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Possiamo affermare che, quindi, la domanda di moneta cresce all’aumentare del livello
di reddito e si riduce all’aumentare del tasso d’interesse.
Possiamo rappresentare la curva della
domanda mettendo in relazione tasso
d’interesse (ordinate) con la domanda di
moneta (ascisse). Possiamo affermare che la
curva è decrescente in quanto all’aumentare
del tasso d’interesse gli operatori saranno
spinti a detenere meno moneta, e l’entità di
questa riduzione dipende dalla sensibilità
degli investimenti al tasso d’interesse (più h è
alto, più la curva di domanda sarà piatta e
quindi a variazioni del tasso d’interesse la
domanda di moneta si riduce
considerevolmente, al contrario se h=0 non vi è sensibilità e quindi la domanda di
moneta sarà data da L=kY). Notiamo inoltre che ad una variazione del livello di reddito
corrisponde uno spostamento della curva di domanda.
2. Differenza tra diritti di prelievo e diritti speciali di prelievo
Diritti di prelievo e diritti speciali di prelievo sono degli strumenti messi a disposizione
dal Fondo Monetario Internazionale per fornire assistenza finanziaria e contribuire al
riequilibrio della bilancia dei pagamenti degli Stati membri.
Il diritto di prelievo è una misura con cui i paesi possono prendere in prestito un
multiplo della quota posseduta in valuta nazionale pari al 300% della propria quota in
un singolo anno. Questi diritti di prelievo sono suddivisi in 5 tranches (gold tranche e
credit tranches). La gold tranche poteva essere chiesta automaticamente. Delle credit
tranches solo la prima era immediata, le altre soggette a condizioni più onerose. I
diritti speciali di prelievo (DSP), invece, sono stati creati per aumentare la liquidità
internazionale. Rappresentano una linea di credito registrata in un conto speciale
presso il FMI da utilizzare in modo automatico per fronteggiare il deficit nei conti con
l’estero (quindi per acquistare le valute necessarie o effettuare una ricomposizione
delle riserve). I DSP non sono una valuta vera e propria, ma piuttosto un diritto di
acquisire una o più delle valute liberamente utilizzabili detenute nelle riserve
ufficiali dei Paesi membri (euro, dollari, yen, sterline). Sono diversi dei diritti di prelievo
e delle riserve perché i DSP sono fissati e distribuiti in base a un accordo mentre i
diritti di prelievo e le riserve sono rispettivamente un credito verso il FMI e verso il
paese emittente.
3. Patto di stabilità e crescita: vantaggi, problemi ed eventuali proposte
Il Patto di Stabilità e crescita costituisce la risposta più puntuale al mantenimento della
disciplina di bilancio dei paesi membri. L’obiettivo del Patto è quello di garantire
stabilità economica e finanziaria dell’UE. Il patto (Amsterdam, 1997) stabilisce che il
saldo del bilancio pubblico dovrebbe essere normalmente chiuso in pareggio o in
surplus, con un tetto massimo di deficit pari al 3%. Nel caso in cui questo limite non
venga rispettato si apre una procedura di infrazione per deficit eccessivo attraverso
cui l’UE invia un avvertimento preventivo del fatto che il vincolo è stato superato. Il
paese, se non pone rimedio riducendo la spesa subisce l’imposizione di un’ammenda
ai paesi trasgressori pari allo 0,5% del PIL. Il superamento del 3% è possibile solo in
presenza di una caduta del PIL di almeno il 2%, altrimenti, se oscilla tra lo 0,75% e il
2% occorre dimostrare l’esistenza delle cause eccezionali che hanno determinato lo
stato di recessione. Possiamo affermare, quindi, che ogni Stato ha una politica di
manovra assente dal punto di vista monetario, e limitata dal punto di vista fiscale,
perché si è sottoposti a questo vincolo di deficit. I vantaggi del PSC sono:
Contiene e attenua il comportamento verso eccessivi deficit di bilancio. Il Patto è
considerato lo strumento per far cessare politiche dissennate dei conti pubblici,
tenuto conto che non c’è crescita senza stabilità. Il rischio è che la politica
disinvolta di un paese possa condurre a un aumento dei tassi d’interesse in tutta
l’area euro. Si è dimostrato come il deficit spending renda fragili le finanze
pubbliche e rendono inefficace una politica monetaria, incrementano il crowding
out tramite un aumento dei tassi d’interesse e quindi i costi della tassazione;
La disciplina fiscale ha effetti positivi sulla domanda globale: se il contenimento
della spesa pubblica viene percepito dai privati come permanente, allora si
possono produrre effetti espansivi sul consumo. Si genera, così un “effetto
ricchezza” dovuto a un’aspettativa di una riduzione della pressione fiscale nel
tempo;
I vantaggi derivati dal consolidamento del processo di integrazione europea ed alla
capacità di indirizzare la politica fiscale verso azioni volte a massimizzare il tasso di
efficienza dell’economia;
L’importanza dell’equilibrio fiscale in relazione al ciclo elettorale. Le scelte di tipo
elettorale inducono i governi a intraprendere azioni di breve periodo basate
sull’aumento della spesa e/o sulla riduzione dell’imposizione fiscale;
Il PSC consente di liberare risorse per fronteggiare l’invecchiamento della
popolazione o per aumentare l’occupazione, riducendo la quota fiscale che grava
sul salario.
