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Franz Boas, deciso oppositore dell'evoluzionismo. Secondo questo autore ogni cultura ha una sua
storia unica e una sua ben definita durata; per comprendere a fondo una civiltà è dunque
indispensabile ricostruirne l'iter storico e particolare. Al particolarismo è collegata anche la
convinzione che non esistano forme più o meno elevate di cultura
Franz Boas e il protlatch Tra i 1894 e i 1895 Franz Boas conduce una ricerca sul campo tra Nativi
Americani Kwakiutl della costa del Pacifico Settentrionale degli Stati Uniti. Il suo aiutante è un
Nativo Americano di nome George Hunt. La monografia che racconta l'etnografia della ricerca,
L'organizzazione sociale e le società segrete degli indiani Kwakiutl (1897), analizza e spiega le
rappresentazioni simboliche del rito Potlatch. Boas nella sua interpretazione fa emergere come il
rito sia un momento di condivisione di beni nella comunità, che il Potlatch sia un "investimento"
per chi istituisce il primo dono, di distruzione di beni in misura maggiore dei rivali per superarli in
"generosità".
Cos'e' il rito Il rito attualizza la realtà perché se gli essere umani vogliono che il mondo continui a
esistere e gli uomini a vivere c'è bisogno di un “dispositivo cultuale” (sinonimo di rito) per permetta
al mondo e alle donne e agli uomini di continuare la loro esistenza. Il rito puo' essere un rito di
passaggio, un rito di sacrificio un rito apotropaico, un rito di divinazione.Il rito, ancora è formato da
fasi o passaggi, di solito riprendono numericamente le ore del giorno quindi possono essere dodici
o
ventiquattro Nel rito riconosciamo sempre uno spazio sacro, delimitato dallo spazio profano, fuori
da quello sacro di solito rettangolare con un palo al centro che sta ad identificare un asse tra i
mondi. C'è un operatore rituale. Per operatore rituale identifichiamo chi materialmente pratica il rito
come officiante Per la buona risucita del rito il dispositivo cultuale (sinonimo di rito) deve essere
fatto sempre allo stesso modo, con le stesse parole, gli stessi gesti, le stesse fasi. Se questo non
accade il rito può essere nullo o nel peggiore dei casi può avere un effetto contrario da quello
richiesto
Cosa è il Trickster? Il Trickster, è un figura interessante nelle storie sacre, studiato anche da
Sigmund Freud e Karl Gustav Jung. Il Trickster è un “creatore per gioco”, un “briccone”, un
“turlupinatore” a volte “turlupinato”, un Truffatore che alcune volte viene truffato, uno che può
indicarti la via o fartela perdere, fortemente ambivalente, né buono né cattivo; nella cultura
musulmana è rappresentato con quella figura attestata nel Corano chiamata Jinn (oppure D'jin, Jin,
Jinh) ovvero un essere tra gli Angeli e gli Uomini, creati “da un fuoco di vento bruciante” (Corano,
15:26).
Cosa e' il mito?. Il termine greco mythos significava, per es. in Omero, semplicemente «discorso»
o «narrazione» Il mito, o storia sacra per utilizzare una definizione culturalmente corretta, fonda la
realtà ovvero il mondo come lo conosciamo è formato in un certo modo perché una divinità, una
entità extra-umana,un essere supremo, un signore o una signora degli animali, un dio unico ha
creato un tipo di realtà il mito rende accettabile ciò che è necessario accettare (per es. la mortalità,
le
malattie, il lavoro, la sottomissione gerarchica, ecc.) e assicura stabilità alle istituzioni; provvede,
inoltre, a modelli di comportamento Il mito, dunque, non spiega, per un bisogno intellettuale, le
cose [...] ma le fonda, conferendo loro valore I miti possono essere di creazione del primo uomo, di
fondazione dell'eroe culturale (l'eroe mitico che porta la cultura ad un gruppo. Un esempio può
essere il mito di Enea
Il rito e il mito Mito e rito sono due elementi che spesso ritroviamo nella cultura di vari popoli e
che, anche se apparentemente non sembrano avere niente in comune, in realtà si caratterizzano
per
il fatto di essere due prodotti culturali che presentano delle analogie, sia il mito che il rito sono
elementi fondanti della realtà, che tendono a spiegare aspetti del reale in modo continuo, attraverso
la riproposizione di racconti o di formule che si ripetono. Entrambi coinvolgono la collettività, nel
senso che sono rivolti ad un’itera comunità che diventa protagonista di episodi ed azioni che la
riguardano da vicino. Inoltre non bisogna dimenticare che sia il mito che il rito propongono alla
riflessione una dimensione che per molti versi è al di fuori del tempo. Quella del mito sembrerebbe
essere rivolta maggiormente al passato remoto, ma in realtà si tratta di un passato attualizzato, che
colloca il flusso degli eventi in un corso continuo del tempo che viene presentato come esempio che
vale anche nel presente e al di là di ogni limite di carattere temporale. Mito e rito si possono situare
nello stesso asse culturale, in quanto prodotti culturali collettivi e il cui significato è atemporale.
Parlare del pensiero di Angelo Breliche uno dei maggiori rappresentanti della cosiddetta Scuola
Romana di Storia delle Religioni parla di mito e di rito il mito fonda la realtà e il rito la attualizza.
