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Estratto del documento

Nel caso in cui i 2 paesi non avessero aderito a un’UM, essi

sarebbero stati liberi di ricorrere agli strumenti di politica

monetaria nazionale per fronteggiare attivamente gli shock

asimmetrici tramite 2 metodi collegati al regime di tasso di

cambio adottato dai singoli paesi. Nel caso del primo regime,

i paesi mantengono un tasso di cambio flessibile potendo

variare il tasso di interesse interno o l’offerta per raggiungere

un particolare obiettivo. Nel caso del secondo regime, invece,

i paesi agganciano il loro tasso di cambio ad altre monete

potendo quindi rivalutare e svalutare la loro moneta.

Chiarire in quale modo la riduzione dell'incertezza

legata all'abbandono del tasso di cambio può favorire

la crescita economica.

Molti economisti ritengono che l’eliminazione del rischio di

cambio condurrebbe ad una maggiore crescita economica, in

quanto riduce l’incertezza aumentando teoricamente il

benessere. Questa idea può essere affrontata utilizzando il

modello di crescita neoclassico. Questa analisi ha contribuito

a far accettare l’idea che l’UEM costituisca uno strumento

idoneo a stimolare la crescita economica. Il modello di

crescita neoclassico è rappresentato da un grafico in cui:

- L’asse orizzontale mostra lo stock di capitale per

lavoratore

- L’asse verticale il prodotto per lavoratore.

La curva f(k) rappresenta la funzione di produzione che ha la

forma concava (ciò implica rendimenti marginali decrescenti).

L’equilibrio si ottiene nel punto A in cui la produttività

marginale del capitale è uguale al tasso d’interesse che i

consumatori utilizzano per scontare il consumo futuro (retta

rr con inclinazione pari al tasso di sconto). In questo modello,

la crescita può verificarsi solo se la popolazione aumenta

oppure se c’è un tasso esogeno di cambiamento tecnologico.

Si può utilizzare tale modello come punto di partenza per

valutare gli effetti sulla crescita di un’unione monetaria.

Elencare quali sono le dimensioni economiche da

valutare per stabilire se un gruppo di paesi costituisca

o meno un'Area Valutaria Ottimale; definire come si

costruisce la curva AVO e discutere e motivare

l'inclinazione della curva AVO quando si prendono in

considerazione - due alla volta – tali dimensioni.

Un’area valutaria ottimale (AVO) è un gruppo di paesi per i

quali, vista la stretta integrazione per quel che riguarda gli

scambi internazionali e la facilità nel movimento dei fattori

produttivi, conviene creare un’area di cambi fissi o un’unione

monetaria.

La teoria della Aree Valutarie Ottimali è stata inaugurata da

Robert Mundell nel 1961 con un articolo che si inseriva nel

dibattito sui vantaggi e svantaggi dei regimi dei cambi fissi o

flessibili. Le dimensioni economiche da valutare per stabilire

se un gruppo di paesi costituisca o meno un’AVO sono

certamente: il grado di apertura agli scambi internazionali, il

grado di simmetria negli shock (esogeni ed endogeni), il

grado di flessibilità dei mercati del lavoro, la volontà di

importare credibilità, l’integrazione dei bilanci nazionali e la

dimensione «politica». Possiamo costruire la curva AVO,

prendendo l’analisi la relazione che lega la flessibilità del

mercato del lavoro e gli shock asimmetrici in un’unione

monetaria:

Sulle ordinate poniamo il grado di simmetria fra i paesi che

sono candidati a formare un’unione monetaria (intendo per

simmetria il grado della correlazione esistente fra i tassi di

crescita del prodotto e dell’occupazione. Mentre ci spostiamo

verticalmente, la simmetria aumenta, ovvero diminuisce la

misura in cui si verificano shock asimmetrici. Sulle ascisse

indichiamo il grado di flessibilità dei mercati del lavoro in

questi paesi, misurato dalla flessibilità salariale e dalla

mobilità internazionale del lavoro. La relazione fra simmetria

e flessibilità è rappresentata dalla retta con pendenza

negativa AVO, che mostra la combinazione minima dei due

parametri che i paesi devono avere affinché un’unione

monetaria offra più benefici che costi. I paesi a destra della

retta AVO sono caratterizzati da una forte flessibilità, dato il

livello di simmetria che fronteggiano. Vale a dire che

riusciranno ad adeguarsi agli shock asimmetrici senza dover

sostenere forti costi di aggiustamento. Per questi paesi i

benefici di un’unione monetaria superano i costi. Essi

formano dunque un’area valutaria ottimale AVO.

Si elenchino le condizioni di convergenza per

l'adesione all'Unione Monetaria Europea stabilite da il

trattato di Maastricht e si discuta la loro coerenza o

meno con la teoria delle aree valutarie ottimali ed il

motivo per cui le condizioni di convergenza sono state

introdotte.

