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Pisone dichiara che sarebbe andato da Cesare, parimenti Lucio Roscio pretore, affinché lo informassero di queste cose: chiedono sei giorni di tempo per compiere tale cosa.
Vengono dette anche proposte da qualcuno, di mandare legati da Cesare, che gli presentassero la volontà del senato. A tutte queste proposte si fa resistenza, e il discorso del console, di Scipione (suocero di Pompeo) e di Catone Uticense si oppongono a tutte. Le antiche inimicizie verso Cesare e il dolore dell'insuccesso pronano Catone. Lentulo è mosso dalla grande quantità di debiti, dalla speranza di avere un esercito e delle province e dai doni di chi aspirava al titolo di re, e si vanta tra i suoi che sarebbe diventato un secondo Silla, a cui tornerà il potere supremo. Stimola Pompeo la stessa speranza di province e di eserciti, che per parentela pensa di poter spartire con Pompeo, e nello stesso tempo la paura dei giudizi, l'adulazione e l'ostentazione sua e dei potenti.
che allora avevano grande potere nello stato e nei tribunali. Lo stesso Pompeo, spinto dai nemici di Cesare, e poiché non voleva che nessuno lo eguagliasse in prestigio, si era allontanato del tutto dalla sua amicizia e si era riconciliato con i nemici comuni, che in gran parte egli stesso aveva procurato a Cesare al tempo della loro parentela (Pompeo aveva sposato la figlia di Cesare, Giulia): allo stesso tempo, indotto dal disonore delle due legioni che dal viaggio in Asia e in Siria aveva trattenuto per la sua potenza e dominio, decideva di portare la cosa alle armi. Per queste cause, tutto accade improvvisamente e disordinatamente. Né viene dato tempo ai congiunti di Cesare di informarlo, né viene concessa ai tribuni la facoltà di allontanare da sé il pericolo e di conservare il supremo diritto di veto, che Silla aveva lasciato loro, ma sono costretti a pensare alla loro salvezza dopo sette giorni, cosa che quei turbolentissimi tribuni dei tempi precedentierano stati soliti controllare e temere solo all'ottavo mese del loro incarico. Si ricorre a quell'estremo e definitivo decreto, al quale, se non quasi in un incendio della città e nella disperazione della salvezza di tutti, l'audacia degli scellerati mai era giunta prima: si adoperino i consoli, i pretori, i tribuni della plebe, e tutti i proconsoli che sono vicini alla città, affinché lo stato non riceva alcun danno. Queste cose vengono scritte nel senatoconsulto del sette gennaio. Così dopo cinque giorni, in cui il senato poté riunirsi, dal giorno in cui Lentulo iniziò il proprio consolato, eccetto i due giorni di comizio, si prendono gravissime e durissime decisioni sul potere di Cesare e su quello di illustrissimi uomini, i tribuni della plebe. Subito i tribuni della plebe fuggono dalla città e si rifugiano presso Cesare. Egli era in quel tempo a Ravenna e aspettava risposte alle sue lievissime richieste, se la cosa potesse.essere risolta in pace secondo un'umana equità. 83-86: SPAGNA, sconfitta di Afranio e clemenza di Cesare Lo schieramento di Afranio di cinque legioni era su due fronti, le coorti sulle ali occupavano il terzo in posizione di riserva; lo schieramento di Cesare era su tre fronti, ma quattro coorti da ciascuna delle cinque legioni mantenevano la prima linea, tre di riserva e ancora altre ciascuna da ogni legione seguivano queste; i saettatori e i frombolieri erano posti in mezzo allo schieramento, la cavalleria cingeva i lati. Formato così lo schieramento, a entrambi sembrava di poter mantenere il proprio piano: Cesare, di non attaccare battaglia se non costretto, quello (Afranio) di impedire l'azione di Cesare. Così la situazione viene protratta alle lunghe e gli schieramenti vengono mantenuti fino al tramonto; poi entrambi ritornano nell'accampamento. Il giorno seguente Cesare