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STESSO QUELLE RISORSE INSOSPETTABILI, QUELLA SORPRENDENTE E INCREDIBILE
ABNEGAZIONE. La virtù dovrebbe essere cronica, non si è virtuosi solo la domenica. LA VITA
MORALE E’ QUALCOSA CHE CONTINUA TUTTI I GIORNI DEL MESE E TUTTE LE ORE DI
OGNI GIORNO. La volontà etica non dovrebbe essere di tanto in tanto, ma sempre. La nostra virtù
porta in se stessa la contraddizione ironica: non c’è sanità che non sia minacciata da stupidità,
carità che assaporando se stessa si tramuti in sufficienza borghese. L’interessamento è una
motivazione psicologica che forma il contorno spesso e palpabile dell’intenzione. Ma non si potrà
mai sapere se un’intenzione è disinteressata, poiché il disinteresse sparisce nel momento in cui il
disinteressato ne prende coscienza e si muta seduta stante nel suo contrario. IL DISINTERESSE
INFATTI DURA SOLO UN ISTANTE. L’abitudine perfeziona la virtuosità dei gesti inaridendo il
cuore. LA VIRTU’ DEVE ESSERE PER NOI INNOCENZA E VERITA’, NON PSEUDOSAGGEZZA
O SIMILVIRTU’. Non può esistere una carità professionale, un umorismo professionale, una
gaiezza professionale. Tutti questi sono moti che esigono spontaneità. La virtù vuole che la si viva
per elezione e vocazione.
Il divenire è la propulsione per mezzo dell’istante, il movimento acquisito; è risonanza, memoria e
immanenza del passato al presente; l’uomo del rimorso lo sa fin troppo bene! L’inizio dipende da
noi, ma la continuazione dipende dall’inizio una volta posto e segue il suo corso anche se
cessiamo di volerla. Un umile moto di pietà, per quanti fuggevole, può prodigare le sue benedizioni
ad un lungo intervallo di tempo. Tre secondi di disinteresse costituiscono già una piccola virtù
infinitesimale. Virtù irradiante dell’amore: il tempo dell’amore, poiché è quello della giovinezza,
avrà avuto gioia per tutti gli anni che non ne hanno più, da vecchi ricordiamo con infinita
riconoscenza quel momento prezioso, quella stagione benedetta la cui generosità seguita ad
illuminare la nostra vecchiaia. LA VIRTU’ NON PUO’ PROCEDERE INDEFINITAMENTE DA
SOLA: H ABISOGNO DI RIPRENDERE SLANCIO SULLE INTENZIONI ESPRESSE DELLA
VOLONTA’. La mozione del moto buono deve ridare impetus alla virtù assopita. Per attuare la virtù
ci occorre uno spirito sciolto, delicatezza di ispirazione e fiducia nella risonanza del minuto
flagrante. Ci vuole molta pazienza, vigilanza senza fine per evitare le ricadute.
Il CORAGGIO E’ LA VIRTU’ DELL’ISANTE MENTRE LA FEDELTA’ E’ LA VIRTU’
DELL’INTERVALLO. L’intenzione è virtù germinale, un moto nascente e apparizione scomparente,
è appena virtuosa e la virtù non ha quasi più intenzione. La durata è anche intervallo e ogni
cambiamento inaugura un nuovo stadio. LA VIRTU’ NON E’ NE’ LA BUONA COSCIENZA
CONTENTA DI SE’ NE’ LA CATTIVA COSCIENZA MANIACA, MA LA CATTIVA COSCIENZA
CHE E’ BUONA COSCIENZA, O QUELLA BUONA CHE HA CATTIVA COSCIENZA, O MEGLIO,
LA CATTIVA COSCIENZA DI UNA BUONA COSCIENZA. NESSUNA VIRTU’ E’ VIRTUOSA PER
SE’, MA C’E’ UNA VIRTU’ IN SE’ E PER L’ALTRO; UNA VIRTU’ NELLA CATTIVA COSCIENZA
DI SE’ E L’INNOCENTE INCOSCIENZA DEL PROPRIO MERITO. BENCHE’ NEL SUO INTIMO E
NELLA SUA PERFETTA UMILTA’ ESSA SI RICONOSCA IMPURA, TENTATA, COLPEVOLE, LA
VIRTU’, COME I RIMORSI, SARA’ MERITORIA E DUREVOLE PERCHE’ NON NE AVRA’
SAPUTO NIENTE. SE LA VIRTU’ S’IMPARA
La virtù è o no una cosa che si impara? Secondo Platone la virtù va insegnata ed è lo stato che ha
il compito di questa pedagogia. Platone si basa su due postulati, uno pedagogico e uno
intellettualistico: il male è mancanza di essere. Si può sempre mettere qualcosa dove non c’è
niente. Il carattere è la tabula rasa su ci si scrive ciò che si vuole, l’educazione è un processo
aumentativo e un crescendo quantitativo. Il secondo postulato è questo: la virtù è scienza.
