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Applicazione del principio nel caso di specie

L'Avvocatura, più precisamente, ritiene che il recupero, da parte dell'amministrazione, di somme non liquidate o riscosse, mentre avrebbero dovuto esserlo in conformità della corretta interpretazione della normativa comunitaria, sia in definitiva giustificata, se si riflette che la mancata percezione del prelievo è qui dovuta ad errore dell'amministrazione, e che la successiva pretesa ed acquisizione delle somme dovute non confligge, d'altra parte, con alcuna finalità del Trattato, alla quale la normazione comunitaria debba conformarsi. Con tutto ciò, la difesa del Presidente del Consiglio non giunge ad affermare che l'opposta soluzione sia necessariamente priva di fondamento: invero, potrebbero ravvisarsi serie ed apprezzabili ragioni per escludere il recupero là dove esso dovesse seguire dopo molto tempo.l'originaria riscossione del prelievo, giacché in questo caso si avrebbe un evidente ed irreversibile pregiudizio degli operatori interessati, esposti peraltro al rischio di ingiustificate discriminazioni, per via delle eventuali divergenze fra i regimi in questa materia adottati dai legislatori degli Stati membri. Nella specie, spetta a questa Corte verificare se la norma nazionale denunziata sancisca un criterio compatibile con le esigenze e, prima di tutto, con l'immediata applicabilità del diritto comunitario. Si tratta dunque di stabilire se l'applicazione della normativa comunitaria possa nel presente caso decorrere solo dal momento in cui, con la pronunzia interpretativa della Corte Comunitaria è intervenuta la competente individuazione dei profili di contrasto fra tale normativa e le disposizioni del diritto interno. La questione che si connette, nel senso ora precisato con l'interpretazione della normativa comunitaria, è stata, ricorda l'Avvocatura.

già rimessa alla Corte di giustizia della Comunità europea, nella causa discussa all'udienza del 25 ottobre 1979, per la quale il governo italiano ha presentato una memoria allegata in copia nel presente giudizio, che integra e sviluppa le deduzioni sopra esposte.

La parte privata si è costituita nel presente giudizio fuori termine. Del suo atto non si può quindi tener conto.

In una memoria aggiuntiva pervenuta in prossimità dell'udienza l'Avvocatura dello Stato richiama anzitutto altre due ordinanze delle Corti di Appello di Venezia e di Bologna che sollevano questioni analoghe alla presente.

In relazione al presente giudizio l'Avvocatura fa riferimento alla sentenza CGCE del 1976 e alla sentenza 29 gennaio 1979 n. 639 della Cassazione concernente l'interpretazione dell'art. 6 n. 2 deld.P.R. 26 aprile 1965, n. 723.

La difesa del Presidente del Consiglio osserva inoltre che prima dell'entrata in vigore del d.P.R.

del 1978 la Corte di Cassazione aveva già più volte affermato l'inapplicabilità ai diritti di prelievo della disposizione di cui al suddetto art. 6 n. 2. Dopo l'entrata in vigore del detto decreto, la Corte di Cassazione proponeva alla Corte di giustizia della CEE, con due ordinanze, un quesito relativo all'interpretazione della disciplina, che si trova ora contenuta nella norma denunciata avanti questa Corte. La Corte di giustizia ha, dal canto suo, con sentenza 27 marzo 1980, precisato che la norma da essa interpretata va applicata anche alle fattispecie anteriori alle sue pronunce; una limitazione degli effetti retroattivi che si connettono alle pronunce interpretative rese dalla Corte del Lussemburgo, può essere stabilita solo nella decisione adottata da detto organo. Il che non accade nella specie. La Corte del Lussemburgo ha inoltre avvertito che, in assenza di norme comunitarie, spetta agli Stati membri stabilire modalità e condizioni.

della riscossione degli oneri finanziari comunitari e dei prelievi agricoli in particolare; tuttavia dette modalità e condizioni non devono rendere la riscossione delle tasse e degli oneri comunitari più difficile della riscossione delle tasse nazionali dello stesso genere o tipo, per esempio con l'attribuire all'amministrazione statale poteri più ridotti rispetto a quelli che ad essa competono in ordine al tributo interno.

L'Avvocatura rileva poi che il 1 luglio 1980 è entrato in vigore il regolamento CEE 24 luglio 1979 n.1697 relativo al recupero a posteriori dei dazi (di importazione e di esportazione) non corrisposti dal debitore per le merci dichiarate, quando il regime doganale comportasse invece l'obbligo di effettuare il pagamento.

