Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
Bergson: proprio questo modo contraddittorio in cui si è sviluppata la vita dà molta forza per
vivere e agire. Monismo di Bergson: il principio vitale è unicum e non fa altro che affermarsi
persino nella sua negazione, anzi, persino con la morte.
2) Jankélévitch leggendo le affermazioni positive di Bergson riflette, ma drammatizza la domanda:
ma era proprio necessario passare attraverso l’ostacolo, la resistenza del corpo? E’ forse un
castigo per un peccato originale? Effettivamente Jankélévitch sostiene che non c’è nessun tipo di
risposta a questa domanda. E’ un fatto contingente, poteva anche non accadere o accadere
diversamente. Per Jankélévitch non si può dire che la vita sia stata più forte della morte, è un
mistero il motivo per cui le cose sono andate così. E’ un mistero che lo porta a fare riflessioni simili
a quelle fatte su Simmel. E’ una singolare fatalità che vuole che lo spirito lavori instancabilmente
alla propria distruzione nell’atto in cui afferma se stesso. Ponendosi all’interno del realismo proprio
del metodo dell’intuizione parla di tragedia dell’evoluzione. Senza movimento a ritroso non si
avrebbe né memoria né conoscenza, non ci sarebbe scienza senza movimento retrospettivo e ritardo
rispetto all’accadere delle cose. La memoria è sul punto di negare il nostro stato di vigilanza (?).
Non ricordiamo mentre stiamo vivendo. La memoria è anche un organo di previsione, ma anche
l’organo responsabile del ritardo, perché non sfugge al ritardo sulla vita.
Cambiamento di linguaggio da tragedia a ironia. Che significato ha? Bergson ha una risposta
risolutiva: proprio questo modo che apparentemente è contraddittorio in cui si è sviluppata
l'intuizione, ha avuto una necessità; è una modalità che da forza nell'agire e nel vivere. L'evoluzione
della vita in ogni caso sbaraglia qualsiasi nemico.
Jankélévitch è molto distante dal monismo di Bergson, dall’idea che “l’armata cavallo” vinca tutti
gli ostacoli. Jankélévitch non ha più bisogno dello schema affermativo, egli dissente dal pensiero
positivo e ci propone, dissente dal pensiero positivo del maestro e ci propone invece una negatività,
la forza di negazione che costituisce la realtà sia forza che contribuisce all’arresto che al
movimento. In Bergson è negazione mentre in Jankélévitch è paradosso. Non c’è nella realtà un
contrasto positivo-negativo. E’ semplicemente un paradosso, cioè ciò che altera l’opinione comune.
Segnala anche momento ambiguità o ambivalenza. La struttura della realtà è paradosso, opposizione
di elementi contrastanti che sono irriducibili, positivo e negativo stanno in essa. Il negativo è parte
integrante dei movimenti paradossali della vita. Esso esplica l’attività di messa in movimento degli
opposti. Figura dell’organo-ostacolo di Bergson reinterpretata: costituisce per il discepolo la figura
del negativo, compresenza di forze contrastanti.
Prima figura di organo ostacolo: il corpo innanzitutto, ciò che si contrappone allo slancio vitale
della vita. corpo fa da schermo e proprio per questo ci rinvia a qualcosa che va oltre. Il corpo ci
parla di un ostacolo che deve essere vinto ma che senza il quale il suo opposto non sarebbe
possibile.
Esempio del funzionamento dell’occhio: per avere la visione noi dobbiamo delimitare il visibile e in
seguito ecco che si forma l’immagine ottica. Inoltre per funzionare ci deve essere un punto zero
dove non c’è visione, se non ci fosse vedremmo solo puntini. L’occhio quindi mette limiti (ostacolo)
persino organico (punto cieco), ma usa questo limite come trampolino che ci porta oltre. L’organo
ostacolo è una forma di contraddizione congelata per Jankélévitch. Le contraddizioni non si
eliminano ma fanno funzionare. Il nostro occhio, il nostro corpo più che strumenti sono ostacoli
aggirati, ma proprio da questa operazione nasce la forza di usare correttamente il nostro corpo. La
figura del negativo dell’organo ostacolo è compresenza di forze contrastanti il cui urto è forza ed
energia vitale. Pur rimanendo contrari sprigionano proprio dalla loro contraddizione la loro forza.
L’organo ostacolo non rivela che ostacolando e questa è la sua suprema ironia. Esso è più un
quamvis che un quia! La pesantezza del come siamo fatti deve essere vinta, ma senza il quale il suo
opposto, la sua grazia, non sarebbe possibile. La materia non favorisce la vita più di quanto una
montagna causa un tunnel. Il tunnel però non è un nulla ma il tunnel è proprio la montagna vinta.
24 ottobre 2013
La morte: Jankélévitch è un filosofo della vita, però proprio per questo fatto è inevitabile il
confronto con la morte. E’ influenzato dalla sensibilità esistenzialistica del tempo. E’ un tema sul
quale Jankélévitch tiene un confronto da pari a pari con Bergson. Trattiamo ora dell’importante
critica di Bergson del nulla. Il pensiero di Bergson è fiducioso, tanto che esprime la “folle
speranza” del superamento della morte. Su questo argomento c’è la resa dei conti di Jankélévitch
con Bergson. Jankélévitch nel ’66 pubblica La Morte, frutto di lezioni alla Sorbona di Parigi, che tra
l’altro venivano radiotrasmesse. Egli aveva un audience non solo accademico o studentesco. E’
interessante notare come nel ’78, nell’intervista con la Berlowitz, torna ancora sulla questione.
