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Nel linguaggio comune, sovrappiù indica "tutto ciò che è in più del normale o del necessario". In questa accezione lo
troviamo usato negli scritti su argomenti economici nell'antichità classica e nel Medioevo. Gradualmente, a partire
dalla metà del Seicento, il termine assume un significato teorico preciso, riferito al sistema economico nel suo
complesso: sovrappiù è quel che resta del prodotto sociale annuo una volta detratto quel che serve a reintegrare le
scorte iniziali di mezzi di produzione e di mezzi di sussistenza per i lavoratori impiegati nel processo produttivo.
Successivamente, dopo la 'rivoluzione marginalista' di fine Ottocento, il concetto di sovrappiù viene relegato a un
ruolo secondario nella limitata accezione di 'sovrappiù del consumatore', cioè di utilità guadagnata dall'acquirente
nello scambio. Solo di recente, il concetto classico di sovrappiù è stato riproposto in un ruolo teorico centrale. Il
sovrappiù viene identificato con la rendita, senza considerare il profitto come categoria distinta e senza considerare
la possibilità che i lavoratori partecipino alla distribuzione del sovrappiù, cioè che i salari siano superiori al minimo
di sussistenza.
Per profitto e più precisamente il saggio del profitto, viene attribuito un ruolo centrale nei meccanismi di
funzionamento di un'economia di mercato, quale nesso tra 'concorrenza dei capitali' (cioè libertà dei capitalisti di
spostare i loro fondi da un settore all'altro dell'economia alla ricerca del massimo rendimento) e tendenza
all'eguaglianza del saggio del profitto nei diversi settori economici. Smith condivide con l'economista francese Anne-
Robert-Jacques Turgot il merito dell'affermazione di questa concezione del profitto, che costituisce un netto passo in
avanti rispetto all'idea assai diffusa del profitto come 'salario speciale' che retribuisce il lavoro organizzativo
compiuto dall'imprenditore. Tuttavia troviamo qui anche i limiti, più strettamente analitici, della costruzione teorica
smithiana: il filosofo scozzese, infatti, non riuscì a fornire una teoria solida della determinazione del saggio del
profitto basata sul concetto di sovrappiù.
Per spiegare la distribuzione del sovrappiù tra rendite e profitti, Ricardo ricorre alla teoria della rendita differenziale.
Secondo tale teoria, la rendita sulle terre più fertili corrisponde alla differenza tra i costi di produzione relativi alla
meno fertile tra le terre in coltivazione, e i costi relativi a quelle più fertili. Il profitto risulta così definito come
grandezza residuale, cioè come quella parte del sovrappiù che non viene assorbita dalla rendita. Data la dimensione
del sovrappiù, i profitti diminuiscono quando aumentano le rendite sulla terra. Se si prescinde dal cambiamento
tecnologico, ciò accade a causa dello stesso sviluppo economico: la crescita dell'economia si accompagna a una
crescita della popolazione, che genera un aumento dei consumi alimentari. Ciò costringe a espandere la coltivazione.
Lezione 026
04. Spiegare il meccanismo di base del processo di sviluppo secondo la teoria classica
Smith considera l’innovazione da un punto di vista particolare: la relazione tra cambiamento tecnologico, divisione
del lavoro e mutamento strutturale dell’economia. Egli si concentra non sulla generazione delle innovazioni, ma
sulla incorporazione del progresso tecnologico nei beni capitali e sui suoi effetti sulla produttività del lavoro, sulla
specializzazione e sulla occupazione. La divisione del lavoro è limitata dall’ampiezza del mercato e genera una
elevata produttività del lavoro attraverso la specializzazione dei compiti e l’apprendimento per esperienza. Oltre
alla mano invisibile del mercato, l’applicazione delle macchine alla produzione e la divisione del lavoro sono ritenuti
elementi essenziali per la generazione della ricchezza delle nazioni. Il progresso tecnico è considerato da Smith una
variabile endogena al sistema di produzione. Accumulazione di capitale e progresso tecnico generano rendimenti di
scala crescenti purché aumenti l’estensione del mercato di sbocco dell’output. Il progressivo ampliamento dei
mercati, fornendo ai capitalisti nuove opportunità di investimento, stimola l’accumulazione del capitale ed
approfondisce sempre di più la divisione del lavoro.
I meccanismi di natura endogena (aumento della domanda come conseguenza della diminuzione dei prezzi dovuta
al progresso tecnico) ed esogena (produzione di nuove macchine) hanno poi effetti sull’occupazione. Queste
riflessioni introducono alla “Teoria della compensazione” in base alla quale i sacrifici che i lavoratori affrontano per
effetto del progresso tecnico attraverso l’eliminazione dei posti di lavoro, vengono compensati dai vantaggi che
derivano dalla creazione di nuove imprese dedite alla costruzione di macchine che assorbiranno i lavoratori in
surplus di altri settori.
Vincolo di scarsità di terra e di risorse naturali può ridurre e perfino arrestare la crescita economica. La terra e le
risorse naturali hanno saggi di produttività marginali decrescenti. Il progresso tecnico può contrastare, o almeno
ritardare, l’avvento di uno stato stazionario in cui il saggio di profitto raggiunge
un livello al quale non vi è più incentivo ad investire.
