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IL RICORSO DI ANNULLAMENTO

Il ricorso per annullamento è diretto a far annullare gli atti comunitari contrari al diritto

dell’Unione. Può essere presentato alla Corte di giustizia dagli Stati membri, dalle istituzioni

europee e dai singoli cittadini. Alla conclusione del procedimento, se è pronunciato l’annullamento,

l’atto contestato è considerato inesistente. L’istituzioni competente, allora, dovrà colmare il vuoto

normativo conseguente all’annullamento.

Il diritto di proporre ricorso per annullamento spetta ai cosiddetti ricorrenti privilegiati, ossia ai

ricorrenti che non devono dimostrare l’interesse ad agire. Le persone fisiche o giuridiche sono

legittimate a proporre ricorso per annullamento, nel caso in cui l’atto li riguardi direttamente.

Secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia, le persone fisiche e giuridiche devono

dimostrare l’interesse ad agire e, pertanto, non sono considerati ricorrenti privilegiati. In altri

termini, devono provare che l’atto impugnato incida sulla loro situazione personale e che il

provvedimento le riguarda direttamente e individualmente.

Il ricorso per annullamento deve essere esperito entro due mesi dalla pubblicazione dell’atto nella

Gazzetta ufficiale o dalla sua notificazione al ricorrente oppure, ancora, dal giorno in cui il

ricorrente ne ha avuto conoscenza.

Qualora la Corte di giustizia accolga la domanda di annullamento, l’atto contestato è considerato

annullato. Di norma, la decisione concerne l’intero atto, salvo che le disposizioni illegittime

possano essere separate da quelle legittime.

IL RICORSO PER CARENZA

Il ricorso per carenza è uno dei tipi di ricorso che possono essere presentati dinanzi alla Corte di

giustizia dell’Unione europea. Questo tipo di ricorso riguarda l’inazione di un’istituzione, di un

organo o organismo dell’Unione. Se tale inazione è illegale in virtù del diritto europeo, la Corte

constata la carenza e l’istituzione, l’organo o l’organismo in questione deve prendere le misure

appropriate.

La carenza è caratterizzata dall’assenza o dall’omissione di azione da parte dell’entità in

questione, laddove il diritto europeo imponeva un obbligo di agire. L’assenza o l’omissione ha,

quindi, carattere illegale. Il ricorso per carenza può, ad esempio, essere presentato contro

un’istituzione che non abbia adottato un atto previsto dal diritto europeo.

L’articolo 265 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea prevede due categorie di

ricorrenti. La prima categoria comprende gli Stati membri e le istituzioni dell’Unione. Questi

ricorrenti sono detti privilegiati perché non devono dimostrare un interesse ad agire per poter

proporre un ricorso per carenza. La seconda categoria comprende i soggetti privati. A differenza

dei ricorrenti privilegiati, i privati devono avere un interesse ad agire per poter adire la Corte di

giustizia.

Prima di poter presentare un ricorso per carenza, il ricorrente deve innanzitutto invitare l’istituzione,

l’organo o l’organismo dell’Unione ad agire. Se, allo scadere di un termine di due mesi, l’entità in

questione non ha preso posizione, il ricorrente dispone di un nuovo termine di due mesi per

presentare ricorso per carenza dinanzi alla Corte di giustizia.

Quando la Corte accoglie la richiesta di carenza, si accontenta di constatare la carenza. In altre

parole, la Corte non può sostituirsi all’istituzione per porre rimedio alla carenza. Spetta, poi,

all’istituzione messa in causa agire entro un congruo termine.

Problematiche connesse alla cooperazione in materia penale

La cooperazione in materia penale nasce dalla necessità di far fronte a quelli che erano gli

inconvenienti della libera circolazione delle merci, dei capitali e delle persone. Infatti, creare uno

spazio libero senza frontiere, ha significato garantire contestualmente anche degli spazi alla

criminalità. Proprio per tale ragione è nata, sul piano intergovernativo, la cooperazione politica

europea nel 1970. Il primo atto nell’ambito della cooperazione in materia penale è una risoluzione

del Parlamento europeo sull’applicazione del principio ne bis in idem. Il ne bis in idem è un

principio in virtù del quale una persona che è stata condannata per determinati reati, non può

essere nuovamente sottoposta al processo per gli stessi reati. Dopo tale risoluzione del

Parlamento europeo, il principio vale anche a livello europeo e non solo a livello nazionale.

Pertanto, ad esempio, una persona condannata in Italia per un determinato reato non può essere

condannata in un altro Stato membro per lo stesso reato.

A partire dall’AUE ritroviamo le prime disposizioni in materia di politica estera, anche se ancora

non si parla di vera e propria cooperazione in materia penale. Tra queste disposizioni rientrano gli

accordi di Schengen, grazie ai quali si può liberamente circolare nel territorio dell’Unione esibendo

semplicemente un documento d’identità valido per l’espatrio. Questa ulteriore apertura delle

frontiere ha comportato una maggiore libertà di circolazione anche di quelle persone che sono

intenzionate a commettere crimini. Per tale ragione, in tutti gli Stati membri, è sorta l’esigenza di

combattere insieme questi crimini. Con il Trattato di Maastricht si inizia a parlare, finalmente, di

cooperazione giudiziaria in materia penale e si individua il cosiddetto sistema K, che prende il

nome dagli articoli del trattato dedicati a tale settore.

