Heinrichs e Kreye viene analizzata la crisi e denunciata la natura strutturale
prevedendo la decaduta dei mercati interni e la completa rilocalizzazione della
produzione a livello globale. Le imprese, sostenevano i tre autori, non si
organizzavano più facendo riferimento al mercato interno, ma al mercato
mondiale. Questa strategia avrebbe inevitabilmente generato un gigantesco
processo despecializzativo nelle regioni dei paesi avanzati che avevano
creato l’industria, con la distruzione dei rispettivi mercati del lavoro.il prezzo
della ristrutturazione sarebbe stato pagato dal lavoro, mentre un processo
rispecializzativo nelle attività di servizio e nelle alte tecnologie avrebbe
consentito alle regioni centrali di mantenere comunque il loro potere
gerarchico sulla periferia. Tale studio può essere considerato il primo lavoro
che tenta una interpretazione strutturale della globalizzazione e che ha dato
vita alla prima scuola, quella della nuova divisione internazionale del lavoro.
Piore e Sabel: la lettura della nuova divisione del lavoro non era l’unica
interpretazione della globalizzazione: gli americani, Piore e Sabel leggono lo
sviluppo industriale come un processo caratterizzato da due principali
industriali divide:
1. Il primo divide sarebbe avvenuto all’inizio dell’ottocento e avrebbe
generato la produzione standardizzata, o produzione di massa. La
Mass Production sarebbe nata negli Stati Uniti come deviazione del
sistema di produzione britannico, e avrebbe spinto l’organizzazione
industriale verso l’esasperazione, vediamo cicli produttivi sempre più
integrati, impianti sempre più grandi e mercati oligopolistici abitati da
poche imprese di enormi dimensioni. Pesanti sarebbero state le
conseguenze a partire dalla creazione di una limitatissima Elite di
individui straordinariamente ricchi verso una vasta middle class in
condizioni di mero benessere, materiale e una vasta low class a basso
reddito e carica di avversione e risentimento verso un tale assetto
dell’economia e della società.
2. La crisi del fordismo costituisce un secondo divide industriale: la
combinazione fra l’intervenuta insostenibilità dei costi delle grandi
dimensioni e le opportunità fornite dalle nuove tecnologie porta le
imprese a sostituire il gigantismo delle produzioni mono impianto con
reti di unità locali caratterizzate dalla specializzazione e dalle piccole
dimensioni. Dunque, alla produzione standardizzata si sostituisce la
produzione flessibile.
La proposta di Piore e Sabel ha scatenato un intenso dibattito ed è stata
accusata di scarso contatto con la realtà, ma il pregio della riflessione dei due
autori sta nell’aver messo l’accento sulle conseguenze strutturali del
mutamento delle forme produttive. Questo tema verrà approfondito dalla
scuola californiana della specializzazione flessibile, i cui principali esponenti
sono Scott e Storper
- Specializzazione flessibile
Quest’ultimi sostengono che rispetto all’internalizzazione che aveva
contraddistinto il modello della fabbrica meccanizzata e che aveva trovato la
sua massima espressione nella produzione fordista, le imprese oggi
esternalizzano larga parte del ciclo produttivo. Di fronte all’alternativa make or
buy, ossia fare o comprare gli input produttivi, l’industria fordista ha sempre
privilegiato l’alternativa make mentre la specializzazione flessibile preferisce
l’alternativa but, e questo spiega la natura reticolare dei cicli produttivi e delle
imprese. Il cambiamento porta con sé numerose conseguenze, una delle più
rilevanti è che la competitività non è più un fatto esclusivamente interno
all’impresa ma coinvolge anche i suoi fornitori. L’impresa a questo punto ha a
disposizione un’ampia gamma di opzioni. A seconda della natura dell’input,
può privilegiare una fornitura a distanza con poche spedizioni di grandi lotti,
oppure può privilegiare il contatto diretto con il fornitore se la spedizione deve
essere frequente e in pochi lotti.
Secondo Scott, l’impresa prenderà le sue decisioni confrontando la struttura
dei propri costi di transazione con le esternalità positive di cui può godere
nella propria localizzazione. Nel caso in cui le esternalità siano modeste,
l’impresa non ha particolari incentivi ad avere rapporti con imprese del proprio
cluster, e tenderà a creare reti globali. ma se le esternalità sono alte allora
l’impresa avrà vantaggi a transare con imprese del proprio cluster, e pertanto
svilupperà la propria economia territoriale. Questo muta radicalmente le
regole della geografia dello sviluppo, perché il mercato mondiale diviene uno
spazio reticolare a più dimensioni.
- Politiche e metodi di sostenibilità
Negli ultimi secoli, il rapporto tra l’uomo e l’ambiente ha subito trasformazioni
*
radicali. La rivoluzione agricola, 10.000 anni fa, assegnato il passaggio da
-
società di cacciatori raccoglitori a comunità stanziali, determinando un primo
grande impatto sugli ecosistemi. La rivoluzione industriale, ha accelerato
seguato
* ha
questo processo, portando a un massiccio sfruttamento delle risorse naturali e
a un incremento esponenziale delle emissioni di gas serra.
Oggi ci troviamo di fronte a una crisi ecologica senza precedenti. La
popolazione mondiale, passata da circa 1 miliardo nel 1800 agli oltre 8 miliardi
di oggi, il consumo pro capite di risorse cresciuto in modo vertiginoso, hanno
portato il nostro pianeta al limite della sostenibilità.