La scarsità delle risorse naturali, che intervengono nei processi produttivi sia come materiali di base che come
componenti di beni intermedi, può determinare dei vincoli di scala che incidono sull’utilizzo di una tecnica che non
può essere sfruttata al massimo delle sue potenzialità limitando quindi la dimensione del prodotto sociale
ottenibile. Si ha in questo caso una scarsità tecnologica.
Anche per Karl Marx (1818-1883) l’essenza del capitalismo sta nel progresso tecnico e nel processo continuo di
accumulazione di capitale, ma la leva del suo sviluppo sta nel conflitto di classe tra capitalisti e lavoratori e quindi nello
squilibrio, anziché nella composizione armonica degli interessi divergenti per opera della mano invisibile del
mercato, come per Adam Smith. Il cambiamento tecnologico è endogeno. La meccanizzazione ha un ruolo
fondamentale nella dinamica del plusvalore, aumentando progressivamente la “composizione organica del
capitale”.
Usher a metà del Novecento ritiene che le innovazioni siano il frutto di una ”sintesi cumulativa”, che parte dalla
percezione di un problema o di un bisogno e conduce a introdurre l’innovazione che risolve il problema o soddisfa il
bisogno. È il primo studioso che inquadra l’innovazione come un processo articolato in fasi.
Lezione 027
04. Discutere l'ipotesi fondamentale del modello di Lewis (1952)
Il suo modello, definito modello a due settori, gettò le basi dell’economia dello sviluppo contemporanea. Il modello
di Lewis si basava su un sistema economico dualistico in cui esistono due settori: un settore tradizionale e un
settore moderno. Nel primo settore si collocano l’agricoltura e il terziario tradizionale mentre nel secondo si
trovano l’industria e il terziario avanzato (ovvero capitalistico).
Secondo Lewis, il settore tradizionale è caratterizzato da un eccesso di manodopera perché l’agricoltura dispone di
una quantità limitata di terra da coltivare. Proprio questa eccedenza di offerta di lavoro giustifica un salario
prossimo al livello di sussistenza e destinato a mantenersi costante. Il settore moderno è invece caratterizzato,
inizialmente, da salari più alti del settore agricolo in conseguenza di una maggiore produttività marginale e di una
maggiore domanda di lavoro. Inoltre, tale settore impiega un processo di produzione ad alta intensità di capitale, in
modo da rendere possibili l’investimento e la formazione di capitale con il reinvestimento dei profitti.
La differenza salariale tra i due settori e la disponibilità di un surplus di lavoro nel settore tradizionale induce una
parte della forza lavoro a trasferirsi dall’agricoltura all’industria. Ciò significa che l’eventuale maggiore domanda di
lavoro nel settore moderno troverà immediatamente una corrispondente offerta di lavoro proveniente dal settore
tradizionale.
Se la quantità di manodopera in uscita dal settore tradizionale verso il settore moderno eguaglia la quantità di
surplus di lavoro nel settore agricolo il benessere generale aumenta grazie all’incremento della produzione
aggregata. Infatti, il prodotto agricolo totale rimane immutato (dato che la quantità di manodopera impiegata
rimane costante) mentre il prodotto industriale totale aumenta per effetto dell’aggiunta di lavoro, anche se la
produttività marginale ed i salari nel settore manifatturiero cominciano a calare.
Il conseguente aumento dell’occupazione genera un aumento del monte salari complessivo (arrivando ad eguagliare
i tassi salariali dei due settori al livello) e un aumento dei profitti delle imprese. Questi maggiori profitti, se
reinvestiti in capitale, garantiscono un circolo virtuoso dello sviluppo in cui la produttività marginale dei lavoratori
nel settore moderno sarà spinta in alto dall’incremento di capitale e sarà spinta in basso dai lavoratori addizionali
che entrano nel settore. Il risultato finale di questa transizione è che il salario agricolo eguaglia il salario nel settore
industriale, il prodotto marginale del lavoro agricolo eguaglia il prodotto marginale del lavoro nel settore moderno
e non si hanno ulteriori
allargamenti di quest’ultimo settore.
Nel modello di Lewis, quindi, il risparmio e l’investimento sono il motore dello sviluppo economico. L’importanza di
cambiamento tecnologico viene non solo sottolineata per giustificare l’aumento della produttività del lavoro nel
settore moderno ma anche per promuovere una maggiore produttività nel settore tradizionale, così da liberare più
lavoro possibile per l’industria.
Lezione 028
04. Spiegare il problema keynesiano della scelta del livello adeguato di investimenti
La determinazione del livello di investimento passa attraverso la conoscenza di due prezzi critici: il prezzo di
domanda dei beni capitale ed il prezzo di offerta. Il primo è definito come il flusso scontato dei rendimenti attesi
dall’investimento (che a sua volta implica una condizione di massimizzazione del profitto atteso); il secondo è il
prezzo che induce i produttori di beni capitali ad attuarne la produzione (che in condizioni di concorrenza perfetta
nella produzione di nuovi beni capitali implicherebbecoincidenza fra tale prezzo ed il costo di produzione).
Per l’equilibrio del mercato dei beni di investimento deve ve