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Alfieri tornò a Torino nel 1772, dopo tre anni di assenza.
Aveva appena 23 anni, era abbastanza ricco e libero, per
quanto un uomo possa esserlo; esperto di politica, grazie ai
suoi numerosi viaggi; un pensatore, per quando lo si poteva
essere a quell’età; ed anche un presuntuoso ed ignorante.
A Torino si sistemò in una casa in piazza San Carlo; insieme
ai suoi vecchi amici di accademia crearono una
società/circolo incontrandosi quasi ogni sera per discutere di
qualsiasi cosa. Questi incontri avvenivano sempre in casa di
Alfieri, perché era la più spazioso e in più viveva da solo.
Avevano creato un ceppo (una cassetta di legno) in cui
introducevano scritti di ogni specie, che poi il presidente
(eletto da loro ogni settimana) avrebbe dovuto leggere
davanti a tutti.
Continuò quindi oziosa vita di Alfieri, in cui non aprì mai un
libro, fin quando si innamorò di un’altra donna: Gabriella
Falletti (moglie di un marchese), 9 o 10 anni più grande di
lui. La loro relazione durò circa due anni.
E’ grazie a questo triste e angoscioso amore che Alfieri si
avvicinò al vero e frenetico amore del sapere e del fare, da
cui non si allontanò mai più e che lo sottrasse dagli orrori
della noia e dell’ozio; senza il quale probabilmente sarebbe
impazzito o morto prima dei 30anni.
XIV. Malattia e ravvedimento
Alla fine del 1773 fu vittima di una malattia che i medici
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dissero che Alfieri l’aveva creata esclusivamente per sé. Si
trattava di un iniziale mal di stomaco, che poi tramutò in
convulsioni, subsultazione dei nervi e vomito.
Alfieri sosteneva che la causa di quella malattia fosse la
rabbia, la vergogna e il dolore in cui lo faceva vivere l’amore
per quella donna.
Questa malattia durò circa una settimana.
Alfieri chiese le dimissioni dal servizio militare, anche se non
lo aveva mai veramente prestato.
Nel 1774 anche Gabriella si ammalò: Alfieri restò al suo
capezzale, dove iniziò a scrivere strascichi di
commedie/tragedie solo per intrattenere la sua amata.
Dopo pochi mesi Gabriella guarì, ma la situazione per Alfieri
era insostenibile: aveva bisogno di guarire da quell’amore e
credeva che partire fosse l’unica soluzione.
Così una notte partì di nascosto per Milano, e poi Modena,
Bologna, Firenze, Pisa, e di nuovo a Torino. Il tutto in 18
giorni. Ma la situazione non era cambiata, anzi, Alfieri si
sentiva più avvilito e malinconico di prima.
Liberazione vera: primo sonetto
XV.
Una sera, tornando dall’opera, Alfieri decise di mettersi alla
prova: restò in uno stato semifrenetico per circa due mesi,
in cui non uscì di casa né incontrò Gabriella. Fin quando, nel
marzo del ’75 buttò giù qualche rima, dando vita ad un
sonetto che inviò a padre Paciaudi (frate e buon letterato)
per un parere: ovviamente egli finse di trovare buono il suo
sonetto, anche se in realtà non lo era, perché voleva bene al
giovane Alfieri.
Pochi giorni prima delle definitiva rottura con Gabriella,
ripescò quella tragicommedia che aveva scritto tempo fa
durante la convalescenza della ragazza. Rileggendola vide
la somiglianza tra il suo stato d’animo e quello di
Marcantonio, così decise di sviluppare questa tragedia: si
Cleopatra.
trattava infatti della prima bozza di
Dopo alcuni mesi di continui consulti poetici e studi di
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grammatica e di lingua italiana (da sempre trascurata),
Alfieri finì i primi cinque atti. Nel 1775 terminò la tragedia, a
I Poeti.
cui aveva aggiunto una farsetta intitolata La
tragedia debuttò a Torino quello stesso anno e riscosse un
gran successo: ma Alfieri si pentì quasi subito di essersi
esposto così intimamente al pubblico. Eppure, decise che
avrebbe fatto di tutto da ora in poi per vincere una palma
teatrale.
E’ in questo modo che si chiude l’epoca della giovinezza,
poiché la virilità di Alfieri non sarebbe mai potuta nascere
da un istante più perfetto di questo.
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Parte Seconda
Continuazione della quarta epoca
Alfieri e la contessa d’Albany vivono a Firenze dal 1992.
Alfieri riprende a scrivere la sua autobiografia nel 1803 all’età
di 55 anni.
XX. Finita interamente la prima mandata delle stampe,
traduzioni di Virgilio e Terenzio;
Alfieri continua con l’epoca quarta.
Sempre a Parigi, ozioso e angustiato, iniziò a tradurre l’Eneide e
alcune opere di Terenzio; queste occupazioni lo tolsero dal suo
ozio, benché non ritrovò mai più il bollore necessario a creare
nuove opere. In quell’ultimo anno a Parigi, scrisse soltanto
epigrammi e sonetti per sfogare la sua ira contro gli schiavi
padroni e dar libero sfogo alla sua malinconia.
Insieme a Luisa, fecero un viaggio prima in Normandia e poi si
diressero in Inghilterra.
XXI. Quarto viaggio in Inghilterra ed in Olanda, e ritorno a Parigi
Nel 1791 partirono per l’Inghilterra: questa volta Londra gli
piacque un pò meno, criticandone soprattutto il modo corrotto
di vivere.
Successe nel giugno di quell’anno la famosa fuga del re di
Francia, che fu poi ricattato e fatto prigioniero a Parigi. Questo
avvenimento comportò la svaluta della moneta francese; ed
essendo che Alfieri possedeva un terzo delle sue entrate in
Francia (dove la moneta ormai aveva perso valore), dovettero
subito tornare a Parigi.
