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CHE TUTTA LA LEGG DIVINA UNIVERSALE INSEGNATA NELLA SCRITTURA E’ GIUNTA
INCORROTTA NELLE NOSTRE MANI, ciò che c’è di alterato poté verificarsi solo nel resto come nelle
cose speculative.
CAPITOLO XIII: si mostra che la Scrittura non insegna se non cose semplicissime, e che non ha altro
scopo che l’ubbidienza; e della natura divina non insegna se non ciò che gli uomini possono imitare con
un certo modo di vivere.
Le cose della Scrittura possono essere facilmente apprese da ciascuno, essa non deduce né concatena le cose
da assiomi e definizioni e conferma le cose dette con la sola esperienza. La Scrittura infatti non contiene
speculazioni filosofiche ma solo cose semplici. Alcuni vedono in essa dei misteri, le speculazioni sono
poche. La Scrittura insegna l’ubbidienza, la conoscenza intellettuale di Dio invece non è un dono comune a
tutti , i padri non conobbero alcun attributo di Dio che esprimesse l’essenza assoluta ma solo i suoi effetti ma
in realtà ciò è contraddittorio perché in dei luoghi si dice che i patriarchi resero lodi a Dio come Jehova ma
forse solo perché per i Giudei questo nome era oggetto di massimo rispetto. Degli attributi divini la Scrittura
insegna solo quelli necessari a praticare la giustizia e la carità. Geremia, Mosè e Giovanna fanno consistere
Dio nella giustizia e misericordia, ossia come unico modello di vita vera. Alcuni teologi ritengono che
bisogna interpretare tutto metaforicamente ma se così fosse sarebbe indirizzata solo ai teologi . si è così
dimostrato che la vera conoscenza di Dio non è un comando ma un dono divina e Dio non richiede agli
uomini nulla all’infuori della giustizia e della carità.
CAPITOLO XIV: Che cosa sia la fede e chi siano i credenti, si determinano i fondamenti della legge e
questa è finalmente separata dalla filosofi.
Mosè non si ingegnò a convincere gli Israeliti con la ragione ma a costringerli con il patto, quindi con
l’ubbidienza, tutta la legge consiste nell’amore verso il prossimo, tutti inoltre concordano che la Scrittura fu
scritta e divulgata non solo per i dotti perché se il fondamento è uno sono sorte tante discordie nella chiesa?
La fede è pensare di Dio cose tali che, se ignorate, si toglie l’ubbidienza verso Dio. Da ciò ne consegue:
1) La fede dà la salvezza solo in rapporto all’ubbidienza, la fede senza le opere è morta
2) Colui che è ubbidiente ha la fede vera e salvifica
Da ciò ne deriva che noi ricaviamo dalle opere se uno è credente o no.
I dogmi che di deducono da questi sono che esiste un ente supremo che ama la giustizia e la carità, Egli è
unico, è presente ovunque, ha il diritto supremo su tutte le cose, solo coloro che ubbidiscono a Dio in questo
modo sono salvi, Dio perdona i peccati, infatti non c’è nessuno che non pecchi. Ognuno può interpretare
questi dogmi come vuole in base alla propria capacità, si dimostra così che la fede richiede la pietà quindi
non chi mostra le migliori ragioni è più credente. Rimane così da dimostrare che la filosofia e la teologia
occupano due ambiti diversi.
CAPITOLO XV: Si mostra che né la teologia è al servizio della ragione né la ragione della teologia, e si
mostra la ragione per la quale siamo persuasi dell’autorità della Sacra Scrittura.
Alcuni sostengono che la Scrittura debba essere adattata alla ragione altri che la ragione debba essere
adattata alla Scrittura: quest’ultima è sostenuta dagli scettici, l’altra dai dogmatici ma ciò vorrebbe dire
corrompere la ragione o la Scrittura. Essa infatti non insegna cose filosofiche ma soltanto la pietà. Il primo
tra i farisei che affermò che la Scrittura dovesse essere adattata alla ragione fu Maimonide, a lui avverso fu
Alphakar che affermò che la ragione debba essere sottomessa alla Scrittura. Infatti se la ragione, pur
opponendosi, deve essere tuttavia completamente ad essa sottomessa, tale sottomissione va fatta con la
ragione o senza? Se si fa senza si agisce senza giudizio. La filosofia inoltre mantiene il regno della verità e la
religione quello dell’ubbidienza. La credenza che l’ubbidienza è via di salvezza si fonda sulla testimonianza
e l’autorità dei profeti con una certezza morale. Vi sono persone che ritengono che teologia e filosofia si
contraddicano ma in realtà occupano due ambiti differenti.
CAPITOLO XVI: Dei fondamenti dello Stato; del diritto naturale e civile di ciascuno e del diritto delle
supreme potestà.