L’educazione è quindi un problema di insegnamento. Per Aristotele le virtù dianoetiche si
insegnano con il tempo e con l’esperienza, mentre le virtù etiche si acquisiscono con l’esercizio.
L’abitudine modifica la disposizione del volere, ma non le facoltà innate, qualità fisiologiche o
funzioni dei sensi. L’abitudine si esercita per natura e bisogna essere capaci di contrarre
un’abitudine. Bisogna comportarsi bene per diventare buoni, bisogna essere già buoni per agire
bene. La virtù, secondo Aristotele, va dall’azione all’azione attraverso le regole etiche: la virtù
confermata dagli atti va ad altri atti sempre più numerosi e sicuri.
La disposizione non è né dopo né prima: fu data nello stesso istante dell’atto in una sintesi
dinamica in cui la disposizione vertiginosamente si gonfia e diventa un talento -> ebbrezza di un
moto che vuole esistere sempre di più. La virtù tende ad agire ed agendo diventa sempre più
virtuosa, di modo che azione e disposizione si sviluppano a gara. Il lavoro morale esige un certo
abbandono, qualcosa di elastico e d’indifferente che riesce, senza che ci si pensi. La volontà non
ha bisogno, per amare il suo prossimo, di entrare in contorsione e inarcarsi contro chissà quali
resistenze. La grazia vuole delle anime distese e semplici, non esercitate o allenate, ma disposte
per l’operazione gratuita -> questo è lo stato di grazia. Lo stato di grazia è una felice disposizione
di tutta l’anima. Se ci si offre con dolcezza alla semplicità del moto buono, si ritrova la felice e
tranquilla spontaneità dell’innocenza. Ci vuole una scossa fuggevole, quasi impercettibile, che
rimette in moto tutta l’azione immobilizzata ad un punto morto. Basta un istante per mobilitare la
situazione stazionaria, risolvere il dilemma; in quell’istante la nostra decisione avvia il dibattito della
predisposizione e dell’atto. Il gesto iniziale può essere cieco e violento: il coraggio irrazionale è
necessario per osare avventurosamente e compiere tale passo. L’atto crea se stesso dal niente,
totale e completo, con la virtù che lo ispira e che esso ispira. Affermazione vertiginosa dell’estrema
straziante difficoltà dopo la quale tutto sarà sempre più facile e non si dovrà più tornare indietro. La
volontà facendo il salto mortale ha risolto di colpo le proprie esitazioni; ha scongiurato la sua abulia
paralizzante e i suoi scrupoli zenoniani.
