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Ibidem,
8 p. 16.
Ibidem,
9 Questa prospettiva è riscontrabile in Goodman già in del 1960 e successivamente in
The Way The World is
del 1978.
Ways of Worldmaking
10 p. 39.
Ibidem,
che esistono casi di rappresentazione in cui non c’è denotazione. E mentre la modalità di
presentazione di ciò che è raffigurato può variare, ciò che resta essenziale e necessaria è la
classificazione. Rappresentare significa, dunque, fare riferimento classificato. Più agevole del
termine «classe» nella prospettiva nominalistica di Goodman è il termine «etichetta», che evita i
problemi ontologici che possono sussistere nel momento in cui parliamo di classi di oggetti. Le
etichette sono simboli, classificano certi individui e possono essere classificate sotto altre etichette,
11
oltre che classificare altre etichette sotto di esse .
È giunto il momento di chiederci: se dovessimo applicare la concezione di Goodman alla
nozione di immagine musicale, come verrebbe a delinearsi tale concetto? L’immagine musicale
sarebbe nella prospettiva goodmaniana nient’altro che un’etichetta, che denota o classifica una
porzione di realtà. Vi è in essa il riferimento costante al mondo, o per meglio dire a una o più
versioni di mondo, per utilizzare propriamente la sua terminologia nominalistica e relativistica.
L’immagine musicale è una rappresentazione della realtà allo stesso modo in cui una parola o una
frase linguistica rappresentano il loro significato, riferendosi ad esso: l’immagine è un vettore
referenziale che ha come riferimento un aspetto della realtà. La musica è un linguaggio vero e
proprio e come ogni linguaggio, secondo Goodman, essa non si pone su un piano distinto dalla
realtà, poiché ogni aspetto del reale può fungere da simbolo significante e rappresentativo. In tal
modo qualsiasi tipo di suono, anche quello che nel contesto quotidiano può essere classificato come
rumore o in generale come suono non significante, può acquisire un significato e di conseguenza un
valore artistico. Dunque, così come una ruota di bicicletta può diventare un’opera d’arte, anche un
insieme di rumori o di silenzi possono divenire opere musicali. Per concludere: il contesto
estensionale determina l’immagine musicale.
III. La prospettiva di Danto: interpretazione ed espressività
12
Nel primo capitolo de Danto richiama il concetto di
La trasfigurazione del banale
rappresentazione, in cui riprende una distinzione elaborata da Nietzsche. Rappresentare avrebbe due
accezioni prevalenti: la prima vede la rappresentazione come una «ripresentazione», nel senso che
11 Lasciamo per un momento in sospeso ciò che distingue una rappresentazione in generale da una
rappresentazione artistica, poiché sarà utile riprendere la posizione di Goodman su questo punto in confronto
all’analisi di Danto sulla stessa questione.
12 A.C. Danto, Harvard University Press,
The Transfiguration of the Commonplace. A Philosophy of Art,
1981, trad. it. a cura di Stefano Velotti, Laterza, Roma-Bari 2008.
La trasfigurazione del banale,
13
ciò che è rappresentato è «letteralmente presente» , così come negli antichi rituali dionisiaci si
credeva che la divinità arrivasse a essere realmente tra i presenti attraverso la danza del sacerdote e
dei suoi seguaci; il secondo senso invece considera la rappresentazione una «messa in scena
14
simbolica» , in cui il rappresentato non è realmente presente, ma è denotato dal simbolo (come può
accadere, ad esempio, in una rappresentazione teatrale). Il secondo senso di rappresentare coincide
con l’accezione privilegiata da Goodman, come abbiamo visto. In Danto, viceversa, si pone un
maggiore accento sul primo significato, tanto che a suo avviso il secondo senso può essere derivato
dal primo. Una rappresentazione acquista così un carattere ontologico, perché se qualcosa è
15
considerato una rappresentazione, esso «incarna» ciò che rappresenta. Allo stesso tempo, tuttavia,
ciò che determina se una rappresentazione sia tale è un contesto di tipo intensionale, cognitivo,
teorico. Solo se sappiamo che qualcosa è una rappresentazione possiamo considerarla tale. Essa non
è tale in virtù di caratteristiche percettive o denotative, ma in virtù del suo carattere intensionale.
L’importanza dell’aspetto intensionale dell’arte e in particolare della rappresentazione è
mostrata da Danto attraverso numerosi esempi che trattano casi di indiscernibilità. Facendo uso di
esperimenti mentali, si possono concepire rappresentazioni totalmente indiscernibili tra loro, che
però possiedono contenuti intensionali diversi. Questo mostrerebbe che il livello percettivo non è
rilevante per la rappresentazione e, dunque, le condizioni richieste devono essere ricercate altrove.
Le due rappresentazioni identiche possono essere addirittura coestensive e tuttavia avere contenuti
diversi. Dunque tanto la somiglianza, quanto l’imitazione non sono necessarie per la
rappresentazione, e su questo anche Goodman sarebbe certamente d’accordo. Tuttavia, affinché una
rappresentazione sia tale essa deve avere un contenuto, o per meglio dire essere a proposito di
qualcosa, deve possedere – per usare un neologismo di Danto – un’aboutness. Su questo punto
emerge la profonda differenza con Goodman, poiché mentre quest’ultimo concepisce l’essere-a-
proposito-di come una relazione di tipo referenziale, per Danto l’aboutness è concepita
16
intensionalmente .