In seguito ad un nuovo rinvio pregiudiziale, disposto con due ordinanze della Corte di Cassazione del 18 ottobre 1980, la Corte Comunitaria ha ritenuto che il suddetto regolamento non si applica a

fattispecieanteriori al 1 luglio 1980, data in cui esso è entrato in vigore (si richiama in proposito la sentenza del 12 novembre 1981, n. 14 della motivazione). La Corte di Cassazione non ha quindi potuto fare applicazione di tale regolamento nella specie sottoposta al suo esame e ha ritenuto di dover direttamente risolvere i dubbi interpretativi che toccavano la materia di cui essa medesima aveva investito, ex art. 177 del Trattato, la Corte del Lussemburgo, sempre in relazione al disposto dell'art. 3 d.P.R. n. 695 del 1978. Più di preciso il Supremo Collegio ha, con la sentenza n. 3177 del 25 maggio 1982, al riguardo configurato due possibili interpretazioni della normativa in questione, a seconda se si ritenga che il legislatore abbia voluto astenersi dal disciplinare il periodo anteriore all'11 dicembre 1976 o abbia invece, sempre con riguardo a tale periodo, inteso che i prelievi comunitari fruissero del trattamento di favore previsto per i dazi doganali dall'art.

6, secondocomma, d.P.R. n. 723 del 1965. L'interpretazione prospettata per prima è quella preferita dal SupremoCollegio, in quanto conforme al diritto comunitario, sull'assunto che il legislatore abbia adeguato lanorma da ultimo citata alle prescrizioni della CEE solo a far tempo dalla data in cui, grazie alla pronunziadella Corte del Lussemburgo, queste risultavano con certezza operanti nell'ordinamento interno: e nullaabbia voluto invece statuire per il periodo anteriore a tale pronunzia, perché non era ancora acclaratol'effetto retroattivo delle decisioni rese dai giudici del Lussemburgo sulla questione pregiudiziale diinterpretazione. La soluzione adottata dalla Corte di Cassazione implica, ad avviso dell'Avvocatura, chela norma interna, oggetto della presente controversia, sia letta, in puntuale conformità del dirittocomunitario, nel senso che l'aliquota sui prelievi è quella vigente all'atto dell'accettazione.

della merce daparte degli uffici doganali. Così esigerebbe, per l'appunto, l'art. 17 del Regolamento CEE n. 19 del 1962.Tale interpretazione - peraltro ribadita dalla Corte di Cassazione in altre pronunzie del corrente anno -renderebbe infine irrilevante e comunque infondata la questione.

5. - Nell'udienza pubblica del 6 dicembre 1983 il giudice La Pergola ha svolto la relazione e l'Avvocaturadello Stato ha ribadito e sviluppato le conclusioni già adottate. 5

Considerato in diritto:

1. - La presente controversia trae origine, come si spiega in narrativa, dal giudizio promosso dal Tribunaledi Genova, che censura, in riferimento all'art. 11 Cost., l'art. 3 del d.P.R. 22 settembre 1978, n. 695("Modificazioni alle disposizioni preliminari della tariffa dei dazi doganali di importazione dellaRepubblica italiana"), così testualmente formulato: "La norma di cui al punto 2, secondo comma, dell'art.6, delle disposizioni

La merce non può essere lasciata alla libera disponibilità dell'importatore stesso. La domanda deve contenere l'indicazione dell'aliquota daziaria richiesta.

La disciplina in esame confliggerebbe con le prescrizioni del diritto comunitario per le seguenti considerazioni:

A) Il giudice a quo rileva, in primo luogo, che i regolamenti nn. 19/62 e 120/67 adottati dal Consiglio della CEE nel settore, qui considerato, dei cereali, contengono l'uno e l'altro, rispettivamente all'art. 17.1 e 15.1, un'apposita ed espressa disposizione, in forza della quale va riscosso il prelievo in vigore nel giorno dell'importazione. La Corte di giustizia della CEE, prosegue il Tribunale di Genova, ha poi, in sede d'interpretazione del citato art. 15.1 del regolamento n. 120/67, statuito che l'ammontare del prelievo è fissato in relazione al giorno in cui gli uffici doganali accettano la dichiarazione di importazione della merce. Ai sensi di tale pronunzia, il

Prelievo agricolo deve ritenersi preordinato a compensare la differenza fra il prezzo vigente sul mercato mondiale ed il più elevato prezzo comunitario, di guisa che il mercato comune sia stabilizzato e protetto anche nei confronti delle eventuali variazioni del prezzo del mercato mondiale. Il successivo aumento dei prezzi sul mercato mondiale, e la conseguente diminuzione dell'onere impositivo, non possono, pertanto, influire sulla determinazione dell'aliquota, la quale è fissata, in via di principio, con riguardo al prezzo di acquisto delle merci. Nella richiamata sentenza - osserva infine il giudice a quo - la Corte Comunitaria ha altresì precisato che la raccomandazione della Commissione del 25 maggio 1962, relativa alla data in cui si determina il dazio doganale applicabile alle merci dichiarate per l'immissione in consumo, non concerne il prelievo agricolo.

Ciò posto, il d.P.R. n. 695/78 è censurato, per aver da un canto introdotto

Nell'ordinamento interno il criterio sancito nella normativa comunitaria, e dall'altro congegnato gli effetti temporali dellastatuizione all'uopo emessa in modo che, per quanto qui interessa, il caso di specie non ricade nell'are

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A.A. 2014-2015
12 pagine
SSD Scienze giuridiche IUS/14 Diritto dell'unione europea

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher martatodeschi di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Istituzioni di Diritto dell'Unione Europea e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Trento o del prof Woelk Jens.