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Romano, si svilupparono, specialmente in Francia, ulteriori dottrine incentrate sul concetto di istituzione.
La dottrina di di natura sociologica, ruota attorno all'idea
Gurvitch (1894-1965), di fatto normativo, in
Egli
cui le comunità generano il diritto, costituendo la loro stessa esistenza in un unico atto.
distingue tra comunità attive e passive; le prime, quelle che hanno un’azione da compiere, sono le uniche
a qualificarsi come fatti normativi, mentre le seconde non hanno rilevanza giuridica.
Egli chiama la filosofia su cui si fonda il fatto normativo, origine di un diritto di
‘trans-personalismo’
integrazione, volto a conciliare sociologismo, normativismo formalistico e giusnaturalismo.
Su questa base, sviluppa una dichiarazione dei diritti sociali, distinti in tre categorie (diritti del produttore,
del consumatore, del cittadino), fondati sul principio di una società pluralista in cui i gruppi sociali si
limitano e si equilibrano reciprocamente.
tentò di ricollegandola a
Renard (1876-1943) trasformare l’istituzione in una categoria filosofica,
presupposti metafisici, con l'intento di stabilire una dottrina anti-volontaristica e oggettivistica del
finendo però per sovrapporre tale filosofia a una teoria sociologica già esistente.
diritto,
Si descrivano per sommi capi le teorie giuridiche di impostazione socialcomunista.
non tratta direttamente la questione del diritto, infatti, si limita a sostenere che esso, se inteso come
Marx
diritto dello Stato e, come tale, incompatibile con il comunismo, scompare nella società comunista.
In effetti, nel 1917, i teorici della rivoluzione applicarono la dottrina marxista in Russia e si attennero ai
relativi principi. sostenne che nella società comunista gli uomini imparano con il tempo ad osservare
Lenin (1870-1924)
le regole base della convivenza sociale, senza l’uso della violenza, costrizione, sottomissione, senza
sostanzialmente la costrizione dello Stato.
Da ciò ne deriva che, nel comunismo, come già anticipato in parte anche da Marx, il diritto inteso come
insieme di norme applicate e fatte rispettare coattivamente dallo stato, si estingue proprio perché
incompatibile con i principi cardine del Comunismo.
Del periodo leninistico, furono i più importanti:
Rejsner, Stučka e Pašukanis, Rejsner (1868-1928)
apprezza la posizione antipositivistica e contraria al formalismo dogmatico di di
Petrazycki (1867-1931),
cui fu allievo, che aveva professato una dottrina psicologica del diritto come emozione etica,
contraddistinta da una imperatività bilaterale e coercitiva.
Venne accolta dunque la concezioni di diritto come fenomeno non necessariamente vincolato allo stato,
consentendo così la contrapposizione del diritto rivoluzionario al diritto vigente.
In questo modo la rivoluzione sarebbe stata intesa come lotta tra il diritto spontaneo – intuitivo e il diritto
della classe dominante – diritto positivo, aprendo così le porte alla concezione psicologica-sociologica del
diritto, che non implica la statualità e coattività nelle forme dell’azione repressiva dello Stato.
sostiene che il diritto è un sistema formato da rapporti sociali corrispondenti agli
Stučka (1865-1932)
interessi e tutelato dalla forza organizzata della classe dominante. Il diritto è quindi usato dalla classe che
ora è dominante, che ha la propria forma di Stato, il proprio ordine sociale, e anche il proprio diritto, che è
il diritto sovietico.
Fondamentale per la sua “filosofia” è il concetto dell’interesse di classe, il quale si disinteressa
completamente delle volontà individuali a favore della coscienza della classe come tale. Egli, in questo
modo cerca di conciliare il più possibile il comunismo con il diritto: è possibile fino a che ci si riferisca
all’esistenza di classi, sia pure in rapporti invertiti, e all’interesse e coscienza di esso.
Con questa concezione respinge la concezione normativistica del diritto, e per la quale fu criticato da
Rejsner e Pašukanis, arrivando successivamente a definire il diritto sovietico come diritto borghese,
fondato sul principio di eguaglianza, ma senza borghesia, garantito dallo Stato del periodo di transizione.
fu il promotore della teoria marxista del diritto borghese. Quest’ultima è
Pašukanis (1891-1937 circa),
intesa come sviluppo dei concetti giuridici fondamentali, astratti, applicabili a qualunque ramo del diritto
e risultanti dall’elaborazione razionale delle norme positive; e cerca di sviluppare un’indagine logico-
formale sulla base delle istituzioni giuridiche reali per trarre da esso concetti giuridici generali.
Egli, quindi, prova ad applicare al diritto il metodo con cui Marx aveva studiato l’economia, in quanto il
diritto, ideologia e sovrastruttura dell’economia, debba essere studiato nella sua realtà oggettiva. Ogni
giurista sovietico del periodo rivoluzionario, nel teorizzare il diritto si riferiscono a quello borghese o a
quanto di esso inevitabilmente sopravvive nella fase socialista che prepara la realizzazione della società
comunista, in cui non vi è più diritto e sua scienza.
L’Unione sovietica sarebbe dovuta essere una società priva di Stato e diritto, ma essa invece era rimasta
uno Stato con un proprio diritto.
