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La neuropsicologia studia l’espressione comportamentale di una serie di deficit cerebrali. Si occupa,
specificamente, di come il cervello possa influenzare cognizione e comportamenti in persone che mostrano
lesioni o malattie cerebrali. La neuropsicologia si occupa della valutazione e nel trattamento di pazienti con
lesioni cerebrali o malattie a carico del sistema nervoso. Attraverso l’esame neuropsicologico è possibile
valutare le funzioni cognitive, come la memoria, il linguaggio, l’attenzione, l’organizzazione e la
pianificazione, e comportamentali e la relazione esistente con il deficit presentato. Un’accurata valutazione
neuropsicologica è fondamentale per avere una diagnosi delle funzioni cognitive ed è determinante per un
adeguato intervento terapeutico e riabilitativo. Lo scopo, dunque, della neuropsicologia, è individuare il
deficit presentato dal paziente e riabilitarlo, oltre a trattare le diverse implicazioni psicologiche derivanti dal
disturbo stesso e riguardanti la sfera emotiva.
Cosa si intende per paradigma diatesi stress?
Il modello diatesi-stress è una teoria che tende a spiegare l’origine dei disturbi mentali, secondo la quale in
alcune persone l’effetto combinato della vulnerabilità genetica e di fattori stressanti supera la soglia di
adattamento bio-psico-sociale e favorisce la comparsa dei sintomi del disturbo mentale a cui la persona è
vulnerabile. Vulnerabilità è una predisposizione a un fattore, il rischio descrive fattori correlati e con una
maggiore probabilità di portare a un disturbo., non specificando che cosa causa il disturbo. Ad esempio, il
genere può essere un fattore di rischio ben consolidato per alcuni disturbi, ma questa sola conoscenza non
è informativa sul perché le donne o gli uomini, a seconda dei casi, hanno maggiori probabilità di
sperimentare determinati disturbi. Al contrario la vulnerabilità delinea in modo più chiaro le relazioni
causali tra determinate variabili e insorgenza del disturbo.
Come influiscono i fattori socio culturali nell'individuo?
Le caratteristiche legate alle tradizioni, ai costumi, alla lingua, alle risorse comunicative e agli aspetti
culturali sono condivise. Si inizia ad apprendere, passivamente, sin dalla tenera età, dal momento che è
radicato all'interno del nucleo familiare, essendo questo il primo contatto che ogni persona ha con la
società. Più tardi, nella misura in cui l'essere umano interagisce nella società, continuerà ad interiorizzarli e
ad accettarli o a prenderne le distanze.
Il comportamento delle persone è riconosciuto perché i fattori culturali e sociali le influenzano, e questi si
combinano con le esperienze personali e con particolari sviluppi psicologici. Un modo per comprendere
ciascuno dei modelli di comportamento è quello di prendere in considerazione i modelli di vita in comunità
espressi dalle attività, dalla vita quotidiana e dagli interessi comuni. Questo si può osservare dalle società
che hanno adottato uno stile di vita sostenibile, le persone hanno accettato di evitare e ridurre i rifiuti
promuovendo il riciclaggio e la ricerca di uno stile di vita più naturale. Vengono applicati diversi criteri per
individuare quali sono le buone pratiche che garantiranno una migliore efficienza e una convivenza più
equilibrata. A chi possono essere menzionati aspetti come la democrazia, l’equità, la pace e la giustizia
sociale. Da un punto di vista psicologico, è importante capire come gli individui sviluppano le loro capacità
mentali quando si trovano d’accordo su società dove c’è libertà, uguaglianza, tolleranza e rispetto. Gli
elementi positivi di una struttura sociale correttamente costituita promuovono lo sviluppo di valori,
comportamenti e atteggiamenti che riconoscono. Per gli altri garantendo i loro diritti fondamentali. Le
persone diventano più consapevoli e libere perché hanno pieno potere di decidere e di esercitare.
Quale è l'equivoco del primo colloquio secondo Lang?
Del Corno e Lang parlano dell’”equivoco del primo colloquio”, intendendo come il riferirsi a un primo
colloquio faccia pensare che questo abbia delle caratteristiche diverse dai colloqui successivi. In realtà, il
concetto di primo colloquio è un’astrazione, in quanto l’unico elemento che lo contraddistingue dagli altri è
l’estraneità tra professionista e paziente. In alcuni modello teorici, ad esempio, il “primo colloquio” viene
svolto nel corso della prima telefonata di contatto per prendere l’appuntamento. L’estraneità tra
professionista e paziente, permette di avere delle linee guida per la conduzione del primo colloquio, che
avrà come obiettivo il ricavare alcune informazioni.
È possibile che la fase di estraneità duri poco o si protragga per un tempo più lungo, e questo possa
richiedere anche diversi colloqui, questo dipende dall’alleanza che si instaura tra professionista e paziente e
dalla complessità del funzionamento psichico del paziente. L’assetto emotivo-cognitivo del primo colloquio,
quindi, dura fino a che non si comprende il funzionamento globale del paziente, i suoi sintomi e si mettono
le basi per la strutturazione dell’alleanza terapeutica. Allo stesso modo non si devono necessariamente
reperire tutte le informazioni nel primo colloquio, in quanto alcune si possono rimandare a un momento e
colloquio successivo
Cosa è il setting e come si definisce?