Emerge qui la differenza che sussiste, secondo Danto, tra un’opera d’arte e un mero oggetto
17 , non nel senso denotativo di
reale: un’opera per essere tale deve essere una rappresentazione
Goodman, ma nel senso intensionalista che abbiamo visto. L’aboutness dell’opera è determinato da
13 A.C. Danto, Laterza, Roma-Bari 2008, p. 25.
La trasfigurazione del banale,
14 p. 25.
Ibidem,
15 p. 26.
Ibidem,
16 Secondo Danto ciò che è in gioco è la distinzione di Frege tra senso (Sinn) e riferimento (Bedeutung), e
tutto dipende dal modo in cui consideriamo la rappresentazione: se ci concentriamo sul riferimento l’analisi
di Goodman risulta efficace, ma nel momento in cui ci accorgiamo che la rappresentazione può essere vista
anche come un contesto intensionale, allora la prospettiva di Goodman si rivela insufficiente.
17 Inoltre, l’opera d’arte si distingue dal mero oggetto reale perché possiede un titolo, mentre quest’ultimo
non ne possiede alcuno. Il titolo è fondamentale perché costituisce un’indicazione di lettura per il fruitore.
un lato da una serie di fattori causali e storici, dall’altro da fattori cognitivi, come l’interpretazione.
La componente storica dipende dal contesto in cui l’opera è stata creata, dall’autore e
dall’intenzione dell’autore. D’altra parte la teoria istituzionale dell’arte, così come è stata formulata
18
da Dickie, sembra rendere conto del fatto che «non ogni cosa è possibile in ogni tempo» , poiché
solo in certi contesti un oggetto può essere elevato a opera d’arte, e su questo anche Goodman
sarebbe d’accordo. Tuttavia per Danto ciò non si esaurisce in una pura convenzione sociale, poiché
c’è qualcosa che fa parte intrinsecamente dell’oggetto che ci permette di considerarlo come opera
d’arte. Questo però, è determinato cognitivamente, ed è qui che trova posto la nozione di
quid, 19
interpretazione: interpretare significa «offrire una teoria su ciò a proposito di cui l’opera è» ,
ovvero permette di stabilire l’aboutness, il contenuto teorico dell’opera. Il punto rilevante su cui
dobbiamo soffermarci è che nella prospettiva di Danto, una volta determinato il contenuto teorico,
l’opera d’arte e la mera cosa reale si dispongono su due piani ontologicamente diversi, così come il
linguaggio si pone a una distanza ontologica dalla realtà. Anche qui emerge la profonda differenza
con Goodman, che argomenta a favore di un unico piano su cui si dispongono linguaggio, arte e
realtà, e parla di visioni di mondo piuttosto che di realtà ontologiche diverse. Secondo Danto,
invece, nel momento in cui un oggetto viene elevato a opera d’arte, questo assume un carattere
ontologico completamente nuovo.
C’è tuttavia ancora da definire la questione di che cosa differenzi una rappresentazione in
generale da una rappresentazione artistica. Secondo Danto l’opera d’arte possiede qualità che la
mera rappresentazione non possiede, e queste proprietà artistiche sono determinate cognitivamente.
Nel momento in cui sappiamo che una rappresentazione è artistica, essa acquisisce nuove
determinazioni che diventano parte della caratterizzazione intrinseca dell’oggetto, modificando la
20
sua stessa struttura . Non sono interpretazioni diverse dello stesso oggetto, ma veri e propri oggetti
ontologicamente diversi, sebbene siano indiscernibili. Il livello percettivo non è determinante
secondo Danto, tanto che egli sostiene che percezione e conoscenza operano su due livelli separati,
al tal punto che i due piani risultano impermeabili tra loro. Poiché si possono immaginare casi in cui
due oggetti sono totalmente indiscernibili dal punto di vista percettivo, la loro differenza deve
situarsi su un livello diverso e indipendente, di tipo cognitivo. Inoltre la rappresentazione artistica è
18 p. 137.
Ibidem,
19 p. 145.
Ibidem,
20 Danto arriva ad affermare che «ogni nuova interpretazione costituisce un’opera nuova» (La
p. 151). Questa affermazione è a dir poco problematica e si espone al rischio di
trasfigurazione del banale,
un’inflazionismo smodato, poiché per «opera nuova» non intende «un nuovo modo di vedere la stessa
opera», ma un oggetto ontologicamente diverso dal precedente. La visione nominalista di Goodman ha il
vantaggio di evitare questo scomodo problema. Allo stesso tempo, però, Danto afferma che «qualsiasi cosa
può essere considerata un dipinto, ma il dipinto non può essere interpretato in qualsiasi modo» (Ibidem, p.
158). Ciò significa che l’interpretazione ha dei limiti, non può essere completamente arbitraria.
espressiva, secondo Danto: rappresentare significa esprimere, e ciò che è primitivo e originario
della rappresentazione è proprio la sua capacità es