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Questo spiega perché la morale della prima infanzia venga denominata

eteronoma: si tratta di una morale derivante dall'egocentrismo del pensiero

infantile, incapace di tenere conto del punto di vista dell'altro. Il bambino sa che

le regole non possono essere trasgredire senza essere puniti.

Il bambino di 5 o 6 anni ritiene che le regole siano immutabili, stabilite per

sempre da un'autorità superiore.

Piaget chiarisce questo concetto facendo riferimento al tradizionale gioco delle

biglie: i bambini piccoli giocano imitando le regole dei più grandi, i bambini di

sette anni fanno invece riferimento a un insieme di regole comuni.

Se chiedessimo ai giocatori più grandi di inventare una nuova regola, diversa da

quella tradizionale, i più piccoli anche se in pratica giocano senza preoccuparsi

delle regole, non accetterebbero la novità; per i bambini più grandi, invece, la

nuova regola è accettata se tutti la adottano: una vera regola è l'espressione di

un accordo comune.

La morale autonoma deriva dalla possibilità di negoziare delle regole con l’altro

bambino, per formare delle regole “buone”.

Lo sport, ad esempio, è importante nella formazione dell’individuo, perché

nell’etica sportiva, il valore che si dà all’avversario ritorna nei termini del valore

che si dà alla propria prestazione. Chi compete, non pensa mai al risultato finale,

ma cerca prima di tutto di potenziare la sua preparazione per poter affrontare al

meglio la gara e solo nel momento del confronto conosce i suoi punti di forza e di

debolezza, e ne trae giovamento per la prossima gara, al di là dell’esito raggiunto.

Per affrontare una sfida o un’attività scolastica in questa prospettiva, si richiede

una buona dose di maturità e spirito critico da parte dell’alunno. Il docente deve

guidarlo in questo difficile compito, adottando delle strategie didattiche

adeguate. 59

L’insegnante non deve considerarsi l’unico dispensatore di sapere, ma deve porre

domande aperte, che non presuppongano un’unica risposta, e suscitare dubbi,

lasciando così spazio agli studenti, affinché possano esprimere le proprie idee;

deve promuovere attività collaborative tra gli studenti e creare momenti di

confronto e scambio di opinioni.

Infine, deve fare in modo che gli studenti non tengano conto dell’esito finale e

per riuscirci, deve stimolare in loro interesse per quello che stanno facendo e

sostituire le tradizionali valutazioni in voti, con dei giudizi che, pur correggendo

gli eventuali errori, gratifichino lo studente per il contributo dato e lo spingano a

migliorarsi sempre.

Per concludere, la competizione è un momento di confronto sociale, che giova

all’individuo per conoscere meglio sé stesso e sviluppare competente cognitive,

quali l’ascolto, il sapersi mettere in discussione e riconoscere il valore dell’altro.

20. La lezione frontale

La lezione frontale si caratterizza per due aspetti. In primo luogo, è una lezione

che si fonda sulla trasmissione unidirezionale del sapere, da un emittente (il

docente) a un ricevente (l’alunno). In secondo luogo, i ruoli sono ben definiti, con

il docente che si pone come esperto e l’allievo invece è paragonabile a un novizio

inesperto.

L’insegnante guida la lezione, decide di cosa si parla, chi può fare o rispondere

alle domande, e allo studente è chiesto primariamente di ascoltare e di

intervenire solo se interpellato.

Il metodo di valutazione generalmente utilizzato è l’interrogazione sui contenuti

disciplinari. Per le seguenti caratteristiche, è una strategia didattica centrata sul

docente, che la progetta e la conduce, regolando i turni di parola.

La lezione frontale è oggi quella più frequentemente impiegata, sebbene le siano

state mosse diverse critiche.

La prima è quella di porre gli studenti in una posizione passiva: gli allievi hanno

poche occasioni per discutere e intervenire in modo autentico e originale, dal

momento che il discorso e le interazioni sono guidate dall’insegnante. 60

È una modalità comunicativa basata su tre mosse: il docente pone una domanda

chiusa, ovvero che prevede una sola possibile risposta corretta, individua chi può

fornire la risposta e poi riprende il turno di parola con un feedback o una

valutazione.

Questo sistema è espressione del forte controllo esercitato dal docente, unico

conoscitore e valutatore esperto della correttezza del contributo degli studenti.

Quest’ultimi sono chiamati ad aderire al pensiero dell’insegnante, considerato

come il solo corretto e legittimo, e a fornire le risposte che il docente stesso si

aspetta.Gli allievi hanno dunque poco spazio per pensare, esprimere le proprie

ragioni o anche criticare le opinioni altrui.

La seconda critica è che questa strategia didattica si basa sul presupposto che

tutti gli studenti recepiscano allo stesso modo i concetti espressi durante la

lezione e che abbiano dunque lo stesso stile di apprendimento.

Esistono diversi modi di apprendere e ognuno di questi può essere più o meno

produttivo per il singolo studente. Alcuni, ad esempio, apprendono meglio se le

informazioni sono trasmesse in modo astratto e riflessivo, altri invece

interiorizzano meglio le conoscenze attraverso esperienze concrete.

Gli psicologi dell’educazione hanno fatto alcune proposte per migliorare

l’efficacia della lezione frontale. La didattica è regolata da tre turni; il docente

può sfruttare maggiormente il primo e il terzo momento per consentire la libera

espressione e l’approfondimento dei contenuti da parte degli alunni.