si prepara a ultimare le fortificazioni stabilite; quelli (gli Afraniani) a tentare.di passare il fiume Sicori, se fosse stato possibile attraversarlo. Avvertita la cosa, Cesare fa passare il fiume i Germani con le armature leggere e parte della cavalleria, e dispone sulle rive numerosi posti di guardia. Alla fine (gli Afraniani), bloccati in tutti i modi, ormai da quattro giorni senza foraggio per gli animali, a causa della mancanza di acqua, legno, frumento, chiedono un colloquio e ciò, se possibile, in un luogo lontano dai soldati. Cesare nega ciò e concede un colloquio, se lo volevano, solo all'aperto, il figlio di Afranio gli viene dato come ostaggio. Si giunge in quel luogo che Cesare scelse. Mentre entrambi gli eserciti sentivano, Afranio parla: non bisogna rimproverare né loro né i soldati per il fatto che hanno voluto mantenere la fedeltà al loro imperatore Pompeo. Na hanno già fatto il loro compito abbastanza e già abbastanza hanno sopportato: hanno sopportato la mancanza di tutto; e ora veramente, circondati
quasi come bestie, è loro impedita l'acqua, il movimento, e non possono sopportare con il corpo il dolore né il disonore nell'animo. Così si dichiarano vinti; pregano e supplicano che, se è rimasto un qualche sprazzo di misericordia, non ci sia la necessità di giungere fino all'estremo supplizio. Dice queste cose quanto più umilmente e dimessamente può. A queste cose Cesare risponde: a nessuno tra tutti conviene meno questa parte di lamentela e di commiserazione. Tutti gli altri infatti hanno compiuto il loro dovere: lui, (Cesare), che non aveva voluto combattere nonostante il momento favorevole e il luogo e il tempo giusto, affinché tutte le cose fossero quanto più integerrime per la pace; il suo esercito, che, nonostante le ingiurie ricevute e le uccisioni dei compagni, aveva salvato e protetto coloro che aveva avuto in suo potere; e infine i soldati di quell'esercito (nemico), che da soli avevano agito.Per la pace, con cui avevano pensato di provvedere alla salvezza della vita di tutti i compagni. Così le parti di tutti gli ordini avevano agito in base al perdono. (Ma) gli stessi capi rifiutarono la pace; essi non mantennero il diritto né di colloqui né di tregua e hanno ucciso uomini disarmati e ingannati con il colloquio in modo assai crudele. Dunque era accaduto a loro ciò che molto spesso è solito accadere agli uomini a causa della troppa ostinazione ed arroganza, e cioè di ricorrere e di desiderare ardentemente ciò che poco prima avevano disprezzato. Ora (egli) non chiede, usando la loro umiltà e il favore della circostanza, cose con le quali aumentare le sue forze; ma vuole che siano dimessi quegli eserciti che hanno mantenuto per molti anni contro di lui. Infatti non per un'altra ragione sono state mandate in Spagna sei legioni, ed arruolata là una settima, né tante flotte sono state allestite e mandati di.
Nascosto comandanti esperti di guerra. Nessuno di questi provvedimenti era stato preparato per pacificare le Spagne o per l'utilità della provincia, che durante il periodo di pace non aveva avuto bisogno di nessun aiuto. Tutte queste cose già da tempo erano preparate contro di lui; contro di lui si istituivano comandi di nuovo genere, così che una stessa persona standosene alle porte di Roma presiedeva alle cose della città e manteneva due bellicosissime province essendo assente per molti anni; contro di lui cambiavano le leggi sulle magistrature per essere mandati nelle province non, come sempre, dopo la pretura e il consolato, ma approvati e scelti da pochi; contro di lui non valeva più la giustificazione dell'età, poiché erano chiamati al comando degli eserciti persone segnalatesi in precedenti guerre; contro di lui solo non si manteneva ciò che sempre era stato dato ai comandanti, cioè, condotte felicemente le imprese.