D’altra parte è un pensiero vivente che torna a confrontarsi (p.131 – 146). C’è una cosa che subito
colpisce visto che abbiamo fresca la memoria sul discorso della critica del nulla: possiamo notare il
modo in cui viene presentato il Nulla a proposito della morte nell’intervista. Da un lato
Jankélévitch resta coerente con Bergson e col suo metodo decostruttivo, cioè col fatto che il nulla è
un nulla di pensiero. Sulla morte si sono fatti tanti discorsi e tanta retorica, oppure si è tentata
un’antropologia della morte. Ma Jankélévitch non si limita a dire che si spendono tante parole
attorno ad un punto semplicissimo, Jankélévitch aggiunge che da una parte è banalissimo, ma
dall’altra è misterioso, un vero e proprio scandalo, l’effettività pura e cieca, opaca, la morte è
passaggio al niente. Stiamo quindi guardando in faccia al nulla, che è stato decostruito da Bergson.
Se la morte è la realtà del niente come la mettiamo con il plenuum vitale? Cioè con il pensiero della
vita come unica realtà? C’è però una differenza tra la morte e il nulla come sostituzione vitale. La
morte accade una volta per tutte, non è un nulla, ha una realtà istantanea, cioè proprio quella del
suo accadere una volta per tutte.
Filosoficamente si può fare un tentativo di pensare la morte prima di essa, dopo o nell’istante fatale.
“La morte” è divisa secondo questa tripartizione di tentativi fatti per fondare una tanatologia. I
tentativi della mente di un dopo: paradiso, inferno e simili. L’altro lato del bergsonismo è fatto
risuonare in queste pagine. Jankélévitch ci dice che nell’istante che fa la morte un’esperienza
vissuta del niente, che è la massima espressione di singolarità (nessuno infatti può morire al posto
di un altro), si trova a combaciare con l’anonimato dell’esistenza umana. Vi è qui la compresenza di
due opposti.
Pensa contro Bergson, ma utilizza il suo metodo di pensiero. Bergson pensa che non esista nella
realtà un diminuendo, ma che nel movimento vitale si dà elementi unici e irripetibili, per questo non
ci si prepara alla morte. La morte non è un affievolimento vitale, ma un salto radicale tra lo stato di
fine vita e l’accadere della morte. La morte è sempre una cesura, perché è un passaggio qualitativo
radicale (metodo di Bergson, ma risultato opposto). E’ un niente che si spalanca di colpo. Parlando
della morte l’intelletto umano riempie il vuoto con discorsi futili, Jankélévitch demistifica e
destruttura i miti, le simbologie, le strutture che girano intorno a questo impensabile, che servono
solo a tappare i buchi per i sopravvissuti. Morte limita la vita e la capacità di pensiero.
La tesi platonica no, la morte, la verità impensabile e al tempo stesso verità più reale. La teniamo a
distanza, per parlare di morte si parla della morte degli altri, come se ne fossimo esentati. E’ un
sapere che è un non-sapere: non sappiamo quando ci sono molte prospettive da cui guardare la
morte, posto che nessuna ci dà il suo completo sapere.
Drammaturgo un po’ liberty (un po’ malinconico), il Maeterlinck, che ha scritto “interno”, che narra
di una scena di famiglia, a casa, sotto una lampada. Descrive quadretto di famiglia che viene
guardato dalla finestra, dall’esterno, dalla morte. Guarda dalla finestra e si ferma nella sua missione,
deve annunciare la morte di una figlia annegata. Osservazioni: ci troviamo un una doppia
situazione. La morte non è ancora avvenuta, ma fuori l’angelo della morte la testimonia. Scena che
testimonia l’immanente morte sempre dentro la vita, ma anche sempre fuori. Morte non come caso,
non come affievolimento della vita: la morte interviene come scure ed è sempre un intervento
decisivo, non c’è quindi premessa o anticipazione, d’altra parte l’angelo della morte si proietta su
tutti i viventi. Vi è una radicale alterità tra morte e vita, la morte infatti non è in alcun modo
assimilabile alla vita. Per questo quando accade è proprio uno scandalo.
Jankélévitch parla delle 3 morti di racconti di Tolstoj. Per Jankélévitch la tanatologia di Tolstoj è
quella di un uomo straziato “ecartelier”, letteralmente significa “squartato” in francese. Tolstoj è
straziato nell’intima contraddizione irrimediabile. Ci sono tre casi:
1 donna borghese amata. Evento morte in seconda persona. E’ una lacerazione di una relazione
duale. Morte essere insostituibile. Montaigne: parla morte di un amico. Agostino: parla della perdita
di un caro discepolo.
2 la morte di un vecchio clochard. Morte rassegnata e solitaria di un essere umile. La morte
anonima, che non lascia rimpianti a chi è rimasto, perché è la morte di una persona che non ha cari.
3 morte di un albero nella foresta in primavera da cui r