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LE EMOZIONI

In ogni tempo le emozioni, o meglio la capacità di provare emozioni, sono state associate al vivere. Vivere

vuol dire provare emozioni e l’incapacità di provare emozioni, all’opposto, è stata considerata equivalente al non

vivere. Chi è colpito da depressione smette di provare emozioni e si sente “morto dentro”.

Le emozioni, così, sono state da sempre il campo di studio privilegiato degli studiosi dell’anima e da sempre

sono state correlate a parti del corpo: così il cuore è la sede dell’amore, il fegato del coraggio ecc. Ippocrate

legava le emozioni agli umori, bile nera, ecc. Nel 1872 Darwin pubblicava “L’espressione delle emozioni

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nell’uomo e negli animali”, opera in cui sosteneva che le emozioni non sono una peculiarità della mente umana,

ma sono presenti anche negli animali. Questa tesi era sostenuta da centinaia di osservazioni di espressioni e

comportamenti specifici correlabili a singole emozioni. In tempi più recenti ogni scuola psicologica ha tentato di

sistematizzare il campo delle emozioni, sia nel senso di denominarle creando lunghi elenchi anche di centinaia

di emozioni, sia nel tentativo di definire quali erano le principali.

Per emozione possiamo intendere uno schema che associa una sensazione o un sentimento a reazioni

fisiologiche e a dati comportamenti. Questi sono schemi filogenetici che hanno permesso l’evoluzione della

specie e sono stati tramandati, praticamente intatti, fino a noi: di fatto reagiamo ai problemi quotidiani con gli

stessi schemi di trentamila anni fa! La branca che indaga i rapporti tra emozioni e strutture cerebrali è la

neuropsicologia, uno dei maggiori divulgatori di questa disciplina è Daniel Goleman. Secondo Goleman le

principali e più antiche emozioni sono la rabbia, la paura, la tristezza e la gioia. Ai primordi dell’evoluzione, i

mammiferi hanno dovuto sviluppare delle strutture cerebrali che permettessero di riconoscere prontamente se

l’essere che si trovavano ad incontrare fosse una preda, un predatore, un oggetto sessuale o avere una valenza,

e che permettessero altresì rapide azioni di attacco o di fuga. Queste strutture ancora presenti nel nostro

cervello, nel paleoencefalo o rinencefalo, o sistema limbico, sono l’ippocampo, che permette una rapida azione,

e l’amigdala che rappresenta una memoria primitiva di tipo emotivo.

Proviamo a spiegare il loro funzionamento nella vita attuale:

“Sono in auto e sto viaggiando velocemente, ad un tratto un gatto mi attraversa la strada.

Istintivamente sterzo (azione dell’ippocampo), perdo il controllo della macchina e vado fuori strada.

Da allora una grossa paura mi impedisce di guidare. Dopo un po’ di tempo un amico mi porta in macchina in un

ampio parcheggio vuoto, c’è un’ottima visibilità e non vi sono altri mezzi in movimento e mi chiede di riprendere

la guida. Io so razionalmente che non c’è nessun pericolo, ma il ricordo emotivo di quell’incidente (azione

dell’amigdala) mi inibisce a distanza di tempo”. Filogeneticamente dopo queste strutture la razza umana e alcuni

primati hanno sviluppato la corteccia cerebrale. La corteccia frontale serve, in pratica, a mettere un breve lasso

di tempo tra la percezione e l’azione, in modo che possiamo scegliere la soluzione migliore (agire subito,

rimandare l’azione, mascherare un’emozione ecc.) ed è all’interno di questo lasso di tempo che si svilupperà in

seguito il pensiero. La drammatica morte avvenuta circa trent’anni fa del calciatore Re Cecconi ci offre un

esempio calzante del rapporto tra sistema limbico e corteccia cerebrale. Re Cecconi era un calciatore della

Lazio che vinse lo scudetto nel 1974, era conosciuto e famoso. Un giorno per fare uno scherzo ad un suo amico

gioielliere entrò nel negozio con il viso coperto da un passamontagna. L’amico, che aveva già subito delle

rapine, non esitò un attimo a prendere la pistola e sparare, salvo poi riconoscere nel rapinatore l’amico.

Per tornare alle emozioni principali possiamo dire che sia l’aggressività (come reazione ad una

frustrazione) che la paura (reazione ad un pericolo) servivano ad un comportamento adattivo migliore:

bisognava decidere immediatamente se fuggire o attaccare. A questo punto si avevano delle sensazioni e

insieme una secrezione di adrenalina che nel caso della rabbia porta ad energizzare i muscoli soprattutto degli

arti superiori, mentre nella paura la stessa secrezione porta il sangue verso gli arti inferiori preparandoli ad una

fuga. Altri effetti della paura sono quello di paralizzare il corpo, che ricalca il sistema che hanno alcuni animali di

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fingersi morti quando sono inseguiti da un predatore, oppure aumentare la peristalsi e liberare l’intestino che

equivale a rendersi più leggeri per fuggire più rapidamente. C’è infine da dire che esistono delle paure che sono

funzionali alla sopravvivenza della specie e che appaiono innate, quali: la paura dell’altezza, la paura del buio o

quella legata all’abbandono della figura a cui siamo attaccati. Tra queste paure rientra, probabilmente la paura

dei serpenti e dei rettili in generale.