Nel 1936 venne redatta una Costituzione che, elencando diritti e doveri del cittadino, finì per somigliare
alle dichiarazioni borghesi dei diritti invece che alla Dichiarazione dei diritti della rivoluzione del 1918.
Di conseguenza l’autorità dello Stato e la coattività dei diritto non vennero mai meno.
Il massimo esponente dell’età staliniana fu che si mostrò critico nei confronti dei
Vyšinskij (1883-1954)
giuristi dell’età rivoluzionaria, elaborando una teoria del diritto ispirata ad una concezione di esso
imperativistica e statualistica, che doveva essere garanzia della legalità e libertà, ma che invece fu
strumento dell’autoritarismo e illegalità della dittatura staliniana.
Nell’U.R.S.S.:
- La classe operaia è la classe dominante,
- il diritto è un insieme di regole della condotta umana stabilite dal potere statuale (della classe
dominante) e delle consuetudini e regole di convivenza sanzionate da tale potere e attuate in
maniere coercitiva con l’ausilio dell’apparato statuale per sviluppare e garantire rapporti e
ordinamenti favorevoli alla classe dominante.
La definizione del diritto di Vyšinskij mutò a seguito della morte di Stalin; infatti, furono riabilitati i
pensieri di Stučka e Pašukanis. Si voleva comunque mantenere operativo il principio di legalità per cui le
teorie sociologizzanti del periodo rivoluzionario dovevano essere attenuate e rielaborate.
Questa opera di mediazione fu opera di che sosteneva che condannando la lotta
Strogovič (1894-1982),
contro le teorie rivoluzionarie si sarebbe giunti alla risoluzione del diritto nella politica; così, Strogovič,
assunse una posizione mediatrice tra il sociologismo di Stučka e Pašukanis e lo statualismo di Vyšinskij,
evidenziando gli elementi positivi di entrambi.
Nonostante ciò, la sua dottrina non riuscì comunque a risolvere il problema di fondo della teoria giuridica
sovietica, in quanto non era riuscito a bilanciare le contrastanti esigenze della riconnessione del diritto
alla volontà del proletariato e la necessità di garantire la legalità.
Si descriva per sommi capi la teoria di Guido Calogero
Calogero è stato un filosofo, giurista e storico, noto per il suo contributo alla teoria del diritto.
Guido Calogero ha proposto un idea di diritto basata sulla razionalità dialogica, sulla libertà etica e sulla
giustizia sostanziale.
All'interno della filosofia di Calogero occupa un posto fondamentale la metodologia: sviluppa, nel suo
pensiero, un approccio che rifiuta le rigide separazioni tra categorie razionali e irrazionali al fine di
evitare di cadere nel dogma del sapere.
Egli si contrappone alle concezioni che vedono alcune discipline, come la scienza, come uniche
depositarie del sapere e delle verità assolute, mentre altre come il diritto come prive di fondamento
razionale.
Egli, infatti, nega il carattere scientifico delle discipline giuridiche. Calogero sostiene che le discipline
giuridiche non possono essere considerate scientifiche nel senso stretto del termine, infatti, mentre le
scienze naturali si basano su sperimenti e leggi universalmente verificabili il diritto è fondato su norme e
valori che dipendono dal contesto storico e sociale.
Nonostante ciò, sostiene Calogero, che ciò non vuol dire che il diritto sia privo di razionalità anzi esso si
basa su un'elaborazione logica che tiene conto della dimensione etica e dialogica. Dunque, il diritto così
interpretato e da considerare come un insieme di principi e norme che vengono continuamente
reinterpretate alla luce dell'esperienza nel confronto tra gli individui.
Calogero si fa promotore della necessità di superare la classica distinzione tra razionale ed irrazionale
sottolineando che la razionalità non è un elemento presente o assente in modo assoluto ma piuttosto un
processo dinamico. Nel diritto ciò significa che non esiste una contrapposizione netta tra razionalità e
irrazionalità bensì un continuum in cui il ragionamento giuridico si sviluppa attraverso il dialogo
interpretazione.
Tra gli aspetti più innovativi della filosofia dei Calogero vi è l'idea che il diritto non sia solo un insieme di
regole imposte dall'alto ma un prodotto del confronto della comunicazione tra i membri della società.
Egli, infatti, sviluppa una concezione dialogica della normatività in cui le reti devono emergere da un
processo di discussione razionale piuttosto che da un'autorità imposta.
Quest'ultimo approccio lo avvicina ad una visione liberale democratica del diritto i cui elementi
fondamentali sono consenso e partecipazione.
Questa sua idea del dialogo si collega alla sua visione più ampia della filosofia come ricerca ininterrotta
in cui non esistono delle verità assolute ma solo un progressivo affinamento della conoscenza attraverso il
confronto critico.
In conclusione si può dire che per Calogero la giustizia e il diritto sarebbero il risultato di un processo
continuo di discussione, dialogo e confronto finalizzati al rispetto di tutti le necessità dei vari contesti
sociali.
Si descriva brevemente il pensiero di Karl Larenz
Karl Larenz (1903-1993) è vissuto nel periodo del Fascismo in cui vi erano delle correnti di impronta
prettamente nazionalista e corporativa.
Si fece promotore del c.d. antinormativismo nazionalsocialista, il quale era caratterizz