Il Trattato di Maastricht, firmato nel 1991, elenca i cinque

criteri di convergenza per l’adesione all’Unione Monetaria

Europea. Un paese poteva (e potrà) aderire all’UEM soltanto

se:

1. Il suo tasso di inflazione non supera di oltre l’1.5% la

media dei tre tassi di inflazione più bassi degli stati

membri dell’UE;

2. Il suo tasso di interesse a lungo termine non supera di

oltre il 2% la media osservata nei tre detti paesi a bassa

inflazione;

3. Ha aderito al meccanismo del tasso di cambio (ERM)

dello SME e non ha avuto una svalutazione durante i due

anni precedenti l’adesione all’unione;

4. Il suo disavanzo di bilancio pubblico non supera il 3% del

PIL;

5. Il suo debito pubblico non deve superare il 60% del PIL.

La teoria AVO non dice nulla a riguardo di suddetti criteri e

sottolinea invece, come importanti requisiti per il successo di

un UM, la flessibilità dei mercati del lavoro e la mobilità dei

lavoratori. Inoltre, la teoria AVO sostiene con forza la

necessità di creare un’unione di bilancio per rafforzare

l’unione monetaria, senza la quale essa rimane incompleta.

Quindi si può delineare una maggiore attenzione agli

elementi macroeconomici della convergenza, che doveva

precedere all’inizio dell’UEM, a scapito di quelli

microeconomici e politici ritenuti più importanti della teoria

AVO. Questa ragione va ravvisata nel timore che la futura

unione monetaria potesse determinare tensioni

inflazionistiche.

Discutere come la perdita dell'indipendenza monetaria

— in confronto a paesi non in unione monetaria —

possa influenzare la solvibilità del debito pubblico

nazionale. Spiegare anche quali conseguenze questo

possa generare in presenza di cicli economici

asimmetrici.

Con la cessione di sovranità monetaria, i paesi membri

perdono anche la possibilità di emettere i propri strumenti di

debito in una moneta che controllano. Il risultato di tale

potere è la mancanza di una certezza assoluta per cui i

governi possano garantire il rimborso dei titoli pubblici alla

loro scadenza. La conseguenza di questa situazione è che i

mercati finanziari acquisiscono la capacità di costringere quei

paesi ad un’insolvenza forzata. Nel caso di un paese

autonomo dal punto di vista monetario, dove vi sia timore di

insolvenza del debito pubblico, il governo potrà garantire

comunque il rimborso (se questo ne rimane a corto), poiché

vi è una banca nazionale disposta (o costretta) a fornire

liquidità. Parlando, invece, di un paese facente parte di

un’unione monetaria nella medesima situazione, l’offerta

monetaria di questo si contrae e sorge una crisi di liquidità. Il

governo, a differenza dei paesi autonomi, avendo la banca

nazionale priva di poteri e non controllando la Banca Centrale

e quindi può dover ricorrere all’insolvenza. Tale processo fa

acquistare potere ai mercati finanziari e perdere fiducia nel

governo nazionale scatenando una crisi di solvibilità. Le

ipotesi di insolvenza in presenza di cicli economici

asimmetrici di paesi partecipanti ad un’UM:

- Colpiti da uno shock asimmetrico permanente della

domanda occorrono flessibilità salariale e mobilità dei

lavoratori per correggerlo. In caso di conseguenti forti

disavanzi di bilancio, i mercati finanziari possono

amplificare gli effetti dello shock;

- colpi da shock asimmetrici temporanei della domanda,

l’accento si sposta dalla flessibilità alla stabilità,

compromessa dalla possibilità di comprare toli esteri

senza l’ostacolo del cambio. Le conseguenze possono

essere una crisi di liquidità e il rialzo del tasso di

interesse. Il risultato potrebbe essere la necessità di

ricorrere a misure di austerità, diminuendo la spesa e

aumentando le tasse con il risultato di aggravare la

recessione.

Spiegare, con riferimento al modello di Barro-Gordon,

anche con l'ausilio di grafici, perché il perseguimento

di bassa inflazione in un paese con preferenze anche

verso il contenimento della disoccupazione possa

risultare non credibile e dar luogo a una crescita

dell'inflazione. Chiarire, in questo quadro, quali

vantaggi deriverebbero per un paese ad alta inflazione

dalla partecipazione a un'unione monetaria.

Con riferimento al modello di Barro-Gordon, ed esplicando le

preferenze delle autorità monetarie tra inflazione e

disoccupazione rappresentate attraverso curve di indifferenza

delle autorità (curva di Phillips aumentata per le aspettative);

possiamo notare la concavità di queste data dall’idea che

quando il tasso di inflazione diminuisce, le autorità diventano

meno inclini a far aumentare la disoccupazione per ridurre il

tasso di inflazione. In particolare possiamo distinguere in due

tipologie di governi:

- governi accomodanti (wet nosed), i quali sono molto

sensibili al problema della disoccupazione e hanno curve

di indifferenza molto inclinate (per ridurre il tasso di

disoccupazione sono disposte ad accettare maggiore

inflazione);

- governi intransigenti (hard nosed), le autorità sono molto

rigide rispetto al problema dell’inflazione e hanno curve

di indifferenza relativamente piatte (sono disposte a

lasciare aumentare molto il tasso di disoccupazione per

ridurre il tasso di inflazione di un punto percentuale).

In merito al caso in cui un paese attribuisca importanza sia

all’inflazione che alla disoccupazione le curve di indifferenza

risulterebbero come segue:

Il modello Barro-Gordon chiarisce che questa situazione di

contemporaneo perseguimento dei due suddetti obietti è

poco credibile poiché la regola di mantenere l’inflazione

uguale a zero non ha alcuna cr

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Publisher
A.A. 2017-2018
36 pagine
SSD Scienze economiche e statistiche SECS-P/01 Economia politica

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher aeitni di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Economia monetaria e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Roma La Sapienza o del prof Raitano Michele.