Nella tristezza (che è la reazione ad un’esperienza o a un sentimento di perdita) il corpo perde le sue

energie, cala la quantità di serotonina e così, come il cucciolo abbandonato non si allontana dalla tana, la

persona triste tende a non uscire di casa, quindi ritirandosi si ha la possibilità di riflettere sui propri errori e di

avviare un processo di separazione o elaborazione del lutto, come si dice in psicoanalisi, che è il presupposto

per una rinascita (la depressione è spesso associata ad un morire) e la realizzazione di un nuovo equilibrio.

Nella gioia il corpo secerne endorfine; le endorfine hanno il compito primario di filtrare gli stimoli

dolorosi, oltre una certa quantità provocano un senso di pienezza, una sensazione di invulnerabilità, per cui

niente può ferirci, e quindi avvertiamo gioia. E’ interessante notare che le endorfine hanno la stessa struttura

molecolare degli oppiacei, e possiamo capire la loro azione osservando una crisi di astinenza. Durante

l’assunzione di oppiacei il corpo smette di produrre endorfine e al momento in cui si sospende improvvisamente

l’assunzione il tossicodipendente si trova esposto senza difese a dolori fisici e mentali (ansia). La gioia non è

solo evitamento del dolore, è qualcosa di più. Quando siamo gioiosi o felici aumentiamo il nostro livello di

consapevolezza, siamo più indulgenti ed abbiamo la sensazione di vivere più intensamente ed anche a livello

fisico sperimentiamo più energia … sprizziamo felicità da tutti i pori!

LA PSICOSOMATICA

Con il termine psicosomatica in questa dispensa si intende una serie di fenomeni che originano da contenuti

mentali e che si manifestano in disturbi a carico del soma. Tali fenomeni comprendono sia i disturbi di tipo

isterico, anche detti fittizi, che consistono in disturbi di origine mentale e che coinvolgono parti del corpo, che

assurgono a veri e propri simboli e per i quali non è possibile identificare individuare nessun tipo di lesioni; sia

quelle patologie che nascono da un preciso contenuto mentale (p.es. la rabbia), che producono una patologia

somatica (p.es. gastrite o ulcera) attraverso un’ attività fisiologica (l’abbassamento del Ph dei succhi gastrici)

Per le teorie psicodinamiche i disturbi psicosomatici hanno le loro origini nel inconscio. Le fantasie collegate ad

affetti originari. vengono rimosse, affinché tutto il carico emotivo doloroso di cui sono portatrici non venga

rivissuto. La causa è da imputare a conflitti ideo – affettivi, profondi, a volte di natura molto remota. La malattia è

dunque la “somatizzazione” di conflitti non risolti. Essa si sviluppa lentamente e si manifesta sotto la pressione di

un evento – stimolo, tipicamente una grossa frustrazione (per esempio delusione o dispiacere per il mancato

appagamento di un desiderio coltivato invano). L’espressione del sintomo è dovuta al meccanismo della

regressione. Vi è una rimozione del conflitto ad un livello “mentalizzato”, per cui esso non si esprime più con

sintomi psicogeni (ansia, angoscia, depressione) ma prende una innervazione somatica. In breve, possiamo dire

che il bambino in età preverbale manifesta le sue emozioni attraverso il corpo. Nella fase evolutiva successiva,

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quella verbale, il bambino impara a “esprimere” le sue emozioni. La “somatizzazione” riproporrebbe

l’espressione del primo stadio evolutivo infantile (preverbale), quella in cui l’ansia si rivela a livello somatico, la

nevrosi invece riproporrebbe l’espressione più avanzata del secondo stadio (verbale). In questi disagi l’ansia, la

sofferenza, le emozioni particolarmente dolorose per poter essere percepite vissute e sentite, trovano una via di

scarico immediata a livello corporeo. In genere l’individuo con disagi psicosomatici si presenta con un buon

adattamento alla realtà, con un pensiero ricco di fatti e di concretezza e povero di emozioni. Si parla di

alessitimia cioè limitata percezione dei sentimenti interiori e difficoltà a comunicare l’esperienza emotiva. Con

questo termine si descrive cioè una condizione di vita emotiva e immaginativa limitata. Le origini della alessitimia

vanno cercate anche nel tipo di ambiente familiare in cui l’espressione dei sentimenti è ritenuta fuori luogo

rispetto alle “realtà” della vita. Si tratta di soggetti che difficilmente riferiscono sentimenti quali rabbia, paura,

scontentezza, insoddisfazione, delusione. Essi hanno notevole difficoltà ad esprimere emozioni

L’apparato respiratorio rappresenta lo scambio tra l’ambiente esterno e l’ambiente interno.

Le vie respiratorie sono le vie di comunicazione, dove entra la vita, che verrà poi distribuita dal sangue a ogni

nostra cellula.

I problemi che si manifestano negli organi della respirazione traducono gli scambi con l’ambiente circostante per

quello che riguarda il nostro bisogno di aria, spazio e autonomia.

Possono rivelare un’assenza di gusto per la vita, la perdita del desiderio di continuare a vivere, la paura di

perdere la vita o anche un senso di colpa per essere al mondo.

LA PERCEZIONE

Percepire significa conoscere e prendere coscienza dei dati della realtà esterna e interna da parte di un

individuo attraverso gli organi di senso (vista, udito, tatto, olfatto e gusto). Tutto ciò non è un qualcosa di

meccanico come lo può essere p.es. lo scatto di una macchina fotografica o la registrazione di una musica. La

percezione è invece un processo dinamico di cui entrano a far parte i bisogni di una persona. Per comodità di

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A.A. 2015-2016
27 pagine
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-PSI/08 Psicologia clinica

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Nurse.d92 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Psicologia clinica applicata e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Roma Tor Vergata o del prof Scienze Storiche Prof.