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LE TEORIE GIURIDICHE NOVECENTESCHE DI IMPOSTAZIONE NAZIONALE
E CORPORATIVA
Il movimento fascista non ebbe nessun fondamento dottrinale piuttosto politico con origini
filosofiche antipositivistiche. La dottrina politica venne definita concezione spiritualistica,
etica, religiosa e storica ed antindividualistica: riafferma lo Stato come la realtà vera
dell'individuo.
Nei confronti del diritto, il fascismo si servì di Alfredo Rocco, il quale in qualità di
ministro della Giustizia egli redasse infatti il testo delle leggi fasciste fondamentali degli
anni 1925 e 1926 sostituendo il Codice penale e di procedura penale, promulgate nel 1930.
Il Rocco si presta ad enunciare piuttosto che tesi giuridiche, tesi politiche, in quanto per il
fascismo il problema preminente è quello del diritto dello Stato e del dovere dell'individuo
e delle classi. I diritti dell'individuo, non sono che riflesso dei diritti dello Stato e come
tutti i diritti individuali, anche la libertà è una concessione dello Stato.
Il fratello Arturo Rocco, esponente fra i maggiori dell'indirizzo penalistico rifiutava le tesi
della «scuola positiva» del diritto penale e si atteneva al positivismo giuridico formalistico
più stretto.
Giuseppe Maggiore diede la concezione del rapporto sussistente tra forma dello Stato
fascista ed etica. Ciò è dato da un processo del disfacimento dello Stato Moderno,
attraverso le rivoluzioni dove è nato il nuovo tipo di “Stato totalitario”. Il nuovo stato
totalitario è anti-individualistico, anti-giacobino, anti-borghese, anti-liberale, anti-classista,
anti-bolscevico, anti-massonico. Vengono inneggiati valori positivi come il popolo, la
razza, la religione, il lavoro, l’autorità che stanno alla sua radice.
Lo Stato totalitario è un sistema di forze storiche concrete, che si incentrano in una
persona e nella sua volontà chiamata volontà del Capo, piuttosto che in un ordinamento
giuridico astratto.
Esso, comunque, rimane uno Stato giuridico sia perché tende alla giustizia, sia perché
riposa sulla legalità. Ciò non vuol dire che è subordinato dal diritto ma dalla politica che è
immanente sempre nel diritto; l’esecutivo, cioè l’attività di governo, primeggia su tutti gli
altri poteri. In questo intento lo Stato si serve di un’aristocrazia spirituale ovvero il Partito,
il quale assorbe in sé ed eclissa qualunque altro partito: è partito unico. E lo Stato è così
Stato di partito.
Nel periodo fascista, secondo Ugo Spirito il presupposto della concezione corporativista è
quello di identificare lo Stato, ovvero l’identificazione stessa degli individui e non inteso
come Stato etico ovvero sovrastruttura che esercita una costrizione nei confronti degli
individui. L’identificazione degli individui nello Stato prende forma quindi con le
corporazioni.
Il diritto corporativo scritto da Bottai nella Carta del Lavoro, non era stato concepito come
strumento o mezzo per evitare il conflitto sociale, ma indicava il fondamento del diritto del
lavoro in riferimento al fondamento dello Stato e nello sviluppo della potenza della
Nazione. Inoltre, promuoveva la realizzazione esistenziale del lavoratore come soggetto,
allontanandolo dall’automatismo meccanico ed individualista che, come scriveva
Costamagna, rappresenta la disgregazione dello Stato.
L’ordinamento corporativo rappresenta le richieste della Rivoluzione francese, dove il
cittadino sentiva l’esigenza di diventare Stato ed affermare la propria capacità a costruirsi
come stato; ed il fascismo era la chiave, il mezzo affinché questo si potesse realizzare nella
storia moderna. Il diritto diviene una istituzionalizzazione che regolamenta la vita dei
cittadini, in questo caso dei lavoratori.
IMPOSTAZIONE DEL NAZIONALSOCIALISMO TEDESCO
In Germania, si evidenzia l’ascesa del nazionalsocialismo, il quale pone alla base del diritto
la comunità del popolo, fondata sui valori del sangue e sulla razza, la quale è guidata da un
capo ,il Fuhrer , che gestisce il potere dello Stato , assistito dal Partito, il quale
rappresentante della “comunità vivente” il cui spirito è incarnato dal Fuhrer. I singoli
individui possiedono i diritti non in quanto membri di una comunità giuridica ma in
funzione dei fini della comunità di popolo.
Fra i principali filosofi del nazionalsocialismo si cita Carl Schmitt, il quale ritiene che il
diritto si risolva nella politica, per cui ogni legge, può essere valida solo se c’è una volontà
o una autorità politica che la determini.
La politica è indipendente dalla razionalità e dai valori di bene e di giustizia, è espressione
di pura volontà basata sul principio amico – nemico, secondo il quale un gruppo di uomini
combatte per la propria esistenza contrapponendosi reciprocamente ad altri uomini. Il
diritto è in continua attuazione in base alla comunità e all’ordine che essa si dà che egli
considera valida per la realtà nazionalsocialista in quanto il diritto si inserisce nella realtà
politica.
ll Larenz iniziò con la critica del normativismo per il criterio di uguaglianza che esso
presupponeva; infatti, la norma giuridica, nella sua generalità, include in una stessa classe
uomini ed eventi che sono tra loro distinti; inoltre, essa, in quanto vincola, rende
prevedibile sia il comportamento del destinatario della norma sia di chi l’ha prodotta.