Non tutti concordano con questa impostazione. La critica è che il Patto non si sofferma
sui seri problemi strutturali dell’Europa quali, in particolare, l’alta e persistente
disoccupazione. L’inadeguatezza del PSC si manifesta soprattutto in situazioni
economiche negative perché diventa problematico rispettare le norme di bilancio e
perché la spinta dei governi verso l’adozione di politiche espansive diventa più forte.
Se il tetto del 3% viene superato si corre il rischio di assumere politiche di bilancio pro
cicliche. Risulta anche problematico far scattare gli stabilizzatori automatici a causa
della forte incidenza degli interessi del debito pubblico. Alcune proposte da
considerare per risolvere questo problema del PSC sono:
La golden rule, in base al quale le entrate e le uscite correnti dovrebbero essere in
pareggio, ma è giustificabile finanziare con il deficit gli investimenti pubblici. Ciò
significa che bisognerebbe eliminare dal conteggio delle uscite gli investimenti
strategici (R&S, infrastrutture, istruzione, ecc.);
Considerare il deficit in termini di saldo strutturale e non solo di saldo globale, ossia
tenendo conto degli effetti del ciclo economico;
Differenziare i vincoli in base all’entità del debito-PIL. Questo criterio richiederebbe
sforzi maggiori per i paesi il cui rapporto si discosta maggiormente dai parametri di
riferimento, mentre conferirebbe maggiore flessibilità per i paesi con basso debito,
i quali potrebbero avvicinarsi all’obiettivo di pareggio di bilancio con maggiore
gradualità;
Stabilire tetti differenti in base alla composizione qualitativa della spesa pubblica,
invece che un 3% uguale per tutti. In questo caso occorrerebbe non solo valutare la
dimensione dei saldi, ma anche la qualità dei bilanci pubblici nazionali, sotto il
profilo della tassazione sui fattori produttivi, della situazione del debito pubblico,
dell’andamento demografico, ecc.
La struttura originale del PSC appariva piuttosto rigida e non riusciva a coniugare le
esigenze di stabilità con le prospettive di crescita in particolare perché:
I valori di riferimento del 3% per il deficit e del 60% per il debito pubblico sono la
risultante di una media tra i paesi membri, e quindi non esprimono le reali
situazioni dei diversi paesi. Vengono quindi adottati gli stessi vincoli senza
considerare situazioni debitorie e produttive strutturalmente diverse;
L’obbligo di rientro spinge il paese in difficoltà e in eccesso di debito a dover
attuare politiche restrittive tali da contenere l’evoluzione del denominatore (PIL),
con prospettive di aggravamento in presenza di un ciclo congiunturale negativo.
I provvedimenti adottati nel 2005 hanno introdotto alcuni elementi di flessibilità che
hanno attenuato la rigidità del PSC, connessi alla possibilità di evitare la procedura di
deficit eccessivo in caso di ciclo economico negativo e prolungato e di bassa
crescita. Nel 2011 il PSC è stato ulteriormente modificato, con diversi provvedimenti
atti a rafforzare la governance dei paesi dell’UME, includendo oltre alla sorveglianza
del bilancio, anche quella relativa all’andamento delle grandezze
macroeconomiche, al fine di prevenire squilibri eccessivi e di aiutare gli Stati membri
a introdurre piani correttivi prima che le divergenze tendano a consolidarsi. Alcuni
provvedimenti sono:
Nel caso in cui il paese non utilizzi misure efficaci per correggere gli squilibri
macroeconomici eccessivi, questo può essere sottoposto al pagamento di
un’ammenda annuale o a un deposito fruttifero pari allo 0,1% del PIL;
Il superamento del 3% per il deficit è considerato eccezionale quando è
determinato da un evento non controllato dallo Stato e abbia rilevanti ripercussioni
sulla situazione finanziaria della pubblica amministrazione oppure nel caso sia
determinato da una forte recessione economica;
L’obiettivo di bilancio a medio termine specifico per il paese viene calcolato sulla
base di un intervallo compreso tra il -1% del PIL e il pareggio o l’attivo, in termini
corretti per il ciclo;
Ciascun paese deve presentare al Consiglio e alla Commissione un programma di
stabilità in modo da segnalare il percorso di avvicinamento, in caso di deviazione al
parametro di riferimento (PIL, occupazione, investimenti pubblici, ecc.). Se risulta
una deviazione significativa del percorso di avvicinamento all’obiettivo di bilancio a
medio termine, la Commissione rivolge un avvertimento al paese interessato e
successivamente una raccomandazione sugli interventi adottati.
Le nuove misure attuate rendono il PSC più flessibile. Tuttavia, alcune proposte di
riforma, come quella di scorporare dal vincolo di bilancio le spese per
investimenti, essenziale per rendere i paesi europei più competitivi nello scenario
internazionale, sono rimaste praticamente inattese.
4. Rappresenta graficamente con relativa spiegazione l’effetto di una
variazione della spesa autonoma sulla posizione della curva IS
La posizione della curva LM è
determinata dal livello della spesa
autonoma e dalla sensibilità
Á
degli investimenti alle variazioni
del tasso d’interesse b. Nella
prima figura vi è illustrata una
prima curva di domanda
aggregata tracciata sulla base di
una spesa autonoma p