggetti con il sistema sociale, la soggettività individuale con l’intersoggettività.

Secondo la teoria relazionale il comportamento di ego non solo dipende dal comportamento di

alter ma anche dalle aspettative che ego ha sul comportamento di alter e viceversa. Quindi,

l’azione sociale è azione di un soggetto capace di esprimere intenzionalità.

Il concetto di bisogno nella prospettiva relazionale viene inteso come un processo attivo, dinamico

sia sotto il profilo soggettivo sia per quello strutturale, dal momento che la persona è sempre in

tensione verso qualcosa d’altro.

Il concetto di benessere è relativo e incompleto. Un approfondimento di questo concetto è

formulato da Folgheraiter che associa il benessere del soggetto alla sua capacità di armonizzare i

propri sotto-sistemi dell’ambiente esterno attraverso un’azione intenzionale, dotata di senso ed

efficace.

Negli approfondimenti di Folgheraiter trova uno spazio particolare il concetto di azione intesa come

mediatore biologico che mette in relazione il soggetto con i compiti necessari al conseguimento

delle sue mete di benessere. Se l’azione del soggetto si rivela insufficiente a fronteggiare i compiti

di realizzazione di sé, l’autore parla di insufficienza d’azione che provoca l’intervento di aiuto.

Egli propone di riconoscere al servizio sociale il dominio di studio e di intervento che non è proprio

di altre discipline, cioè il rapporto tra la persona e i problemi che essa deve affrontare all’esterno di

sé e con gli altri per conseguire la propria realizzazione.

CAPITOLO 6 – POLITICA SOCIALE E SERVIZIO SOCIALE

6.1 Il servizio sociale nell’attuale dibattito internazionale: la dimensione comunitaria

L’impegno politico attraverso il lavoro con la comunità è stata una delle dimensioni che ha

accompagnato il servizio sociale fin dal suo esordio, in un primo momento con la realizzazione

delle settlement house e attraverso l’attività di friendly visitors. Successivamente a partire dagli

anni ’20, il lavoro degli assistenti sociali si concentrò maggiormente sugli interventi individuali,

mentre il lavoro con la comunità si realizzò nell’attuazione di progetti per lo più pubblici, rivolti a

fasce di popolazione a rischio o a zone depresse anche a seguito dei problemi nati dopo la grave

depressione economica degli anni ’30.

A partire dagli anni ’70 in molti paesi occidentali industrializzati si ebbe una profonda

trasformazione del lavoro di comunità che si orientò maggiormente verso finalità preventive, di

sviluppo delle reti sociali di sostegno, di iniziative di self-help attraverso il coinvolgimento delle

persone alla programmazione di progetti per la creazione di servizi sia socio-assistenziali sia

ricreativo-educativi. Importante fu nel Regno Unito il rapporto Seebhom che portava a considerare

il lavoro di comunità non come un’attività specialistica, ritenendola un’ottica complessiva che tutto il

servizio sociale doveva assumere, sottolineando la necessità della formazione per rendere gli

operatori sempre più capaci di lavorare con e nella comunità. Quindi,

si vennero elaborando diversi modelli di lavoro sociale:

• Modello community liaison centrato sullo sviluppo della comunità

• Modello community development orientato allo sviluppo della comunità

• Modello community social action che tendeva ad azioni di tipo politico per la tutela di gruppi

marginali

• Modello community planning and organization volto allo sviluppo della capacità della stessa

comunità di progettare e di coordinare le proprie risorse

Attualmente nel dibattito internazionale viene avanzata l’ipotesi teorica di un’integrazione di

prospettive intorno al concetto di community develpoment secondo il quale l’azione dell’operatore

deve esplicarsi a 3 livelli fondamentali:

1.strategie per le persone e con le persone per sostenerle nello sforzo di perseguire potere e

capacità di decidere, progettare e realizzare, attraverso un lavoro di gruppo e intergruppi

2.strategie collettive centrate sulla comunità nel suo insieme per sviluppare nuove risorse,

promuovere nuove iniziative, creare reti di sostegno operando soprattutto con i gruppi e le

organizzazioni esistenti

3.strategie politiche volte alla formazione e sensibilizzazione verso i problemi della comunità degli

organismi decisionali-politici per ottenere risorse, interventi, servizi adeguati alle esigenze delle

persone dando voce alla popolazione

6.2 Dal servizio di comunità al lavoro di territorio

L’interesse in Italia per il lavoro di comunità nell’ambito del servizio sociale si è sviluppato intorno

alla fine degli anni ’50, infatti nel 1958 si tenne a Palermo un convegno internazionale sulla ricerca

sociale e lo sviluppo di comunità nelle aree problema europee. Alcune zone di Italia erano tra

queste aree problema e in esse furono avviati progetti che intendevano attuare interventi che si

ispiravano alle elaborazioni del coordinamento e organizzazione delle diverse risorse intorno ai

reali problemi del contesto, per giungere ad una pianificazione sociale condivisa e partecipata.

Negli an

Dettagli
Publisher
A.A. 2016-2017
30 pagine
SSD Scienze politiche e sociali SPS/07 Sociologia generale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Naliab di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Tecniche e strumenti del servizio sociale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Firenze o del prof Rovai Beatrice.