Commentare le tre fasi dei riti di passaggio di Arnold Van Gennep Lo studioso di origine belga
ritiene che i riti di passaggio si formino di tre fasi: la prima è il distacco o separazione (riti
preliminari), dalla comunità di appartenenza, dallo stato sociale di partenza o da una condizione
propria (esempio dalla condizione di nubile o celibe) per poi stazionare, nella seconda fase, sulla
“soglia” o margine (riti liminari), né di qua, né di là. In una sorta di limbo. A questo punto l'attore
sociale decide se superare la soglia/margine oppure restare dove si trova. Se la supera si verifica la
terza fase: aggregazione o ri-aggregazione (riti postliminari) a seconda del rito di passaggio. La fase
più importante è, ovviamente la seconda: il limite, o limen, o soglia, perché è da quella condizione
che l'individuo passa da uno stato all'altro oppure, in alcuni casi, resta bloccato psicologicamente e
socialmente, oppure, in altri casi torna nella condizione della prima fase: il distacco.
Parlare dei riti di passaggio In antropologia un rito è un atto compiuto secondo una certa
procedura, in un dato momento e in un dato luogo e dotato di un profondo significato simbolico per
tutta una popolazione. Se è privo di una dimensione simbolica forte e condivisa, il gesto abituale
non diventa un rito, ma resta un’abitudine, per quanto significativa sul piano di una persona o di una
piccola collettività. In molte popolazioni esistono riti di passaggio, che definiscono l’accesso a un
nuovo ruolo: i più tipici sono i riti con cui i giovani diventano adulti, spesso mettendo alla prova il
proprio coraggio o la propria capacità di sopportare le sofferenze. Gli antropologi hanno individuato
numerosi esempi di riti di passaggio violenti presso popolazioni amazzoniche, africane o della
Nuova Guinea, durante i quali i giovani vengono sottoposti a trattamenti dolorosi. Nelle società
contemporanee trovare dei veri e propri riti è più difficile.
Parlare del pensiero di Margaret Mead allieva di Franz Boas scrive L'adolescenza a Samoa, dopo
la ricerca sul campo. SI tratta di uno studio che ha come punto di vista privilegiato lo stato
adolescenziale della ragazze nell'isola di Samoa. L'antropologa di origine statunitense racconta
come i modelli educativi samoani, molto differenti ovviamente da quelli statunitensi-Occidentali,
portavano ad un alto grado di socializzazione. La società samoana, chiamata dalla Mead "semplice
ed omogenea", e fa emergere come in Samoa i modelli educativi portavano ad esporre le ragazze
a
meno traumi delle loro coetanee statunitensi La Mead sostiene che alla base di questa differenza ci
sono due fattori importanti: la mancanza di "messaggi" concorrenziali ovvero la non esistenza di
modelli produttivi capitalistici che indirizzano le persone al consumismo e il carattere
"monodimensionale" della cultura samoana ovvero l'inesistenza di alternative nelle scelte in cui il
giovane giunge nella fase adolescenziale. Si farà portavoce del relativismo culturale ignifica
considerare le esperienze "altre" cariche di dignità, e che possano essere comprese solo con
pazienza, cautela e possono aver senso, senso antropologico e sociale ovviamente, vedendole dal
punto di vista culturale di chi andiamo a studiare, dare senso al loro esistere attraverso le loro
categorie culturali.
che cosa è l'identità? Identità: concetto pluridimensionale e politematico che contraddistingue una
Costruzione Culturale che si appoggia sul sentimento di appartenenza di chi si identifica nella
propria cultura. L’identità, come la cultura, è una categoria storica, dinamica e processuale
Parlare del pensiero di Ruth Benedict Ruth Benedict, fu allieva di Boas e amica e collega di
Mead. Una delle sue maggiori opere fu “Modelli di cultura” (1934). Si interessò principalmente
della disgregazione culturale nei Nativi Americani. Nel suo importante studio porta avanti una
metodologia mista tra antropologi e scienze psicologiche. Sostiene la tesi che in ogni società, e
quindi in ogni cultura, sono presenti uno o più modelli, lei ne teorizza quattro, ma mai tutti insieme.
Nell'altro testo più famoso, Il Cristianesimo e la Spada (1949), prende in esame, durante la Seconda
Guerra Mondiale, la cultura nipponica (giapponese). Il paese del Sol Levante è analizzato in
relazione a delle categorie: famiglia, onore, tradizione, culto degli antenati, cambiamento culturale.
Che cosa è la cultura? La Cultura incide sia sul modo di “vedere le cose” che sul comportamento
di ciascuno. È ovvio che se tale processo, di apprendimento prima e di azione poi, si svolge
all’interno di un villaggio o di una comunità sostanzialmente omogenea, “i problemi di convivenza
sociale sono attutiti. La collettività è coesa, condivide regole e riti che le forniscono identità e la
differenziano dalle comunità circostanti.” La cultura si cristallizza quindi in simboli, concetti e
parole che vengono condivisi in una società (un fenomeno definito interazionismo simbolico) e
attraverso i quali una società prende consapevolezza di sé. Grazie a questo “codice” di parole e
immagini ciascun individuo all’interno di un dato contesto sociale prende coscienza sia della realtà
in cui è immerso sia di se stesso. La cultura svolge perciò una funzione fondamentale nel