Nel viaggio di ritorno, Alfieri incontrò Penelope Pitt (sua vecchia
fiamma) di cui non aveva saputo nulla per vent’anni.
La vista di quella donna provocò all’Alfieri sentimenti
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contrastanti, tanto che le scrisse una lettera piena di affetti e di
rimpianti.
Prima di tornare a Parigi, visitarono l’Olanda.
XXII. Fuga da Parigi e rientro in Italia
All’inizio del 1792 tornarono ad Abitare a Parigi; Alfieri non volle
ma conoscere, parlare o avere nulla a che fare con quei facitori
di falsa libertà. Nella primavera di quell’anno morì la madre.
Intanto la situazione in Francia peggiorò e Alfieri e Luisa
partirono per mettersi in salvo; nell’uscire da una Parigi
blindata, vennero fermata da un gruppo di plebei rivoluzionari
che, vedendo le carrozze i lori bauli, credettero si trattasse di
una coppia reale. Alfieri fece di tutto per dimostrargli che si
sbagliavano.
Alla fine riuscirono a scappare, e il 3 novembre di quell’anno
arrivarono a Firenze, dove stabilirono per sempre.
XXIII. Ripresa della vita letteraria
Dopo tre anni in cui Alfieri non aveva composto nulla se non
alcune rime, ideò l’Apologia del re Luigi XVI ed anche una prosa
storico-satirica sulla Francia rivoluzionaria, che chiamò Il
misogallo (in cui aveva riposto la sua vendetta e quella
dell’Italia).
Nonostante non possedesse più il furore giovanile necessario
per scrivere, Alfieri trovò un altro passatempo: quello del
recitare. A Firenze trovò alcuni giovani, molto capaci, con cui
recitò alcune delle sue tragedie. Questo passatempo lo occupò
per diversi anni.
XXIV. Traduzioni delle tragedie greche, altre satire, e cose varie
Per sfuggire all’ozio, Alfieri lesse alcune opere di autori che non
aveva mai letto: Omero, Aristofane, Pindaro, ecc.
Intanto andava anche scrivendo rime e satire.
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XXV. Inizio dello studio della lingua greca
Nonostante non sia dotato di nessuna particolare indole verso
le lingue straniere, Alfieri iniziò a comprare libri e dizionari sulla
grammatica greca. Ostinato e forzando sempre di più gli occhi,
la mente e la lingua alla fine nel 1797 fu capace di leggere
qualsiasi scritto greco.
Quello stesso anno portò a termine la stesura di 17 satire.
XXVI. Continuazione dello studio letterario
Dopo aver letto diversi autori greci e latini, Alfieri si cimenta
nell’opera di Euripide, l’Alceste: e ne rimase così colpito che,
dopo averla letta e tradotta e riletta diverse volte, decise di
crearne una sceneggiatura tutta nuova che compose e stese
nel ’98.
Questa sua ultima tragedia ebbe molto successo.
In quello stesso anno commissionò un suo ritratto al pittore
Saverio Fabre, che Alfieri poi regalò alla sorella Giulia.
XXVII. Continuazione degli studi e invasione dei francesi nel ’99
Alfieri sa che il peggio della rivoluzione francese sta per
arrivare: così dispose tutto per vivere incontaminato e libero e
rispettato in caso di morte.
L’ultima cosa che scrisse fu un ode a Pindaro intitolata
Teleutodia.
I francesi invasero Firenze il 25 marzo del 1799; quello stesso
giorno, Alfieri e Luisa partirono per rifugiarsi in una villa nelle
campagne toscane.
XVIII. Soggiorno in villa e ritorno a Firenze
A Firenze viene proclamata la stessa libertà che era in Francia;
molti politici e nobili vengo uccisi, cosa che fa molto
preoccupare Alfieri.
Questa situazione durò fino al 5 luglio del’99, quando i francesi
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vennero sconfitti dagli austrorussi nella battaglia della Trebbia e
costretti alla ritirata.
In quello stesso periodo, Alfieri scopre che la ristampa di alcune
sue opere a Parigi non venne mai effettuata; così denunciò
l’accaduto ai giornali.
XXIX. Seconda invasione
Il 15 ottobre del 1800 i francesi invadono di nuovo la Toscana;
questa volta Alfieri non si rifugiò in villa ma restò a Firenze.
Il generale comandante delle truppe Cesare Miollis voleva a
tutti i costi conoscere Alfieri, poiché aveva letto tutti i suoi libri;
ma Alfieri fece di tutto per non incontrarlo mai.
Intanto, Alfieri venne preso da un nuovo forte impulso naturale
di scrivere e partorì poco dopo sei commedie.
XXX. Malattia
Nel 18001 finalmente si raggiunse la pace con i trattati di
Luneville tra Austria, Francia, Regno di Napoli, Inghilterra, ecc.
mentre a Parigi, Napoleone Bonaparte veniva nominato console
a vita.
Alfieri, intanto, non pensava ad altro che a portare a termine
quella sua lunga e copiosa carriera letteraria.
Poco dopo, Alfieri si ammalò di un’accensione al capo e di una
podagra al petto, che lo tenne convalescente per molto; venne
poi a sapere della morte del suo unico nipote, figlio di Giulia.
In questi ultimi anni di disgrazie, Alfieri si dice sazio e
disingannato delle cose del mondo: vestiva sempre di nero e si
sentiva molto povero (nonostante in realtà fosse ricco); si
ammalò spesso.
XXXI. Stanco ed esaurito, pongo fine ad ogni mia impre