Le domande chiuse costringono il pensiero sui binari prefissati dal docente, al

contrario le domande aperte non presuppongono un’unica risposta corretta, ma

sollecitano ragionamenti con cui gli studenti possano esprimere i loro personali

punti di vista.

Durante il terzo momento invece, il docente deve fornire un feedback il più

possibile articolato, non limitandosi ad un semplice accenno alla correttezza o

all’errore. 61

Un’altra variante della strategia è quella della lezione miliare: il docente per

strutturare efficacemente una lezione deve prima considerare ciò che lo

studente già sa.

Questo modello si articola in quattro momenti: il docente fa emergere dubbi e

domande sull’argomento, affinché lo studente possa esprimere ciò che già

conosce; successivamente incoraggia la ricerca di informazioni per risolvere i

dubbi; il terzo punto corrisponde alla lezione vera e propria, durante la quale la

spiegazione raccoglie e sintetizza i punti fondamentali della tematica e risolve le

questioni irrisolte. Infine, il docente spinge gli studenti a formulare nuovi concetti

e idee.

Una terza variante è il modello della classe capovolta, sviluppato negli Stati Uniti.

Attraverso il supporto di materiale multimediale, lo studente può sviluppare in

autonomia le competenze cognitive di base; il lavoro in classe deve servire a

potenziare le competenze cognitive elevate, come la rielaborazione e

l’applicazione delle conoscenze acquisite.

21. L’apprendimento cooperativo

L’apprendimento cooperativo è una strategia didattica che si fonda

sull’importanza dell’interazione tra pari per la costruzione delle conoscenze.

Venne promosso a partire dagli anni 70, quando Doyse e Mugny parlarono della

relazione tra pari come il motore per il superamento dell’egocentrismo.

È una strategia fondata sullo studente, in cui cambia sia il ruolo del docente,

attraverso il sostegno al lavoro di gruppo, sia quello dell’allievo, che diventa

protagonista attivo.

Lo studente è responsabile non solo del proprio apprendimento ma anche di

quello dei compagni; insieme collaborano per raggiungere gli obbiettivi stabiliti

collettivamente. Attraverso il lavoro di gruppo, gli studenti imparano ad

osservare il comportamento dell’altro a e regolare di conseguenza il proprio.

Si realizza così una partecipazione democratica e costruttiva, fondata sui seguenti

cinque principi:

-interdipendenza positiva: lo studente per svolgere il suo lavoro ha bisogno del

contributo degli altri; 62

- affidabilità individuale: il gruppo fa affidamento sull’impegno di ogni

partecipante;

-promozione dell’interazione e della discussione in itinere per raccogliere

commenti e idee;

-formazione di competenze collaborative, come la fiducia, la gestione positiva dei

conflitti e la presa di decisioni collettive;

- attivazione dei processi di gruppo, che definiscono collettivamente gli obiettivi

comuni e lo svolgimento del lavoro.

Lavorare in gruppo è fondamentale per sviluppare le competenze sociali, il

rispetto dell’altro, il senso civico e la presa di responsabilità.

In questa prospettiva cambia anche il ruolo del docente, in altri casi abituato ad

essere l’unico depositario del sapere. Bisogna sviluppare nuovi metodi di

valutazione applicabili alle conoscenze apprese in gruppo.

Un’indicazione è quella di sollecitare l’autovalutazione dello studente e la

valutazione reciproca, utile per lo sviluppo del senso critico e autocritico rispetto

ai compiti raggiunti. Tuttavia, la scuola italiana è ancora lontana dal dotarsi di

metodi e strumenti per raggiungere questi scopi.

22. Stile educativo autorevole e autoritario

Vygotskij, che ha contribuito a favorire il progresso della psicologia dello

sviluppo, si è soffermato sull’importanza del linguaggio nella relazione

comunicativa e nella relazione con sé stessi.

Vygotskij parla delle funzioni psichiche superiori, che fanno la loro comparsa

nello sviluppo due volte: prima sono divise tra due persone, poi diventano

patrimonio esclusivo di una persona.

Dunque, le capacità superiori compaiono prima nell’interazione con gli altri e

successivamente, dopo essere state interiorizzate, compaiono a livello

individuale.

Si deve fare una distinzione tra stile educativo autoritario e stile educativo

autorevole. 63

Se il genitore adotta un atteggiamento autoritario, il bambino è tenuto a

rispettare le rigide regole imposte, la cui mancata osservanza comporta

punizioni. Il genitore autoritario non riesce a spiegare le motivazioni per le quali il

bambino dovrebbe rispettare le regole; comunemente risponde “perché lo dico

io”.

Si tratta di un genitore che ha elevate aspettative nei confronti del figlio, è

mentalmente rigido, inflessibile, esigente con sé e con gli altri, insensibile ai

bisogni del bambino e incapace di fornire ascolto. Il genitore autoritario educa

all’obbedienza al ruolo e si aspetta che ciò avven

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Publisher
A.A. 2023-2024
89 pagine
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-PSI/04 Psicologia dello sviluppo e psicologia dell'educazione

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher mylva di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Psicologia dell'educazione e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Firenze o del prof Tassi Fulvio.