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La corrente del formalismo ebbe come esponente Gregor Grimberg, che assegnò alla forma il privilegio
rispetto al contenuto. Grimberg definì Guernica di Picasso il frontone del Partenone passato sotto un
rullo compressore, non solo per i soggetti, ma anche per gli elementi formali. Adorno non accetta il
formalismo di Grimberg, che non si rende conto, a suo dire, che Guernica testimonia il terrore della
guerra, senza nessun riferimento temporale, spaziale, alla modalità della guerra. Guernica dice molto
attraverso la deformazione del rappresentato.
[…] Nella dialettica di forma e contenuto il piatto della bilancia, contrariamente a Hegel, inclina
dalla parte della forma, anche perché il contenuto, del cui salvataggio l’estetica hegeliana non da
ultimo si cura, nel frattempo è degenerato a calco di quella reificazione contro cui l’arte protesta
secondo la dottrina hegeliana, degenerato cioè a datità positivistica. […] (pag. 195)
Per Hegel il contenuto era più importante della forma, mentre la dialettica Adorniana è diadica, vede
contrapposta forma e contenuto, che è negativa se il contenuto….. la forma, ma è anche positiva
poiché dal positivismo di Comte prenderà vita il neopositivismo logico nei primi anni del novecento.
Queste correnti volevano liberare la filosofia da ogni orpello metafisico.
[…] Tutto ciò che si manifesta nell’opera d’arte è virtualmente sia contenuto che forma, benché
quest’ultima resti comunque ciò mediante cui si determina il manifestantesi, e il contenuto resti
il determinantesi. […] (pag. 195)
Nell’opera noi troviamo sia forma che contenuto (sedimentato, stratificatosi nel tempo, nella storia); in
Adorno è la forma il contenuto sedimentato, e permette all’opera di essere una res artistica. L’artista
infatti compone e ordina gli elementi sensibili. La forma rende possibile il manifestarsi, che Adorno
riallaccia al concetto di “più”, in tedesco “mer”, cioè quello che si manifesta oltre il dato sensibile. La
forma oltre a manifestare il di più, determina anche il contenuto dell’opera, di volta in volta, e mai una
volta per tutte. Non è manifestato IL contenuto ma UN contenuto, uno dei tanti suoi contenuti
possibili. E’ da distinguere il contenuti di un’opera inteso come soggetto, come ciò che è contenuto
nell’opera, compreso in essa, dal contenuto di verità inteso da Adorno.
[…] Hegel ha ragione sul fatto che i processi estetici hanno sempre un loro lato contenutistico,
tanto che nella storia dell’arte figurativa e della letteratura sono diventati visibili, sono stati
scoperti e assimilati, sempre nuovi strati del mondo esterno, mentre altri sono morti, hanno
perso la propria forza artistica e non sollecitano piú neanche l’ultimo dei pittori di insegne
d’albergo a immortalarli sbrigativamente sulla tela. Si pensi ai lavori dell’Istituto Warburg, diversi
dei quali con l’analisi dei motivi sono giunti al cuore del contenuto artistico complessivo […]
(pag. 195)
Hegel sottolinea giustamente l’importanza del contenuto rispetto alla forma in modo anti-kantiano. I
contenuti nel corso della storia sono cambiati; alcuni sono finiti, morti, tanto che, dice Adorno, neanche
un pittore di insegne d’albergo (non un grande artista, quindi) li ritrarrebbe al giorno d’oggi. L’istituto
Warburg di Londra è presente una parola greca che significa MEMORIA; uno dei tratti caratterizzanti
di questo istituto è la presenza di tele nere con dei contenuti diversi, tra cui una tela su una ninfa ispirata
ad un’opera del Ghirlandaio conservata a Firenze nella Basilica di Santa Maria Novella. Queste
somiglianze inspiegabili tra situazioni diverse (donna nel quadro, menadi greche, donne indiane,
siciliane…) sono dette da Wittgenstein “somiglianze di famiglia”, perché non esiste un’essenza
archetipica a priori, a cui si ispirano, bensì delle somiglianze. Concetto di articolazione (I)
[…] In una serie di aforismi della sua fase espressionistica pubblicati prima della prima guerra
mondiale, Schönberg ha richiamato l’attenzione sul fatto che nessun filo d’Arianna guida
all’interno delle opere d’arte […] (pag. 197)
Adorno scrisse un trattato di filosofia della musica moderna, in cui parla della dodecafonia di Arnlod
Schoenberg; nella fase atonale Schoenberg si accorse che l’opera è un labirinto da cui non possiamo
uscire con nessun filo di Arianna, e perciò non possiamo vedere nella sua completezza. Ad essere
dominante non è più la dimensione dell’intelligere, che per Platone già significava l’occhio; per
Nietzsche è il sentire che determina il vedere (vedi Barnet Neumann).