Se per lungo tempo il progresso economico è stato considerato un valore
assoluto, a partire dagli anni 60, questa visione ha iniziato ad essere messa in
discussione. Il movimento ambientalista è nato proprio in risposta ai primi
segnali di degrado ambientale: nascono associazioni come WWF e
GreenPeace. Nello stesso anno l’amministrazione federale degli Stati uniti
approva il NEPA (National Environment Protection Act) la prima legge
nazionale volta alla tutela dell’ambiente. L’anno successivo Ezra Mishan apre
un secondo fronte, attirando l’attenzione sulla brusca accelerazione del
movimento demografico inauguratasi a metà secolo: la popolazione del
mondo sta aumentando non solo nelle aree che diventano più ricche, ma
anche in quelle che non si sviluppano. Paul Ehrlich conferma le stime
demografiche di Mishan proponendo la metafora della “bomba demografica“e,
successivamente, anche il lavoro di un gruppo di scienziati lancia l’allarme
sull’esauribilità delle risorse. È questo complesso di sollecitazione a produrre
l’iniziativa ambientale dell’ONU, che il 5 giugno del 1972 convoca i paesi del
mondo a Stoccolma per la UNCHE. Nei 10 giorni di lavoro viene approvata la
dichiarazione dei principi, composta di 26 punti, ed il piano di azione elaborata
in 109 obiettivi. Nel 1972, infatti, molte cose debbono essere aggiustate, oltre
ai problemi ambientali: la decolonizzazione non è stata ancora terminata e
occorre completarla contrastando i fenomeni come l’apartheid, la
segregazione razziale praticata dal governo sudafricano, inoltre, lo sviluppo
promesso alle ex colonie insieme all’indipendenza politica e ancora molto in là
dall’avvenire, con la conseguenza che la maggior parte della popolazione del
pianeta e dei nuovi Stati che emergono dalla decolonizzazione vivono in
drammatiche condizioni di sottosviluppo.tutte queste esigenze, insieme a
quelli ambientali, trovano spazio sia nei 26 principi che nei 109 obiettivi del
piano d’azione di Stoccolma.
Subito dopo la conferenza, a seguito della rovinosa guerra del Kippur contro
Israele, i paesi arabi trovano un’inaspettata coesione in sede OPEC, si
accordano sulle rispettive quote di riduzione dell’estrazione di greggio e ne
quadruplicano il prezzo, innescando una gravissima crisi economica. Tutto
questo ha l’effetto di sospendere per oltre un decennio il tema ambientale
dalle agende della politica.così il vero e unico risultato di Stoccolma è
l’istituzione dell’UNEP, lo United Nations Environment Programme, il
programma che da ora in poi ospiterà tutte le iniziative ambientali delle
Nazioni Unite.ma affinché il suo lavoro dia qualche risultato, sarà purtroppo
necessario attendere oltre un decennio.
L’iniziativa ambientale dell’ONU riprende nel 1983, quando la crisi economica
innescata dagli shock petroliferi entra in fase di superamento. L’iniziativa si
traduce nella formazione della WCED, Word Commission On Environment
and development, rilancia i temi di Stoccolma e individua un triplice ordine dei
problemi generati dalle attività antropiche sull’ecosistema:
1. Il problema demografico
2. Il problema energetico, generato dalle emissioni di gas serra dei
combustibili fossili che, oltre ai danni diretti ed immediati
dell’inquinamento atmosferico, sembrano accelerare la crescita globale
delle temperature e destabilizzare gli equilibri climatici del pianeta
3. Il problema politico, dato dal fatto che non esistono le strutture
amministrativo-decisionali per affrontare la questione del
deterioramento degli ecosistemi, delle risorse e dei cicli naturali.
Così l’UNEP inizia i lavori per l’organizzazione di una conferenza dove questa
discussione sia possibile, conferenza che si terrà a Rio de Janeiro nel 1992,
dove prenderanno avvio le politiche ambientali a ogni scala e dove verrà data
una definizione ed una promozione del concetto di sviluppo sostenibile.
la sostenibilità ambientale era necessaria ma dovevano esservi anche
sostenibilità sociale e sostenibilità economica: era cioè necessario che le
attività economiche assicurassero a tutti un’adeguata alimentazione, l’accesso
all’acqua e ai principali servizi, l’accesso all’istruzione e all’assistenza
sanitaria.solo avendo soddisfatto tutti e tre questi requisiti lo sviluppo avrebbe
potuto dirsi sostenibile.
Dall’incontro a Rio de Janeiro venne elaborata e approvata l’agenda 21, un
ambizioso programma operativo organizzato in quattro sezioni, 39 ambiti e
143 progetti che avrebbero dovuto consentire il perseguimento degli obiettivi
di sostenibilità economica sociale e ambientale. Le prime due sezioni
ospitavano rispettivamente i progetti di equità economico-sociale e di integrità
dell’ecosistema, mentre l’ultima era relativa all’attuazione ed in modo
particolare al finanziamento dei progetti. Quest’ultimo sarebbe dovuto
provenire dall’ODA (Official Development Asistance), l’impegno allo sviluppo
dei paesi membri che si obbligavano a v
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