O con onore o dicerto senza vergogna, di tornare in patria e di dimettere l'esercito. Tuttavia (Cesare) ha sopportato tutte queste cose pazientemente e ancora le sopporta; e ora non fa ciò per mantenere l'esercito a loro sottratto, cosa che tuttavia per lui non sarebbe difficile, ma perché quelli non possano servirsene contro di lui. Poi, come era stato detto, cheuscissero dalle province e dimettessero l'esercito; se ciò viene fatto, egli non avrebbe fatto del male a nessuno. Questa è l'unica ed estrema condizione di pace. Ciò veramente risultò graditissimo ai soldati e assai piacevole, come si poté capire dai segni esteriori, poiché ricevettero il premio del congedo loro che si aspettavano un qualche giusto castigo. Infatti quando si discusse del luogo e del tempo del loro congedo, tutti sia con la voce sia con i gesti dal vallo dove si trovavano iniziarono a dare segnali di voler essere subito congedati, e che,
Nonostante la fede riposta, non potessero averne la certezza se fosse passato altro tempo. Dopo che ci si scambiò poche parole da parte di entrambi, si giunse alla decisione che coloro che avevano dimora o possedimenti in Spagna, venissero subito congedati, gli altri presso il fiume Varo; viene promesso da Cesare che non avrebbe fatto del male a nessuno e che nessuno sarebbe stato costretto ad arruolarsi contro voglia.
Libro 21-6: MARSIGLIA
Mentre in Spagna avvengono queste cose, il legato cesariano Caio Trebonio, che era stato lasciato all'assedio di Marsiglia, comincia a far portare da due parti verso la città un terrapieno, vinee e torri. Una parte era vicina al porto e ai cantieri navali, l'altra alla porta che è l'ingresso dalla Gallia e dalla Spagna, presso quel tratto di mare che tocca la foce del Rodano. Marsiglia infatti è bagnata dal mare quasi da tre lati della città; la quarta parte restante è quella che ha ingresso alla terra.
Anche la parte di questospazio che si estende fino alla rocca è munita dalla natura del luogo e dalla valleprofondissima, necessita di un lungo e difficile assedio. Per condurre quest'opera, Trebonio chiama una gran moltitudine di giumenti e uomini da tutte le province; ordina che siano portati vimini e legname. Preparate queste cose, fa costruire un terrapieno di ottanta piedi. Ma tante erano in città e da molto tempo le attrezzature per la guerra di ogni tipo e tanto grande la moltitudine delle macchine da guerra, che nessuna vinea, coperta da vimini poteva sostenere la loro forza. Infatti travi di dodici piedi muniti di punte di ferro, e questi scagliati da enormi balestre, si conficcavano nella terra passati per tre file di graticci. Così unite tra loro travi spesse un piede, si costruivano gallerie, e per di qua si faceva passare il materiale per il terrapieno di mano in mano. Procedeva innanzi una testuggine di sessanta piedi per spianare il luogo, fatta.a sua struttura era anche molto elegante, con intarsi di legno intagliato che adornavano ogni angolo. La superficie era liscia e lucida, come se fosse stata levigata con cura. Era evidente che l'artigiano aveva dedicato molta attenzione ai dettagli. All'interno, la cassa era divisa in scomparti, ognuno dei quali conteneva oggetti preziosi. C'erano gioielli scintillanti, monete d'oro e argento, e persino antichi manufatti. Ogni oggetto era accuratamente posizionato, come se fosse stato studiato per essere esposto in un museo. La cassa era protetta da un robusto lucchetto d'oro, che aggiungeva un tocco di mistero e intrigo. Sembrava quasi impossibile aprirla senza la chiave corretta. Era chiaro che la cassa era stata progettata per proteggere i suoi contenuti da occhi indiscreti. In conclusione, la cassa era un capolavoro di artigianato e design. Era un'opera d'arte in sé, che racchiudeva tesori di inestimabile valore. Era un oggetto che suscitava meraviglia e ammirazione, e che avrebbe sicuramente attirato l'attenzione di chiunque lo vedesse.