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Il filosofo Jhon Locke afferma che uno dei diritti dell'uomo è la proprietà, la quale si fonda
attraverso il lavoro; questo concetto viene fondato dall'atto di fare qualcosa per lo scopo del
nutrimento, da forza fisica a forza intellettiva; se si guarda alla storia, alle prime età dell'uomo,
quando l'homo doveva ancora prendere la forma del sapiens, si può comunque immaginare che esso
dovesse nutrirsi, cacciare o raccogliere mele. Ora, prendiamo un individuo primitivo: egli esce dalla
caverna, i raggi del sole gli fanno accartocciare lo sguardo, porge la mano verso il ramo, cui gli
strappa una mela. I suoi denti l'afferrano, il frutto canta al suo palato, il succo gli sazia la gola. Si
nutre, nutre la sua fame, la sua vita, come ogni essere vivente; nel suo organismo in quel momento
si scambiano elementi chimici, tra il suo corpo di carne, sangue ed ossa vi è la polpa di un frutto, di
un albero cresciuto da un seme, il quale ha messo le sue radici nel terreno, assorbendo acqua
proveniente dal cielo, dai fiumi e dai mari, illuminato da quel sole che ora riscalda la pelle di
quell'individuo. Quel primitivo avrà visto, forse, possiamo dire che ha “imparato” a nutrirsi, magari
imitando l'esperienza dei suoi simili; ma quella sensazione biologica dell'organismo che lo ha
portato ad addentare la mela, ossia la fame, cruda e semplice, questo istinto, non gli è stato
insegnato ma è cresciuto con lui, questo bisogno di scambio che, pensando attentamente, possiamo
trovarlo in tutti gli esseri viventi, è ciò che lo ha portato ad evolversi, a migliorare, ad andare
d'accordo con altri primitivi. E certo poi, che oggi l'uomo non si imbatte nella foresta per procurarsi
da mangiare, neppure cerca di conquistarsi il territorio, poiché ciò che ci circonda è mutato assieme
alle nostre abitudini che cercano di soddisfare i nostri bisogni in una scala che procede dal semplice
al complesso. L'evoluzione è quindi biologica. Ma dove possiamo trovare in questo processo
evolutivo il passaggio dal gruppo di uomini all'idea di società? L'uomo con il passare degli anni,
oltre che ad afferrare e ad addentare il cibo ha iniziato anche a nominare, a dare un nome, ad
attribuire qualcosa, ha iniziato ad impadronirsi della materia nominandola; a possedere il materiale
attraverso l'astratto. Questa argomentazione potrebbe risuonare fuori titolo.
Il bisogno di nutrirsi è comunque una concetto scarso su cui basare la fine di questa
argomentazione e finire scrivendo esplicitamente ciò che, secondo la mia persona, cambia o persiste
in una società in cui sono i figli che insegnano ai genitori, e non posso soffermarmi con precisione e
particolare lentezza sulla descrizione della società prefigurativa, almeno non prima di aver
argomentato fino in fondo il concetto che vorrei esprimere.
In realtà, il bisogno di nutrirsi, non è un concetto, ma è la precellula del concetto, è un istinto. Ma
non solo, perché quando una persona sente appetito, non lo sente solo con la testa << sento fame
>>, ma principalmente, con lo stomaco. Non so se il nostro soggetto sperimentale in questione,
l'uomo primitivo, sentisse fame nella testa, o come la chiamasse, o se la chiamasse, sono però certa
che egli la sentiva esattamente come la sentiamo noi, nello stomaco. Per cui, oltre che ad essere un
istinto cosciente, in una mente concettuale come lo è la nostra, è prima di tutto un impulso organico.
L'organismo sente se stesso, e conosce in maniera primordiale che per sopravvivere deve avere un
continuo scambio chimico con ciò che lo circonda. Vorrei poter dire che questo è ciò che accomuna
tutti gli esseri viventi, che questo “sapere” che è una necessità, sia una “conoscenza” condivisa, ma
non posso affermarlo, dovrei conoscere la biologia.
Ma cos'è quest impulso di scambio? Da dove viene? Oserei chiedere: perché ogni essere vivente
ha la necessità di nutrirsi, chi in un modo o nel altro, seppur le differenze tra la flora e la fauna?
Intanto questo è sicuramente uno degli elementi di persistenza in qualsiasi società
indipendentemente dalla modalità di scambio e relazione di conoscenza che in esse le sue parti
hanno. L'argomentazione, però, non è stata costruita per affermare questo.
Lo scambio che avviene non è solo di tipo biologico, ma anche intellettuale, ossia il bisogno di
scambiarci conoscenze di qualsiasi tipo attraverso la comunicazione che a sua volta mette in
comune una informazione cioè un'insieme di dati intellettivi ricavati dall'esperienza sensibile con
altri dati provenienti da un altro individuo. Le forme di comunicazione possono essere di vario tipo,
possono essere percepite, capite, insinuarsi nell'inconscio attraverso un programma televisivo,
possono manovrare anche a lunga distanza di tempo e di luogo i nostri comportamenti e quindi il
nostro futuro.
