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La pioggia stanca la terra, di poi; s'affolta
il tedio dell'inverno sulle case,
la luce si fa avara – amara l'anima.
Quando un giorno da un malchiuso portone
tra gli alberi di una corte
ci si mostrano i gialli dei limoni;
e il gelo del cuore si sfa,
e in petto ci scrosciano
le loro canzoni
le trombe d'oro della solarità.
Analisi stilistica
I limoni è un componimento di quattro strofe di lunghezza variabile, costituite da versi
sciolti, principalmente endecasillabi e settenari, questi ultimi anche doppi. I versi sono
spesso legati tra loro attraverso delle rime, le più ricorrenti sono le rime al mezzo (vv
1-3 “laureati/usati”, vv 17-20 “dolcezza/ricchezza”, vv 31-32 “indaga/dilaga” , v 35
“umana/allontana” ,v 42 “avara/amara”) frequenti sono anche rime a fine verso (vv 8-
10 “ciglioni/limoni”, vv 18-21 “passioni/limoni”, vv 25-28 “aspetta/metta”) ed è
presente anche una rima baciata (vv 12-13 “azzurro/sussurro”). Fitta è anche la trama
della assonanze e delle consonanze, utilizzate per sottolineare il paesaggio brullo caro
a Montale descritto ai versi 5-9, o ancora ai versi 27-28 per sottolineare la volontà
dell’epifania, o ancora per descrivere l’effetto dell’odore dei limoni all’imbrunire del
giorno ai versi 31-33 sino ad arrivare all’illusione dell’epifania ai versi 37-39, 42. Si può
notare che lo schema della rima è molto arbitrario, questo è un carattere tipico del
verso libero, il quale ha eliminato la schematizzazione della rima e si è liberato dalla
rigida lunghezza dei versi. A questo processo è seguita la sperimentazione di nuovi
ritmi che ha avuto diversi esiti, alcuni che ricalcano la metrica classica , si veda
Carducci, altri totalmente innovativi, si vedano le sperimentazioni dei poeti futuristi. A
conferire ritmo al componimento contribuiscono anche le figure retoriche di
ripetizione, si possono segnalare delle anafore ai vv 18-20 “qui/qui”, ai vv 27-28 “il/il”,
ai vv 46-47 “e/e”, vv 48-49 “le/le”, si può segnalare inoltre l’epifora della parola limoni
ai fine della prima e seconda strofa e la ripresa al verso 45. La sillaba tra del verso 38
ricorre ben 9 volte di cui 4 come preposizione. Ai versi: 4 (strade), 9 (preposizione), 10
(preposizione), 20 (mostra), 24 (tradire), 38 (mostra), 39 (preposizione), 44
(preposizione), 45 (mostrano). É da notare comunque come ricorrano in tutta la poesia
suoni stridenti. Di fondamentale importanza è il chiasmo al v 43, segnalato anche da
una forte cesura e dalla paronomasia“la luce si fa avara-amara l’anima”. La scrittura di
un testo nasce da una mancanza, da un vuoto, da un trauma individuale e/o sociale.
L’autore sopperisce a questa mancanza, ferita attraverso degli escamotage che si
sviluppano contrariamente verso i binomi apertura/chiusura, sutura/rottura; si può
parlare di un atteggiamento di apertura di Montale segnalato dall’apostrofe che apre il
componimento e attraverso la quale il poeta si riferisce al lettore con un imperativo
molto forte seppure con un tono confidenziale. Tra i fenomeni di ricorrenza si osserva
la figura etimologia presente al v 4 “io, per me” che rimarca l’antitesi tra il poeta e i
sopracitati poeti laureati, con forte richiamo a quei poeti ufficialmente riconosciuti e
apprezzati dalla società. Un ritmo spezzato è conferito dagli enjambement , fenomeno
che mette in correlazione la sintassi e la metrica e si concretizza nello spezzamento
dell’andamento sintattico del verso. Se ne segnalano cinque nella prima strofa (vv1-2,
vv4-5, vv5-6, vv6-7, vv9-10) due nella seconda strofa (vv11-12, vv15-16) quattro nella
terza strofa (vv22-23, vv23-24, vv25-26,vv28,29)quattro nella quarta strofa (vv31-
32,vv32-33,vv34-35,vv35-36) quattro nell’ultima strofa (vv40-41,vv44-45,vv47-
48,vv48-49). Tra le figure di significato si segnala le metonimie ai versi 12 “inghiottite
dall’azzurro”, v 39 “l’azzurro si mostra”. La metafora facilmente rintracciabile si trova
al v 19 “tace la guerra” che indica il conflitto delle passioni e il senso di disarmonia
che determinano la vita, ma sono presenti nel componimento anche analogie
metaforiche che coinvolgono i sensi e nelle quali si verifica una sorta di contiguità