L’antinormativismo di Larenz è una concezione imperativistica del diritto, dove vede nella
norma un ostacolo per il sovrano di potersi dispiegare sulle decisioni in maniera
assolutamente libera.
Gli antinormativisti inoltre accusano i normativisti di individualismo in quanto questi
ritenevano che la società sia il risultato della conformità degli individui ad una regola e
pertanto qualcosa di artificiale piuttosto che naturale. A tal proposito, criticando anche
l’egualistarismo, era inconcepibile per il nazionalsocialismo , il fatto che chiunque potesse
accettare la regola per far parte della società, in quanto per il nazionalsocialismo
prescindevano un insieme di valori e contenuti morali ben precisi che non potevano
appartenere a tutti gli uomini.
LA TEORIA ISTITUZIONALE DEL DIRITTO
Negli anni in cui si instaurava la costruzione sistematica del formalismo giuridico, attraverso
la dottrina normativistica del Kelsen, in Italia conseguentemente invece muovevano alcune
teorie del diritto antinormativistiche: tra cui quella incentrata sul concetto di istituzione, che
Santi Romano enunciò in un'opera del 1917 e che ebbe vastissima eco, L'ordinamento
giuridico.
Il Romano, opponendosi al pensiero di Kelsen, sosteneva che il diritto prima di essere
norma, è organizzazione, struttura, posizione della stessa società in cui si svolge e che esso
costituisce come unità. Romano non nega la realtà della norma, ma la inserisce in una
realtà più ampia e complessa che è la società. Sostenitore del concetto di istituzione
indicato come “ogni ente o corpo sociale”. L’istituzione deve essere effettiva e concreta,
sicché rischia di cadere nello stesso circolo vizioso in cui si era perduto il filosofo
Hauriou.
Calogero si fa in primis portavoce della necessità di superare la classica bipartizione tra
«razionale» ed «irrazionale». Nella filosofia di Calogero, la 'metodologia' ricopre un ruolo
significativo. Egli respinge le tesi che si presentano come le uniche ritenute in assoluto
vere e ragionevoli.
Calogero nega il carattere scientifico delle discipline giuridiche, sostenendo che non vi è
un’assoluta presenza o assenza della ragione al mondo. In conclusione, Calogero dice che
non vi è da un lato la ragione e dall’altro la non-ragione, in quanto qualsiasi decisione fatta
dall’uomo, giusta o sbagliata, è data sempre dalla ragione.
EGEMONIA E DECADENZA DELL’IDEALISMO – RINASCITA DEL
GIUSNATURALISMO
In Italia e in Germania la reazione al positivismo aveva condotto, ad una rinascita
dell'idealismo hegeliano assumendo una posizione di egemonia culturale dove:
In Italia la filosofia idealistica fu rappresentata dal Croce e dal Gentile esercitando
quest’ultimo una funzione politica nel fascismo.
In Germania con l’idealismo nel campo della filosofia del diritto, prese forma la
concezione hegeliana dell'eticità dello Stato, sviluppando una politicizzazione del diritto
perseguita dal regime nazionalsocialista.
Lo sviluppo dell’idealismo in Italia, lo si nota nel pensiero di Widar Cesarini Sforza, che
nell’accogliere la posizione di Croce, considera il momento della universalità del diritto
come essenziale al processo della conoscenza, e, attraverso questa, dell’azione.
Cesarini Sforza opera il tentativo di collegare la norma astratta alla concretezza della storia
connettendo il fenomeno giuridico a quello della socialità, ovvero la relazione tra una
pluralità di individui. Egli riconosce nell’attività astraente del diritto l’elemento mediatore
fra le esistenze particolari della società.
Felice Battaglia esamina sia il pensiero del Croce che del Gentile, il quale giudica astratte
l’economicità e l’eticità per sé prese, così come sono astratti, di per sé presi, l’individuale e
l’universale. Soltanto nella loro relazionalità essi sono reali, e solo nella loro relazione, che
è concretezza e storia, è reale la volontà di essi.
Angelo Ermanno Cammarata si riconduce a un radicale formalismo filosofico. Tale
formalismo si pone soprattutto come antiteleologismo, escludendo dalla filosofia del
diritto ogni considerazione finalistica, e quindi ogni concetto che, implicando uno scopo,
non sia la qualificazione esclusivamente formale di un contegno.
La supremazia del pensiero idealistico nella filosofia italiana, nel periodo intercorrente le due
guerre, portò alla lotta tra filosofia del diritto e scienza giuridica.
L’idealismo negava valore alla scienza in generale quale conoscenza di tipo naturalistico
costituita da un sistema di concetti astratti dall’esperienza.
In quanto concetti astratti ritenuti appunto dagli idealisti conoscenza astratta, quando invece
la conoscenza vera era solo quella dell’individuale (la storia) o quella dell’universale (la
filosofia), e non mai quella del generale od astratto.
All’epoca i giuristi venivano accusati spregiativamente dagli idealisti, di svolgere un lavoro
«empirico» e che l’oggetto del loro studio, i