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Un ultimo aspetto da considerare è legato al concetto di asimmetria. Già i musicisti della

Seconda Scuola di Vienna avevano elaborato l’idea che la simmetria acquista valore solo se si

introduce un elemento asimmetrico. Clementi e Ligeti sviluppano questa idea complicando il

rapporto tra simmetria e asimmetria. Le loro concezioni sono d’altra parte fortemente influenzate da

nuove teorie scientifiche, quali la teoria del caos e il principio di indeterminazione: esse dimostrano

che esistono sistemi aperti, dinamici e non lineari, i quali mettono in crisi l’ordine convenzionale e

dunque le teorie deterministiche e l’idea stessa di simmetria. Si fa riferimento a figure geometriche

irregolari, amorfe, che si estendono all’infinito, in bilico tra l’ordine e il caos: proprio come le

raffigurazioni grafiche paradossali e impossibili di Escher. L’immagine musicale è costruita

esattamente in questo modo paradossale e ambivalente, in cui è restituita una staticità in mutamento,

un progresso senza sviluppo: in tal modo si coglie l’aspetto ambivalente della realtà stessa, nella sua

pluralità di senso.

VIII. “Filosofia, musica e immagine nella notazione contemporanea”, di Magda Polo

Pujadas

Nel corso del Novecento si sviluppano nuovi orientamenti nei confronti della musica e delle

sue immagini che conferiscono importanza centrale all’aspetto grafico della composizione

musicale, ovvero la notazione. Questo tema è trattato dal saggio di M. P. Pujadas, che ripercorre le

varie concezioni dei compositori novecenteschi circa l’importanza dell’elemento visivo all’interno

della partitura: essa acquista un ruolo centrale, in modo tale da passare in primo piano, relegando

invece a secondario il ruolo del suono udibile. Si utilizzano in questi casi mezzi di notazione nuovi,

segni inediti che si allontanano volontariamente dalla notazione tradizionale, percepita dai nuovi

autori come insufficiente. Vi sono infatti nuove esigenze comunicative che portano alla necessità di

nuove sperimentazioni grafiche e sonore. Tali esigenze nascono per molteplici ragioni: la scoperta

di nuovi strumenti dal timbro fino ad allora sconosciuto, l’introduzione di elementi tecnologici e

matematici, l’importanza centrale attribuita ai silenzi e ai rumori, le teorie del caso e

dell’indeterminazione. Tutte queste istanze trovano concordanza in un punto comune, ovvero la

centralità della nozione di libertà e dell’aspetto soggettivo della musica. Questi compositori

compiono una sostanziale rottura con il passato, orientandosi verso un tipo di arte meno

convenzionale e più astratta, concettuale, che sfocia inevitabilmente nelle sperimentazioni

d’avanguardia.

La dimensione musicale si compenetra intimamente con l’aspetto plastico e visivo della

musica stessa, come in un dipinto espressionista, in cui la tela diventa fondamentale per il

significato dell’opera tanto quanto il soggetto che vi è raffigurato: lo stesso vale per la partitura

all’interno di un’opera musicale. I primi a condurre sperimentazioni di questo tipo furono i membri

della Scuola di New York, in particolare Cage, Brown e Feldman. Essi utilizzano tavole grafiche in

cui prevale l’indeterminatezza, innanzitutto perché i simboli da essi usati sono nuovi e arbitrari, e in

secondo luogo per il fatto che la stessa partitura può essere letta e interpretata in modi differenti,

lasciando spazio alla sensibilità del fruitore. Questi compositori predispongono le indicazioni di

lettura delle loro opere, e tuttavia le possibilità interpretative sono molteplici: è il soggetto stesso, in

quanto fruitore, a creare e plasmare l’opera d’arte. D’altra parte egli, più che un ascoltatore, diventa

un lettore della partitura grafica, poiché non sempre queste composizioni sono destinate alla

traduzione in suono, il quale viene spesso soltanto immaginato dallo spettatore. Ci troviamo di

fronte a un’immagine musicale profondamente soggettiva, indeterminata, aperta in una pluralità di

significati plasmati dal soggetto stesso, che la immagina in uno stato di ammirata contemplazione.

L’idea di questi autori è che il significato della musica e le sua modalità rappresentative trascendano

la musica stessa. Si ricerca una purezza del suono nella sua astrattezza, a tal punto che in alcuni casi

la partitura non è nemmeno necessaria, ma soltanto un mezzo per esprimere l’opera in sé, come nel

caso della musica elettronica. In altri casi invece, come per Quadreny, Penderecky e Cardew, la

partitura è l’unico elemento necessario nell’opera musicale, tralasciando tutto il resto, anche

l’aspetto uditivo.

È da notare che il riferimento di questi autori è maggiormente indirizzato alle arti plastiche

piuttosto che alla musica stessa, poiché le partiture diventano vere e proprie opere d’arte visive, in

cui l’artista esprime se stesso lasciando la sua impronta e la sua visione del mondo, mentre dal canto

suo lo spettatore fa altrettanto interpretando l’opera attraverso la sua immaginazione. Ogni elemento

visivo all’interno dell’opera acquista un significato simbolico, e allo stesso tempo rimane aperto a

una pluralità infinita di interpretazioni. L’immagine musicale è così lo specchio tanto dell’artista,

quanto del fruitore; essa nasce dalla necessità di elaborazione di un nuovo linguaggio musicale, una

nuova forma comunicativa del tutto libera che rappresenti da un lato il mondo in cui viviamo,

dall’altro l’incomunicabile, l’assoluto, attraverso il silenzio della partitura.