IL CORAGGIO E LA FEDELTA’
BISOGNA COMINCIARE DALL’INIZIO E QUESTO INIZIO DI TUTTO E’ IL CORAGGIO. IL
CORAGGIO E’ LA VIRTU’ INAUGURALE DELL’INIZIO, COME LA FEDELTA’ E’ LA VIRTU’
DELLA CONTINUAZIONE E IL SACRIFICIO QUELLA DELLA FINE. La fedeltà si aggancia ad una
scelta iniziale fondatrice che il coraggio assume. Ci vuole coraggio per rimanere fedele; a ogni
istante, per persistere nella continuazione, la fedeltà esige delle piccole riprese di coraggio. La
fedeltà è un coraggio testardamente continuato, coraggio e eroismo dipendono di solito da
occasioni eccezionali, che innalzano la volontà al di sopra di se stessa, e la rivelano a sé: a
dispetto di questo occasionalismo, si può anche dire che l’avventuroso crea, attira, prolunga a sua
volta le avventure. IL CORAGGIO NON E’ UN SAPERE MA UNA DECISIONE
Secondo la saggezza greca il coraggio è una forma di scienza. L’essenza del coraggio partecipa
alla giustizia, questa della saggezza e questa della prudenza: il coraggio è, rispetto alle cose
temibili, un’energia giusta, saggia e prudente. Aristotele dice che il coraggio è una media tra paura
e temerarietà. Il coraggio è apprezzabile in funzione di circostanze, dell’ambiente, dello sforzo
fornito, del cammino percorso -> questi fattori impediscono l’installarsi di un coraggio abituale o
inerte, obbligano il coraggioso a rincominciare ogni volta dall’inizio, come se fosse la prima volta.
La virtù dell’inizio è la più discontinua: il coraggioso non può riposarsi sul moto acquisito del suo
coraggio senza diventare un automa. Non si vive della rendita del coraggio! L’organo-ostacolo che
impedisce il coraggio è anche ciò che lo fa vivere, la fuga verso il basso o indietro della carne
timorosa è il contrappeso che sviluppa la sua forza ascensionale e la sua forza progressiva ->
questa forza è il coraggi oil coraggio protesta contro il moto acquisito dell’inerte natura con il gesto
azzardato e assurdo del sacrificio: questo gesto sovrannaturale è la libertà. La codardia è la
disfatta di tale libertà. Nell’istante di un lampo si dispiega e riluce la scintilla della decisione eroica
che è un quasi niente, un non so che, che è un’apparizione scomparente. IL CORAGGIO E’
PENSIERO FOLLE, VERTIGINE DELLA RAGIONE E PERIGLIOSA AVVENTURA.
DELLA FEDELTA’
Esiste un coraggio-virtù, tale virtù è più durevole della fiamma di un fiammifero e il coraggio è
sempre coraggioso. LA FEDELTA’ E’ PIU’ DUREVOLE E CONSISTENTE DEL LAMPO DEL
CORAGGIO. La fedeltà, virtù dell’intervallo, è un modo di comportarsi. La persistenza in sé è
virtuosa? La coerenza ha un valore morale? La fedeltà è o non è lodevole (ad esempio la fedeltà al
rancore è una fedeltà all’odio)? DIPENDE DAI VALORI AI QUALI SI E’ FEDELI. La giustizia
potrebbe essere vista come una fedeltà obbligatoria, la fedeltà come una libera giustizia
spontanea. La fedeltà conserva un certo rapporto immutabile con l’altro e essa è questa stessa
conservazione. Essa è questa incrollabile amicizia. Se l’amore ha tutti i diritti la fedeltà non ha tutti i
diritti. La virtù che vogliamo è buona fedeltà e grande fedeltà. La distinguono l’aureola d’amore che
l’avvolge, ne addolcisce il rigore: la memoria deve essere un attaccamento affettuoso del cuore
fedele alla persona dell’altro. La gratitudine è grazia nascente e piccola carità, riconoscenza per il
favore reso. LA FEDELTA’ E’ VIRTU’ DEL TEMPO, MA NON E’ FEDELE AL TEMPO, MA A
QUALCUNO. L’ALTRO E’ LA SUA INTENZIONE TRANSITIVA. IL FEDELE E’ FEDELE
ALL’AMATO LA FEDELTA’ E’ UNA VIRTU’, U