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SCRITTA UN PO’ MALE!!
All’interno del filone di teorie classiche che analizzano lo sviluppo politico in un’entità statale,
Stein Rokkan individua sei “soglie critiche”, ovvero sei punti di crisi che il neonato Stato
affronta e supera per realizzare la propria affermazione.
Rokkan lega l’assenza di sviluppo in alcuni paesi con la mancata affermazione di un
sistema politico coeso e legittimato.
Inizialmente, lo Stato affronta una crisi d’identità nella quale la popolazione non riconosce la
propria appartenenza a un’entità nazionale: la classe politica, dunque, deve avvicinare i
cittadini e dar loro modo di riconoscersi in una collettività. In questa fase, un ruolo
strumentale importantissimo lo hanno la cultura, che costruisce riti, miti, valori condivisi, e i
mass media, che veicolano il messaggio politico di unità.
Successivamente, si verifica una crisi di legittimazione, ovvero il non riconoscimento della
classe di governo come indiscussa autorità politica. Per avvicinarsi alla popolazione e
avviare il percorso di sviluppo necessario, gli esponenti politici in questa fase avviano un mix
di politiche pubbliche e di natura privata al fine di incentivare la partecipazione allo sviluppo
economico (nascono i mercati, i sistemi di burocrazia, l’associazionismo, cresce il ruolo delle
famiglie nel tessuto sociale).
Poi, lo Stato si trova a gestire una crisi di penetrazione: la classe di governo, per legittimare
la propria azione, realizza una serie di interventi in profondità nel tessuto sociale del Paese e
consolida così la propria presenza operativa e creare fiducia.
Successivamente, si verifica una crisi di partecipazione, ovvero un’importante crescita del
volume di richieste di partecipazione al processo decisionale da parte della società civile.
La penultima fase riguardante lo sviluppo politico è la crisi di integrazione, ovvero la
necessità del sistema politico di integrare i rapporti tra le proprie parti: generalmente,
sistema legislativo, esecutivo e giudiziario.
Infine, lo Stato affronta la fase di redistribuzione del valore prodotto da sviluppo politico ed
economico: ci troviamo di fronte alla crisi di distribuzione (o crisi di solidarietà) che
danneggia il patto sociale (Weber, Marshall) tra borghesia e proletariato stipulato per
superare la lotta di classe, in seguito alle rivendicazioni sociali tipiche della società
industriale.
La crisi di distribuzione può essere causata da diversi fattori, per esempio a causa di una
crisi fiscale.
17. Oltre una prospettiva evolutiva: ulteriori terreni critici dei processi di
modernizzazione
Una delle principali critiche mosse alla Teoria Classica è quella rivolta al suo impianto
complessivamente orientato a un’idea evoluzionistica della modernizzazione, caratterizzato
da unilinearità e irreversibilità. Essa prefigura l’arrivo a una convergenza di tutte le società in
una sola modernità dopo il passaggio attraverso tappe obbligate e prefissate di adattamento
a una situazione ambientale data. Sono quindi trascurate le battute d’arresto e il carattere
diseguale, discontinuo e fortemente perturbato del mutamento nelle società in via di
sviluppo. Per questo motivo, Huntington distingue tra modernizzazione, ovvero processi
considerati generalmente irreversibili come industrializzazione, urbanizzazione,
alfabetizzazione, crescita del prodotto nazionale, e sviluppo politico, ovvero l’affermarsi,
soggetto a stagnazioni e regresso, di istituzioni e procedure politiche. Inoltre, molti studi
classici (in primis il modello struttural-funzionalista di Parsons) sottovalutano le opportunità
del conflitto a favore dell’integrazione e il cambiamento rivoluzionario a favore di quello
graduale. Per di più, appare limitante immaginare la modernizzazione come un processo
che trova un compimento (nelle società occidentali), e non invece come aperto e continuo.
Altre critiche riguardano l’eccessiva concentrazione sulle forze sistemiche del cambiamento
rispetto a quelle non-sistemiche e ai soggetti (che vengono comunque trascurati quando
anche sono prese in considerazione le strategie degli attori collettivi) e la pretesa di costruire
grandi teorie universali (in particolare sotto l’influenza della teoria dei sistemi) senza fornire
adeguate basi empiriche comparate. Infine, si critica il carattere ideologico degli studi della
Teoria Classica, che slitta frequentemente dal piano meramente descrittivo a quello
normativo indicando modelli di società “corretti” al fine di raggiungere una modernizzazione
di cui non si considera la molteplicità degli sviluppi. Nel complesso, le critiche rivolte alla
Teoria Classica della Modernizzazione contribuiscono al passaggio da una prospettiva
sistemica e lineare a una storico-comparativa e composita, come emerge dai lavori della
sociologia storica, delle teorie neomarxiste e da quelli della New Political Economy.
18. Come si sviluppa l’attenzione alla partecipazione come fattore costitutivo della
cooperazione?