Il colloquio si svolge in un contesto definito e con delle proprie coordinate. Questo contesto viene chiamato,
in psicologia, setting. La parola setting deriva dall’inglese “set” che significa cornice, e questo fa
comprendere bene il significato e il valore del setting: una cornice fisica e mentale, entro quale si svolge non
solo il colloquio, ma anche la relazione tra i due soggetti implicati, terapeuta e paziente. Possiamo
distinguere alcune componenti fondamentali del setting: il dove (far sì che ci sia un luogo percepito come
accogliente e sicuro, dove il paziente possa sentirsi libero di parlare e lo psicologo di comprendere. La porta
chiusa rappresenta quel confine in cu sentirsi sicuri che “niente di quanto ci diremo uscirà di qui”) ; il
quando (è necessario fissare un appuntamento preciso con il paziente, comunicare la durata del colloquio e,
se possibile, comunicare al paziente il numero di incontri successivi); il quanto (essere chiari sull’onorario e
comunicarlo); e il come (riguarda le modalità secondo le quali effettivamente si svolge il colloquio).
Il setting affonda le proprie radici nella psicoanalisi freudiana. È parte della tecnica psicoanalitica e a sua
volta la sostanzia. Nato con una funzione prevalentemente normativa, oggi lo possiamo intendere come il
“contesto” all’interno del quale avviene l’incontro tra terapeuta e paziente.
Di che tipo possono essere le aspettative del soggetto nel primo colloquio?
Talvolta qualcuno porta con sé desideri troppo elevati rispetto al tipo di aiuto che nella realtà è possibile
attuare. Altre volte ritengono che l’intervento di un professionista possa modificare i comportamenti
negativi delle persone che gravitano attorno all’assistito. Possono emergere sia distorsioni del pensiero, sia
la presenza di idealizzazioni nell’immagine dello psicologo. Al contrario la presenza di aspettative molto
basse può rivelare un tono dell’umore deflesso, la percezione che gli eventi non possano modificarsi e,
ancor peggio, l’impossibilità di esercitare un’azione per trasformare l’esito degli eventi. Questi elementi
indirizzano il lavoro del clinico e forniscono informazioni per stilare una diagnosi. Il fine dei primi colloqui è
ricevere informazioni per fornire informazioni.
Come si definisce il processo diagnostico?
Si definisce processo diagnostico: “l’iter che il clinico percorre insieme al paziente, allo scopo di rilevare e
circoscrivere l’ampiezza e l’entità del/dei disturbi lamentati, attribuire loro un significato e individuare le
possibili strategie cui avvalersi per ridurre, modificare o eliminare, laddove possibile, la causa che provoca la
sofferenza che il paziente stesso e/o i suoi familiari lamentano”.
Il termine processo si ricollega alla necessità di intendere la diagnosi come una specifica modalità di lavoro,
in cui la relazione tra terapeuta e paziente ha delle caratteristiche peculiari. Per il clinico il processo
diagnostico è un processo di tipo emotivo-cognitivo con l’obiettivo di individuare e selezionare le
informazioni che serviranno per formulare la diagnosi e a creare le condizioni che consentono un efficace
rapporto terapeutico. Per il paziente si tratta di strutturare una particolare situazione relazionale che gli
consente di contribuire allo sforzo conoscitivo.
Quali sono le fasi del processo psicodiagnostico?
Fasi del processo diagnostico:
1. Invio o autoinvio: il paziente può essere stato inviato (da un familiare, da un altro professionista…) o può
venire spontaneamente;
2. Primo contatto con il professionista;
3. Incontro con il paziente (finalizzato alla diagnosi)
Da qui abbiamo la fase della Restituzione della diagnosi che può portare a tre tipi di scenario:
1.Negoziazione dell’intervento, a cui segue l’attuazione e la successiva conclusione dell’intervento
2. Controindicazione all’intervento
3. Conclusione del processo diagnostico.
A seguire, in ogni caso, è previsto un follow up.
Da dove deriva la decisione di rivolgersi a uno psicologo clinico?
La decisione di rivolgersi a uno psicologo clinico è, di solito, il risultato di un ragionamento diagnostico fatto
dall’individuo, che si rende conto di non essere più in grado di trovare soluzioni in modo autonomo al suo
malessere. In altri casi, è il risultato di pressioni esterne (familiari, amici) che il soggetto fa proprie oppure,
come nel caso di un invio da parte di un’autorità giudiziaria, diventa un’accettazione passiva di
un’indicazione proveniente dall’esterno.
Come si definisce il colloquio clinico?
Il colloquio clinico è un processo interattivo che ha una reciprocità di azione, cioè i cui protagonisti
interagiscono tra loro in modo reciproco; che ha luogo tra almeno due persone per poter stabilire la
relazione terapeutica necessaria, diverso dalla conversazione in quanto non è sostituibile con una
chiacchierata prendendo un caffè con un amico, avendo una struttura precisa e delle regole precise, che non
sono presenti in una normale conversazione, in quanto l’interazione è finalizzata al conseguimento di un
obiettivo predeterminato (a differenza della conversaz