nell’analogia, questo è il caso delle sinestesie che si possono segnalare al verso 15 “e i
sensi di quest’odore” e al verso 49 “trombe d’oro della solarità”. Presenti sono anche
le figure retoriche di negazione. Palese è l’ossimoro presente al verso 17 “ dolcezza
inquieta” che sottolinea la contraddizione tra il miracolo epifanico dell’odore dei limoni
e l’inquietudine provocata da questo evento. Più sottile è il procedimento dell’ironia, si
può rintracciare al verso 20 in cui si percepisce la volontà del poeta di un evento che
lo strappi dalla quotidianità, di un’epifania che però non può proporsi a “noi poveri”,
cioè ai poeti lontani dalla tradizione illustre e aulica, non un’esperienza panica e
superomistica come in D’Annunzio. Un'altra immagine in cui è rintracciabile l’ironia si
trova ai versi 35-36 in cui il poeta afferma che nel momento in cui le cose stanno per
svelarci la loro vera essenza siamo indotti a vedere il divino nella natura, a scambiare
anche l’ombra di un uomo che si allontana per una divinità ma, come precisa subito
dopo, questa non è che un’illusione. In questi versi Montale riprende, in chiave ironica,
un’immagine classica, probabilmente in riferimento all’Alcyone dannunziano, in cui
spesso la natura appare abitata da presenze divine. Infine i limoni, simbolo chiave di
tutto il componimento diventano il correlativo oggettivo di tutta l’esistenza, hanno il
potere di evocare pace, tranquillità, evocano nonostante l’illusione dell’epifania uno
slancio di felice vitalità in grado di vincere la tristezza invernale.
Analisi del testo Ossi di seppia
Posto tra i primi tesi della raccolta questo componimento costituisce un
vero e proprio manifesto della poetica montaliana. Rivolgendosi al lettore in tono
confidenziale il poeta segnala la sua distanza dalla tradizione precedente,
identificabile in d’Annunzio, rifiutando una versificazione aulica e sublime, propria dei
“poeti laureati” con i loro pregiati “bossi, ligustri o acanti”. Ad essi Montale
contrappone una realtà comune, costituita da un paesaggio scabro e povero che vive
di immagini concrete, è questa la linea poetica scelta da Montale, di indubbia
ascendenza pascoliana. Egli predilige la “poesia delle cose” e pone al culmine di
questo procedimento l’immagine risolutiva e simbolica dei limoni, emblema di una
realtà aspra ma intensamente colorata e viva. In questa atmosfera propizia, di un
paesaggio ben noto e tranquillo segnalato dall’odore dei limoni, il poeta vive una forte
volontà di epifania, aspetta qualcosa che lo porti oltre la quotidianità: nel silenzio della
natura, le “cose” sembrano abbandonarsi, svelare il loro segreto, la loro intima
essenza. Sembra ora possibile scorgere il “punto morto del mondo”, “l’anello che non
tiene”, cioè la possibilità di spezzare le leggi deterministiche che governano il mondo,
secondo una concezione positivista e quindi di poter andare oltre l’apparenza delle
cose, a una verità essenziale. Sembra anche di riuscire a scorgere una presenza divina
nella natura, secondo un chiaro richiamo alla poetica dannunziana dell’Alcyone in cui
speso la natura è abitata da presenze divine. Non tarda ad arrivare la disillusione. La
rivelazione attesa non si compie, è esclusa la possibilità di attingere alla vera essenza
delle cose. La forte avversativa del verso 37 esclude ogni tipo di speranza. La
disillusione coincide con il cambio di paesaggio, da quello della campagna Ligure, caro
a Montale, si passa al paesaggio delle città “rumorose” tali quindi da impedire ogni
tipo di attenzione, dove la natura è scomparsa e dove “l’azzurro si mostra soltanto a
pezzi”, dove “il tedio dell’inverno sulle case” soffoca la vita. Nell’alternanza delle
stagioni però la vista dei “gialli limoni” attraverso un cortile vivifica e riporta la felicità
di una rinata illusione. Se non è più possibile un’epifania, resta almeno la consolazione
di un momento di slancio vitale.
Forte è l’influenza del pessimismo di Schopenhauer nella filosofia montaliana,
ravvisabile nell’idea che le realtà sensibili siano solo parvenze ingannevoli e illusorie. Il
poeta si protende a cercare un “varco” che consenta di uscire dalla prigionia