[…] L’arte di maggior pretesa spinge al di là della forma come totalità, nel frammentario. Nella
maniera piú forte l’indigenza della forma emerge forse nella difficoltà dell’arte temporale di
finire; in musica nel cosiddetto problema del finale, nella poesia in quello della chiusura, che si
accentua fino a Brecht. Una volta libera dalla convenzione, evidentemente nessuna opera d’arte
riesce piú a concludere in maniera convincente, laddove le conclusioni tradizionali fanno solo
finta che i singoli momenti con il punto conclusivo nel tempo si connettano anche nella totalità
della forma. […] (pag. 197)
L’arte di maggior pretesa, ovvero l’arte moderna, non si presenta mai come totalità conclusa. Mondrian
e Kandinskij lo scrissero nei loro trattati, evidenziando la temporalità interna ad ognuno di noi. L’arte
moderna si presenta quindi con una forma frammentaria, che testimonia (e non dice) la frammentarietà
del mondo reale. Questa frammentarietà emerge nella difficoltà temporale di finire, perché è la
temporalità, intrinseca all’opera, che permette all’opera di essere dinamico, di modificarsi nel tempo, e
di non finire mai. Brecht vuole un’opera non conclusa perché vuole che siano gli spettatori ad assumere
un atteggiamento critico, che l’opera stimoli lo spettatore. L’opera, liberatasi dalla convenzione
dell’inizio-svolgimento-fine, si libera anche dall’idea di avere un senso finale. L’utopia di Adorno, alla
base della quale c’è la sua dialettica negativa, non è qualcosa di negativo: è soltanto qualcosa che oggi si
dimostra irrealizzabile, e per la quale dobbiamo lavorare affinché domani possa realizzarsi.
Esempi di opere non-finite
Paul Cezanne – Montagna di Saint Victoire
Le sculture di Rodin
Barnet Neumann – Cappella
James Joyce – Ulisse
Marcel Proust – Alla ricerca del tempo perduto
Drammi lasciati in sospeso da Bertolt Brecht
Johann Sebastian Bach - Clavicembalo ben temperato e Variazioni Goldberg
Sonate di Beethoven, come l’opera 111
Con le opere d’arte tradizionali abbiamo una finzione del termine delle stesse: la chiusura del contenuto
e della forma coincidono soltanto apparentemente. Tutto sommato quindi per Adorno troviamo questa
non conclusione anche nell’arte tradizionale. Sul concetto di materiale
Contro la gretta divisione dell’arte in forma e contenuto occorre insistere sulla loro unità, contro
la concezione sentimentale della loro indifferenza nell’opera d’arte, sul fatto che nella
mediazione la loro differenza al tempo stesso sopravvive. […] (pag. 198)
Pensare che si possa scinderla forma dal contenuto, per Adorno, è un atteggiamento gretto, avaro,
meschino, insensata. In una poesia, ad esempio, le parole non hanno un significato prestabilito, e perciò
non è possibile capirla una volta per tutte. Forma e contenuto non possono essere divise, ma debbono
essere una unità, non possono essere interscambiabili; questa, però, non deve essere scambiata per una
identità, ma va intesa come una identità e differenza insieme, e questo è il primo paradosso di Adorno.
A farci cogliere l’unità fra forma e contenuto non è il logos, ma qualcosa che appartiene al nostro
sentire. Nella forma sentiamo il contenuto, sedimentato.
[…] Il materiale non è materiale naturale neanche quando si presenta agli artisti come tale, ma è
storico da parte a parte. […] (pag. 199)
Il materiale artistico non è naturale, perché non è l’artista a comporlo; è perciò storico perché seppur
mantenga una base fissa, non permette di tornare al passato. Sarebbe fuori luogo, nel 2000, scrivere con
l’italiano di Foscolo o Leopardi, o comporre con la tecnica di Bach o Beethoven. La creatività
dell’artista non sta nel creare le parole, le note o i colori, bensì nella composizione di essi. Kandinskij
spiega quanto fosse necessario per lui prescindere dall’oggetto dell’opera, dal materiale, che è solo frutto
di un colore appena uscito dal tubetto.
[…] E’ evidente quanto, ad esempio, il compositore che si serve del materiale tonale lo riceva
dalla tradizione. […] (pag. 199)
E’ chiaro che il compositore non inventa, ad esempio, il materiale tonale, bensì lo ottiene dalla
tradizione. Un conto, quindi, è ascoltare Bach, un conto è ascoltare Chopin, che usano lo stesso
materiale ma con tecniche e metodi differenti. Allo stesso modo, anche il poeta usa sempre le lettere e
le parole, ma con modalità differenti da altri poeti. Una volta arrivati a Schumann, ad esempio, non si
può comporre una sonata come Mozart, poiché sarebbe completamente fuori luogo. Più chiaramente, è
fuori luogo comporre un Notturno in stile chopiniano oggi, dopo Weber e Schoenberg.
Sul concetto di materia trattata; intenzione e contenuto
Non si può rimuovere apoditticamente dal concetto di materiale ciò che con terminologia
passata si chiama la materia trattata e, in Hegel, i soggetti. Pur estendendosi sempre all’arte, il
concetto di materia trattata nella sua immediatezza, in quanto qualcosa da trarre dalla realtà
esteriore che poi andrebbe elaborato, è incontestabilmente in decadenza a partire da Kandinskij,
Proust, Joyce. Parallelamente alla critica dell’eterogeneamente già dato, dell’esteticamente non
assimilabile, cresce il disagio per le cosiddette grandi materie a cui sia Hegel sia Kierkegaard, di
recente anche vari teorici e drammaturghi marxisti, attribuiscono tanto peso. Il fatto che opere
che si occupano di avvenimenti sublimi di qualche tipo, la cui sublimità di solito è solo frutto di
ideologia, di rispetto del potere e della grandezza, acquistino per questo dignità, è smascherato