Per diritto e istituto di natura di intende la natura di ciascun individuo che ha il supremo diritto su tutto e le
cose sia colui che non conosce la natura tanto colui che la conosce. Dunque il diritto naturale di ciascun
uomo p determinato non dalla retta ragione ma dal desiderio della potenza. Ma nessuno può dubitare quanto
sia utile per gli uomini vivere secondo le leggi e i dettami della ragione che hanno di mira solo il vero utile
dell’uomo. Nessuno desidera vivere nella paura, per vivere meglio gli uomini dovettero necessariamente
unirsi. E’ legge universale della natura umana che nessuno abbandoni qualcosa che giudica bene se non per
la speranza di un bene maggiore o per paura di un male maggiore. Da ciò si deduce che il patto non può
avere alcuna forza se non in ragione dell’utilità. Il patto migliore nella società è quello della democrazia che
si definisce come l’associazione di tutti che ha collegialmente il diritto a tutto ciò che può. Tutti devono
ubbidire alla legge, in quest’ambito c’è meno da temere cose assurde perché il fine è quello di evitare le cose
assurde dell’appetite e di contenere gli uomini.si penserà che questi divengano schiavi ma non è vero perché
è maggiormente schiavo colui che è trascinato dal suo piacere, l’azione per comando, cioè l’ubbidienza
toglie la libertà ma non rende schiavi ma sudditi. Ed è massimamente libero lo Stato in cui le leggi sono
fondate sulla retta ragione. Il suddito è come un figlio che fa ciò che è utile a se stesso per comando del
genitore/ alla comunità e di conseguenza anche a se stesso. Bisogna indagare cosa sono poi: IL DIRITTO
CIVILE, PRIVATO, IL TORTO, LA GIUSTIZIA E L’INGIUSTIZIA; INOLTRE CHI SIA L’ALLEATO E IL
NEMICO, E CHE COSA INFINE IL REATO DI LESA MAESTA. Il primo vuol dire il diritto che ha
ciascuno di conservarsi nel proprio stato, libertà che viene determinata dalle leggi della suprema potestà, si
ha torto quando un cittadino è costretto a patire qualche danno in contrasto con il diritto civile, ossia con la
legge emanata dalla suprema potestà. Giustizia è la costante disposizione dell’animo a dare a ciascuno ciò
che gli spetta per diritto civile. Alleati sono i componenti di due Stati che per evitare il rischio di una
risoluzione di guerra si impegnano a non farsi torto a vicenda. Questo contratto sarà valido finché rimarrà il
suo fondamento ovvero l’utilità. È nemico chiunque vive fuori dello Stato in modo da non riconoscere il
potere dello Stato né come alleato né come suddito. Infine il reato di lesa maestà ha luogo nei sudditi che con
un patto tacito o espresso hanno trasferito tutto il loro diritto allo Stato d si dice che ha commesso tale reato
quel suddito che ha tentato in qualche modo di impadronirsi del diritto della suprema potestà o di trasferirlo
ad un altro. Se qualcuno di suo libero arbitrio ha preso l’iniziativa di compiere qualche pubblico affare ha
tuttavia violato il diritto della suprema potestà e leso la sua maestà.
Sul diritto naturale e diritto divino: lo stato naturale precede la religione sia per natura che per tempo.,
nessuno da infatti per natura che è tenuto ad una qualche ubbidienza verso Dio, quindi non deve essere
confuto con lo stato della religione se infatti gli uomini fossero vincolati per natura dal diritto divino sarebbe
stato superfluo che Dio avesse fatto un patto con gli uomini. Quindi il diritto divina cominciò dal tempo in
cui gli uomini promisero a Dio di ubbidirlo e si privarono della loro libertà naturale. Si potrebbe chiedere poi
che succede se la suprema potestà comanda qualcosa contro la religione e l’ubbidienza che abbiamo
promesso a Dio con un patto esplicito? Bisogna ubbidire al comando divino o a quello umano? Bisogna
ubbidire a Dio quando si ha una rivelazione certa e indubitabile.
CAPITOLO XVII: Si mostra che nessuno può né deve trasferire tutti i suoi diritto alla suprema potestà, si
tratta dello Stato ebraico: quale sia stato durante la vita di Mosè , dopo la sua morte, prima della elezione
dei re, della sua eccellenza e , infine, delle ragioni per cui lo Stato teocratico poté perire e poté appena
sussistere senza rivolte.
Nessuno potrà mai trasferire ad un altro la sua potenza così da cessare di essere uomo, l’individuo decide di
ubbidire ai comandi della potestà per propria deliberazione. Gli animi tuttavia sono sotto il potere della
suprema potestà.
Si devono analizzare i mezzi a cui fa ricordo il potere per la propria conservazione, vi sarà
un’illustrazione tramite esempi storici.
La conservazione del potere dipende dalla fedeltà dei sudditi, dalla loro virtù e fermezza anche se sia
governanti che governati sono uomini, quindi inclini alla dissolutezza. I re, che un tempo avevano usurpato il
potere, si sforzarono, per garantire la propria sicurezza, di far credere di trarre la propria origine dagli dei
immortali perché ritenevano che se i sudditi li avessero considerati come dei avrebbero sopportato di essere
da loro governati. Così Augusto fece credere ai Romani di essere discendente di Enea figlio di Venere così
come Alessandro si disse figlio di Zeus.
Descrizione della genesi e delle istituzioni dello Stato teocratico ebraico.
Dopo l’esodo gli Ebrei non erano più vincolati da alcun diritto di un’altra nazione ma era loro permesso
istituire nuove leggi e occupare le terre che volevano. Tornarono infatti in possesso del proprio diritto
naturale e ciascuno poteva decidere se voleva mantenerlo o traferirlo a un altro. Dietro consiglio di Mosè gli
Ebrei deliberarono di non trasferire a nessun uomo il proprio diritto ma solo a Dio. Espressamente con un
patto e un giuramento di privarono del proprio diritto per traferirlo a Dio. In questo Stato quindi il diritto
civile e la religione erano una medesima cosa. Chi veniva meno ai doveri religiosi cessava di essere
cittadino, tale ordinamento poté essere chiamato teocrazia. Poi abrogarono il primo patto e trasferirono a
Mosè il loro diritto di consultare Di