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SUPPLIZIO DELL’ALBERO INFELICE
Cosa vuol dire infelice:
- sterile—> non produce frutti—> in una società che si basa sulla produzione, se un
albero è sterile è grave, è un albero maledetto—> indica avversione degli dei
- esistono degli alberi che per loro natura sono infelici, cioè non appartengono ne alla
dimensione terrena ne a quella degli dei, ma che sono consacrati agli dei inferi (di
solito di colore rosso-bruno, o che spezzandosi contengono una linfa rossa)—>
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pensavano che la linfa rossa fosse sangue proveniente dagli inferi che alimentava
queste piante
Cosa succedeva a chi veniva legato all’albero infelice?
Innanzitutto, come veniva legato?
E’ un indicatore? E’ una crocifissione? La crocifissione è un’evoluzione dell’albero
infelice?
Non è un’impiccagione e non è una crocifissione. L’IMPICCAGIONE era considerata la
morte peggiore dai romani perché il morto deve essere riportato alla terra. Dunque
poteva succedere che la persona fosse legata in modo da non morire subito; questo
porta alla CROCIFISSIONE, con la quale si legava il condannato. Ma l’albero infelice
non può essere una crocifissione perché questa era un supplicium servile, non
autoctono romano, mentre la sospensione all’albero infelice era autoctona alla quale si
poteva essere condannati per gravissimi crimini ma essendo romani. Probabilmente
legati all’albero si moriva per le frustate, ma non per la sospensione. Era una pena che
non veniva descritta nel dettaglio tanto era considerata orribile.
CESARE BECCARIA
Si è sempre pensato che la pena di morte fosse necessaria, se possibile pubblica in
modo che tutti vedessero quello che era stato deciso dalla città. Nessuno tranne un paio
di filosofi aveva mai ipotizzato che la pena di morte potesse non servire a niente. La
pena ha vari scopi: RETRIBUTIVA—> il colpevole ha fatto qualcosa di grave e deve
essere ripagato con la stessa moneta. DETERRENTE—> deve servire a quelli che sono
intorno per capire. RIMETTE A POSTO LE COSE—> riporta equilibrio tra mondo degli
uomini e mondo degli dei. ESEMPLARE—> è un paradigma, un esempio, un modello di
ricomposizione dell’equilibrio nello stato. Dunque “soddisfaceva” tutto questo, e include
anche l’aspetto emotivo di volontà della popolazione di punizione della persona che ha
compiuto qualcosa di orribile. E’ un mezzo di PROPAGANDA POLITICA, con cui il
potere fa sapere che ha le redini della situazione.
Bisogna aspettare la metà del 700 perché qualcuno metta in discussione tutto ciò:
nell’Illuminismo inizia per la prima volta una polemica con il passato—> gli illuministi
detestano la storia, che è un insieme di eventi drammatici, tragici. Gli illuministi sono
cosmopoliti, non considerano nemici gli abitanti di altri paesi, e sono razionalisti. Fanno
quello che serve perché ritenuto utile al benessere del singolo e della società—> il
metodo per affrontare il problema giuridico è quello della razionalità.
Cesare Beccaria, di Milano, si occupa specificamente dei delitti e delle pene; apprezzato
in modo incondizionato all’estero perché ha scritto un volume che riguarda il diritto
penale. Aveva il coraggio di demolire quello che era stato fatto prima. Dice che nel
campo del diritto penale, l’uomo ha sbagliato tutto. Spesso le masse sbagliano, sono
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pochissimi coloro che sanno far andare avanti l’umanità, quindi anche se lo hanno fatto
tutti è sbagliato lo stesso.
La sua è una campagna non solo contro la pena di morte ma anche contro la tortura. Ai
sovrani non interessa che una cosa sia umana o no: gli interessa solo che sia efficace.
Infatti Beccaria non dice che la pena di morte è inumana, ma che è INUTILE. Beccaria
era un uomo pratico, aderiva alla corrente filosofica del SENSISMO, che si basava
sull’aspetto corporeo delle cose. Studia la tortura e la pena di morte nel dettaglio,
dicendo che questa è inutile e ingiusta. E’ inutile perché non raggiunge gli obiettivi che
si prefigge: eliminazione dei crimini—> se la pena di morte fosse davvero un deterrente,
i crimini non ci sarebbero più; anzi spesso con l’inasprimento delle pene aumentano i
crimini.
Non è neanche retributiva: non colpisce così tanto colui che la subisce perché è un
momento spettacolare, tremendo, ma breve. Colui che ha compiuto qualcosa di grave
dovrebbe riflettere per molto tempo, con la prigionia= privazione della libertà. Il carcere
all’epoca non veniva concepito come una pena, ma come una villeggiatura pagata dallo
stato; infatti era uso che i familiari portassero da mangiare e da bere al carcerato.
Beccaria aveva così pensato alla carcerazione a vita con i lavori forzati.
La carcerazione perenne avrebbe costituito un motivo di orrore e di disgusto, sarebbe
stato un deterrente efficace perché nessuno avrebbe voluto finire così: in vita ma ad
aspettare la morte. Quindi Beccaria non dà un’alternativa leggera alla pena di morte,
l’ergastolo è una pena più pensante—> solo così i politici dell’epoca lo avrebbero
accettato.
Aspetto esemplare: con la pena di morte si otteneva tramite uno spettacolo pubblico.
Questo aspetto non funziona secondo Beccaria perché lo spettacolo della pena di morte
ha due effetti:
1. diverte delle masse che non riflettono ma semplicemente vanno a vedere uno
spettacolo
2. un altro gruppo di persone prova pietà per il condannato, che diventa una vittima
dello stato—> il criminale in quel momento è indifeso, che viene sottoposto a
qualcosa di terribile da parte dello stato più forte di lui
Beccaria parla in modo semplice per rivolgersi ad un pubblico più vasto possibile, anche
alla borghesia sufficientemente istruiti per leggere. Usa il termine “trucidare” per indicare
la pena di morte; non c’è nessun fondamento legislativo per consentirla.
Il motivo per cui siamo cittadini dello stesso stato è dovuto ad un CONSENSO dei
cittadini che decidono di rinunciare ad una parte della propria libertà per avere in cambio
sicurezza e servizi. La parte di libertà che abbiamo lasciato allo stato NON è la sua
possibilità di toglierci la vita, che è il bene supremo—> con la pena di morte di rinuncia
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