Nella Teoria Classica della Modernizzazione viene presa in considerazione l’azione di attori
tradizionalmente contemplati dall’analisi classica della politica internazionale come, in
particolare, lo stato nazione, ma anche organizzazioni sovranazionali, organizzazioni non-
governative, comunità epistemiche e gruppi di esperti. Ampia inoltre è la trattazione delle
élites modernizzanti quali attori protagonisti dei processi di modernizzazione. Gli sviluppi
della sociologia dello sviluppo successivi alle Teorie Classiche hanno poi metabolizzato le
critiche mosse a queste ultime, come quella di eccessiva concentrazione sugli stati
nazionali, le forze sistemiche e i processi endogeni. Maggiore sofisticazione è stata
riconosciuta a stati e società rispetto alla loro concezione “monolitica”, prendendo coscienza
della numerosità e varietà di attori e sub-attori che li popolano. In un’ottica di cooperazione,
ciò ha contribuito a spostare l’attenzione sui diretti destinatari delle misure di sviluppo, vale a
dire ai cittadini e ai gruppi più o meno organizzati che essi formano, in opposizione a un
approccio basato su pacchetti di interventi concepiti per essere universalmente applicabili e
un’interlocuzione quasi esclusiva con le istituzioni statali. In particolare negli anni 1970, il
riferimento ai destinatari diventa così centrale e imprescindibile da suscitare critiche che lo
ritengono eccessivo e controproducente. In questo senso si parla di “tirannia della
partecipazione”, ovvero la sopravvenuta impossibilità di sottrarsi a un coinvolgimento
profondo dei cittadini nelle politiche di sviluppo. La partecipazione, che riguarda non solo la
fase di problem solving ma anche quella di problem setting, rischia, quando male
interpretata, di rappresentare un obiettivo, e non un esito possibile, degli interventi di
sviluppo, delegittimare l’affidamento comunque imprescindibile sulle autorità e istituzioni
locali, e compromettere la “mutual education” tra gli esperti e il loro pubblico di riferimento.
19. Quali gli esiti dei processi di modernizzazione, nella TCM?
Il modello della Teoria Classica della Modernizzazione, data la sua impostazione
evoluzionistica, implicitamente normativa e poggiante sulla dicotomia tradizione-univoca
modernità, prefigura una progressiva convergenza di tutte le società interessate dalla
modernizzazione stessa. L’approssimazione di un modello univoco da perseguire causata
dalle pretese universalistiche della Teoria Classica, trova dei riscontri ad esempio nella
“McDonaldizzazione” descritta da Ritzer: parcellizzazione del lavoro, consumi di massa di
prodotti simili e abbassamento della qualità della produzione interessano in una certa misura
ogni parte del mondo. Se però la modernizzazione è un processo globale che diffonde
alcune similitudini tra i vari contesti in cui opera, non regge alla comparazione storica
l’ipotesi che essa sia costruita ed esperita ovunque allo stesso modo. Appare irragionevole
affermare che, per l’intrinseca logica dell’industrialismo e per i vincoli tecnologici, tutte le
società convergano verso un modello occidentale di democrazia liberale di libero mercato.
Tuttavia la teoria della convergenza trova numerosi sostenitori nell’ambito delle Teorie
Classiche, come Kerr, che fornisce come esempio la riduzione dello spazio del mercato in
Occidente e la parallela riduzione del controllo statale sull’economia nel mondo comunista,
ipotizzando un avvicinamento dei due diversi paradigmi economici. Kerr si basa sul
determinismo tecnologico, e in particolare sull’assunto che esista in ogni data situazione una
sola tecnologia capace di assicurare la migliore produttività, delineando una logica
immanente e lineare della tecnologia stessa. Goldthorpe parla invece di un’approssimazione
“asintotica” delle strutture sociali verso una pura “forma industriale”, indotta dal progredire
dell’economia industriale. Lo stesso Rostow, con la teoria degli stadi di sviluppo
“universalizza” il percorso seguito dagli stati dell’Occidente. Anche i rapporti economici tra
paesi in via di sviluppo e sviluppati trova una spiegazione nelle Teoria Classica, che
descrivono il vantaggio di cui possono inizialmente avvalersi i primi offrendo le loro ricche
risorse naturali e forza lavoro e ricevendo poi dal “primo mondo” prodotti lavorati a basso
prezzo, in virtù della concorrenza. Secondo l’idea del trickle-down poi, l’integrazione dei
paesi poveri nelle dinamiche dei mercati internazionali ne favorisce proporzionalmente lo
sviluppo.
20. In che senso si afferma che il concetto di sviluppo implica una “naturalizzazione
della storia”?
Il concetto di sviluppo, in particolare nell’interpretazione della Teoria Classica della
Modernizzazione, implica una “naturalizzazione della storia”. La storia è assimilata a un
processo naturale, che si può osservare ma non modificare in modo sostanziale, e viene
concepita, in una prospettiva evoluzionistica, come una traiettoria univoca caratterizzata da
una gradualità esclusivamente quantitativa. Si trascura invece la possibilità di identificare
cause e responsabilità delle trasformazioni storiche, e le società vengono poste tutte sullo
stesso binario, implicando l’ammissibilità di concetti quali il sottosviluppo o l’arretratezza.
L’esempio principe è la rinuncia a ricostruire eredità e conseguenze del colonialismo, sul
quale ha poggiato in larga parte la modernizzazione dei paesi del cosiddetto primo mondo, e
la situazione di svantaggio dei paesi colonizzati, che vengono invece messi sullo stesso
piano dei pri