Nonostante i benefici e i disguidi, la comunicazione è necessaria. Se una mente fosse isolata,
sarebbe una mente sana? Sarebbe una mente? Il bisogno biologico organico nutrizionale e quello
biologico intellettivo di comunicare poi si possono incrociare, se si guarda al XIV secolo con le
varie scoperte ed esplorazioni terrestri, ma non solo, anche nel Novecento quando l'Apollo 11 portò
degli statunitensi a passeggiare sul suolo lunare; entrambe gli avvenimenti fecero notizia. Non solo
questi due bisogni si intrecciano nei fatti materiali degli eventi della storia dell'uomo ma addirittura
nei romanzi come ad esempio Dalla terra alla luna del 1865 classico esempio di come l'uomo
possa raggiungere il futuro attraverso la sola immaginazione. Certo, vi sono scoperte che hanno più
importanza di altre, spinte da ragioni diverse, organizzate in modi e con strumenti differenti, più o
meno tecnologici di atri; ma pur sempre << un piccolo passo per un uomo, ma un grande balzo per
l'umanità >>, perché quando il corpo di un uomo in particolare si trova nel determinato luogo di una
scoperta o di una svolta colturale e scientifica, l'intera umanità è connessa emotivamente con lui, e
ciò non si verifica solo in quelle case in cui il 20 luglio alle 20.18 del 1969 gli occhi dei cittadini
del mondo vengono illuminati degli schermi dei pochi fortunati che possiedono una televisione nei
salotti delle loro case ma, anche in un'epoca in cui le TV non erano ancora state scoperte e il
telegrafo era ancora una remota conquista futura; parlo delle speranze che portarono i
conquistadores spagnoli a intraprendere viaggi e conquiste, se pur a volte terribili, verso terre
lontane e sconosciute prima all'uomo europeo. Le notizie si sono sempre diffuse indipendentemente
dall'età che circondava il periodo storico e culturale di un popolo. Le caverne, quelle gallerie d'arte,
tunnel nella storia che portano il mondo d'oggi in un lontano passato in cui i colori delle memorie
disegnate non differivano dalle tinte che poteva offrire la natura in quel determinato momento.
La fondamentale differenza tra “ieri” e “l'oggi” come anche Margaret Mead argomenta nel suo
libro (Generazioni in conflitto) è la rapidità con cui le informazioni si diffondono, la velocità che
rende immediata la comunicazione restringendo il tempo che separa un evento dalla sua notizia. Ma
proviamo a immaginare lo stupore e la meraviglia dell'uomo europeo quando ha realizzato il
concetto di “altro mondo”, dell'altro continente, quando il mondo si è disteso sull'orizzonte
conoscitivo dell'uomo europeo nell'età moderna, possiamo paragonare e misurare il sentimento
emotivo che porterà l'Apollo 11 sulla luna e delle prime caravelle verso l'America? Non lo so. Ma
sono convinta che entrambe le scoperte siano state guidate, oltre che dai motivi economici o
scientifici, anche e sopratutto dall'impulso umano di conquista, conquistare territori, terre, spazi per
la vita, per diffondersi, come fanno i semi delle piante che danzano nell'aria d'Aprile; in un certo
senso, lo stesso impulso che ci porta a comunicare. Sono del parere che il genere umano abbia e
possa trovare innumerevoli motivi per le sue azioni, ma che in fondo ad ogni credenza, vi è una
particolare ma universale realtà. Quindi, mi chiedo, cosa muta o rimanga identico, in un luogo
temporale o in un altro? Nel suo complesso di relazioni, rivoluzioni e reazioni, sono i particolari che
cambiano o sono le forze insite della natura umana che muovono la storia? È veramente importante
per analizzare la società (qualsivoglia definizione la si attribuisca) suddividerla in postfigurativa,
cofigurativa e prefigurativa?
Margaret Mead ha perfettamente ragione quando afferma che i giovani dispongono della capacità
per poter migliorare o comunque ottimizzare il mondo contemporaneo rispetto ai loro nonni o ai
loro genitori; forse sono in grado di farlo poiché la tecnologia è migliorata durante la loro crescita, è
lo stesso principio che sta occidentalizzando il resto del mondo cercando di espandere il proprio
essere all'altro diverso da sé, indipendentemente dai contrasti che una espansione culturale possa
riservare per etnie le quali hanno usi e costumi eterogenei ai nostri. L'occidente si espande e il resto
del mondo sembra assorbire e rielaborare questa abitudine (oserei dire) “dell'uomo macchina”,
poiché non si ferma e continua a conquistare scienza e tecnologia, paesi e risorse, anche se i modi di
farlo sono cambiati, si sono modernizzati, assottigliati, il selvaggio si è nascosto dietro la robotica.
Il prefigurativo è tipico della società occidentale, vi sono innumerevoli esempi nella storia moderna,
quando un viaggio si intraprendeva per dei ragionamenti previsti, si possono prendere come
esempio la preconoscenza su basi teoriche di Paolo Toscanelli e tanti altri filosofi e scienziati. Le
scoperte non hanno il caso che le guida ma un calcolo che preannunciano possibilità.
Gli individui che compongono una società sono in continua comunicazione tra loro e con
l'ambiente che li circonda; immaginare una società priva di questi due elementi è possibile? Ciò
che persiste in una società prefigurativa, ciò che non cambia, non si rinnova, non procede oltre il
presente e rimane come punto di riferimento, è l'Essere in movimento; se la società non avesse
questo spirito di cambiamento, non sarebbe come la conosciamo. La relazione (permane) nel
mutamento.
Questo movimento nel suo Essere continuo è insensibile alla mente umana che nel suo istinto ha
bisogno della sicurezza per vivere, e la sicurezza è un abitudine come “non mangiare il frutto
velenoso che m