IX. “La musica delle immagini. Sulla teoria del paesaggio musicale di Sergej

Ejzenštejn”, di Francesco Finocchiaro

Il saggio di F. Finocchiaro prende in considerazione la teoria paesaggio musicale del regista

Sergej Ejzenštejn, in attività tra gli anni Venti e gli anni Trenta del Novecento e famoso soprattutto

per il suo film del 1925, su cui peraltro si focalizza l’analisi di Finocchiaro

La corazzata Potëmkin

circa la poetica ejzenštejniana. È da osservare che egli oltre ad essere un regista fu un grande teorico

in campo cinematografico e di fatto la sua visione concettuale permea le sue opere, penetrando nella

loro struttura profonda. I suoi film sono preceduti infatti da una trattazione instrinsecamente

metaforica, la quale permette di cogliere ciò che non si può oggettivare in altri modi: la metafora ha

proprio questa funzione, permette di rendere oggettivo un elemento che di per sé è inafferrabile,

trasponendolo su un piano diverso da quello che vi appartiene per sua natura. Ciò significa che

solitamente la metafora possiede una direzione, che prende la mosse da ciò che non può essere colto

per poi oggettivarlo. Per Ejzenštejn invece la direzione della metafora viene sostanzialmente

invertita: essa è in grado di concettualizzare il campo concreto e visivo in termini metaforici,

attraverso l’esperienza musicale e uditiva. Ciò significa che un aspetto ben definito e delimitato

come quello visivo viene concepito come se fosse un componimento musicale, astraendo dal suo

campo di origine e operando un’astrazione concettuale su di esso: tutto ciò va a costituire il concetto

di paesaggio musicale.

Più nel dettaglio, vi è un’affinità sostanziale tra arte cinematografica e musicale, poiché

entrambe sono arti temporali, ovvero basate sul tempo. In esse predomina il concetto di ritmo, che

nel film diventa un ritmo visivo, in cui le immagini si susseguono non casualmente ma con una

precisa finalità ritmica. Per questo motivo è fondamentale il montaggio, che permette di disporre i

vari elementi visivi secondo una sequenza temporale ben definita. Questi concetti sono cari ai

registi del cinema astratto degli anni ’20: per essi le immagini acquistano una sorta di musicalità

interiore, che viene espressa visivamente, poiché vengono concepite come se fossero trame

musicali. In Ejzenštejn, in particolare, il paesaggio va a costituire una sorta di musica plastica,

dotata di elementi emozionali e di una sua propria unità narrativa: è musicale non soltanto perché

suscita emozioni, ma soprattutto perché i suoi elementi sono disposti ed elaborati secondo i principi

della composizione musicale. L’elemento emozionale è il pathos che viene suscitato negli spettatori,

e ciò rende l’opera profondamente umana. Tramite il pathos il soggetto è in grado di uscire fuori di

sé e contemplare ciò che è inafferrabile e ineffabile. D’altra parte la struttura del componimento

rispecchia quella umana, e l’opera diventa così riflesso dell’uomo: essa possiede infatti una struttura

organica che riflette il processo evolutivo della natura. Per questo motivo l’uscita da sé riguarda non

solo l’uomo, ma anche il componimento: in tal modo il cinema muto diventa emblema del

paesaggio musicale, poiché l’aspetto visivo esce da sé, dal suo campo usuale, per sconfinare

metaforicamente in un registro espressivo differente, ovvero quello musicale.

Quanto si è detto finora trova conferma nella cosiddetta “sinfonia delle nebbie”, una

sequenza del film Qui ciascun elemento della scena è metaforicamente

La corazzata Potëmkin.

concepito come fosse uno strumento musicale differente, a tal punto che l’intero paesaggio può

essere interpretato come un componimento orchestrale. In esso infatti si formano veri e propri

accordi, costruiti disponendo i vari oggetti visivi in un modo preciso secondo la volontà del regista,

e uno svolgimento polifonico-contrappuntistico dovuto al fatto che elementi diversi si

sovrappongono agendo in armonia con tutti gli altri, intrecciandosi e combinandosi in molteplici

modi. Si dovrebbe in questo caso parlare non di immagine musicale, ma di musica dell’immagine. È

l’immagine visiva che diventa musicale, non più la musica che si fa immagine. Questa concezione

rispecchia la spinta astrattista e metaforica del nostro autore, che però non sfocia nella mera

astrazione, bensì in una forma simbolica che richiama l’aspetto ancestrale dell’uomo, il quale per

sua natura è portato a creare forme in cui si intrecciano i vari elementi fra loro in una profonda

armonia.

Vi è un’ultima considerazione da fare, circa il rapporto tra la musica del paesaggio così

come è concepita da Ejzenštejn e la colonna sonora del film che abbiamo preso in considerazione.

Non vi è, secondo Finocchiaro, alcun collegamento diretto tra questi due elementi, sebbene il

regista abbia collaborato con l’autore dalla musica indirizzando l&rsqu

Dettagli
Publisher
A.A. 2015-2016
16 pagine
1 download
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-ART/07 Musicologia e storia della musica

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Azzo92 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di FIlosofia della musica e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Bologna o del prof Gozza Paolo.