Con il TUE si individuano i tre pilastri, poi eliminati dal Trattato di Lisbona. Il terzo pilastro era

quello dedicato alla cooperazione in materia penale, ma viene rappresentato inizialmente come

unico calderone all’interno del quale vi è anche la cooperazione civile. Tuttavia, quest’ultima viene

ben presto comunitarizzata. In tal modo, ad esempio, una sentenza civile di un giudice francese,

può essere eseguita in qualsiasi Stato membro, in modo da rendere più celere il procedimento che

implica il riconoscimento di tale decisione. Ciò, però, non è accaduto immediatamente in materia

penale perché gli Stati membri, in materia di cooperazione penale, sono più restii a cedere delle

quote di sovranità in favore delle istituzioni dell’Unione. Nel rispetto del principio di territorialità in

materia penale nasce, nel TUE, il titolo dedicato alla cooperazione in materia penale. Essa è una

cooperazione di stampo intergovernativo perché non si utilizzano gli strumenti tecnici del diritto

dell’Unione, ma si stipulano convenzioni internazionali che devono essere sottoposte a ratifica.

Ratifica che era strettamente legata alla funzione del Consiglio, poiché è l’istituzione che si occupa

di tutelare gli interessi degli Stati membri e non quelli proprio dell’UE nel suo complesso.

La cooperazione in materia penale tra il 1993 e il 1997 è lasciata alle convenzioni internazionali.

Con il trattato di Amsterdam si fa un passo in avanti nell’ambito della cooperazione penale. Infatti,

si attribuiscono maggiori poteri alle varie istituzioni dell’Unione e si tenta di avvicinare l’Europa ai

cittadini. Si rafforza, pertanto, il concetto di cittadinanza dell’UE. Gli Stati, però, ritengono che per

rafforzare tale concetto sia necessario garantire uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia

particolarmente efficace. Di conseguenza, si cerca di rafforzare il coordinamento tra le forze di

polizia e le autorità giudiziarie degli Stati membri. In questo modo si istituisce l’EUROPOL o ufficio

europeo di polizia.

La missione dell’Europol è migliorare l’efficienza delle autorità di pubblica sicurezza dell’Unione e

la cooperazione reciproca per prevenire e combattere le forme gravi di criminalità organizzata e di

terrorismo, in modo da costruire un’Europa più sicura per tutti.

L’Europol, che è formato dalle forze armate che i singoli Stati membri inviano all’ufficio europeo di

polizia, partecipa all’azione di contrasto promossa dagli Stati membri in alcuni determinati settori.

In particolare, traffico di stupefacenti, terrorismo, organizzazione clandestina di immigrazione,

tratta di esseri umani, contraffazione di prodotti, riciclaggio di denaro, contraffazione di denaro e di

altri mezzi di pagamento. Inoltre, Europol offre sostegno agli Stati membri facilitando lo scambio di

informazioni tra le autorità dell’UE, fornendo analisi operative, preparando relazioni strategiche e

offrendo le proprie conoscenze e il proprio sostegno tecnico per le indagini.

Contestualmente all’istituzione di Europol, si introduce anche Eurojust, un organismo formato da

un membro per ogni Stato. Costoro sono pubblici ministeri o giudici nazionali. Eurojust opera in

stretto collegamento con Europol e ha il compito di promuovere e migliorare il coordinamento tra le

autorità nazionali nel quadro delle indagini e dei procedimenti giudiziari che interessano due o più

Stati membri.

Eurojust promuove l’efficienza delle autorità nazionali responsabili delle indagini e dell’azione

penale contro le forme gravi di criminalità organizzata, come il terrorismo, la tratta di esseri umani,

il traffico di droga, la frode e il riciclaggio di denaro, al fine di conseguenza i criminali alla giustizia

in modo efficace e rapido.

Attraverso l’istituzioni di Europol e Eurojust, il Trattato di Amsterdam riesce a rafforzare e

sollecitare una maggiore collaborazione tra le forze di polizia e le autorità giudiziarie degli Stati

membri, come auspicato dagli stessi. Ciò nonostante, il processo per una migliore cooperazione in

materia penale non s’è fermato, anche perché il terzo pilastro presentava alcuni limiti. Il limite più

grande è rappresentato dal sistema K. Infatti, l’attività decisionale spetta esclusivamente al

Consiglio che decide all’unanimità. Pertanto, ogni Stato ha una sorta di potere di veto rispetto alle

decisioni che devono essere prese, poiché basta un solo voto contrario per bloccare

l’approvazione. Con il Trattato di Amsterdam si cerca di superare questi limiti, attribuendo maggiori

competenze alla Corte di giustizia e ulteriori poteri al Parlamento europeo. Inoltre, fanno il loro

ingresso tra le fonti del diritto dell’Unione le decisioni e le decisioni quadro e si inizia a perseguire

l’obiettivo del riavvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia penale.

I due strumenti che nella cooperazione giudiziaria in materia penale intervengono in questo

momento sono il mutuo riconoscimento e il riavvicinamento delle legislazioni. Il mutuo

riconoscimento è il principio in virtù

Dettagli
Publisher
A.A. 2014-2015
18 pagine
SSD Scienze giuridiche IUS/14 Diritto dell'unione europea

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher MarkM91 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto dell'Unione europea e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Bari o del prof Pizzolante Giuseppina.