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Scena della scalcaria (o scalcheria)
Nel 1743, alla fine del suo ingaggio teatrale con Grimani (iniziato nel 1735), Goldoni si allontana
dal teatro e lavora come avvocato a Pisa fino al 1748. Nel 1745 riceve una lettera da Antonio
Sacchi/Sacco (entrambi i cognomi sono validi), che lo riavvicina alla sua passione. Sacchi era un
attore brillante, uno dei più grandi dell’epoca, specializzato nella parte di servitore prevalentemente
sciocco, ma astuto in determinate situazioni. Quella che rappresentava era la maschera francese
di Arlecchino, ma portata in scena con il nome di Truffaldino per distinguersi. ‘’Il celebre
Truffaldino’’ era quindi per antonomasia Sacchi. Con la lettera, l’attore chiedeva a Goldoni di
scrivere un testo per lui, da qui nacque “Il servitore di due padroni”. Fu l’attore stesso a fornire
l’argomento a Goldoni, suggerendogli di lavorarci sopra con la fantasia e l’autore ne fu
entusiasmato al punto da scrivere nelle sue ‘’Memorie’’: ‘’Che tentazione per me! Sacchi era un
eccellente attore, e la commedia era stata un tempo la mia passione’’. L’attore gli manda anche un
canovaccio precedente scritto dal francese Jean-Pierre des Ours de Mandajors: ‘’Arlequin valet de
deux maîtres ’’
, ovvero ‘’Arlecchino servitore di due padroni’’. Goldoni lavorava di giorno come
avvocato e la notte alla commedia.
La prima redazione che Goldoni manda a Sacco del Servitore di due padroni nel 1745 è ancora un
canovaccio, nel 1753 l’opera viene scritta interamente per la prima volta. Si tratta di una commedia
in prosa in tre atti che presenta delle differenze rispetto al canovaccio originale, a partire dal nome.
In ‘’L’autore a chi legge’’, in cui Goldoni la definisce ‘’non di carattere’’ (ma piuttosto ‘’commedia
giocosa’’), in quanto potrebbe sembrare che l’astuzia di Truffaldino si allontani eccessivamente
dalla sua sciocchezza, specie quando arriva a lacerare una cambiale per la disposizione delle
pietanze in tavola.
Sfruttando la tradizione precedente, Goldoni trasforma canovacci mediocri in capolavori, ‘’tagliando
e cucendo’’ intrecci e storie già esistenti. Essenzialmente, al centro della commedia vi è
Truffaldino, il quale decide di servire due padroni, Beatrice e Florindo, per perseguire il suo unico
intento, ovvero mangiare a sazietà. Riesce a far durare l’inganno fino alle ultime scene, quando
sarà lui stesso, per interesse personale, a svelarlo.
L’idea di Goldoni che rimette a posto gli elementi forniti dal canovaccio fornitogli da Sacco come
Truffaldino, può essere ritrovata nella scena della scalcaria o scalcheria, in cui il servitore mette in
primo piano la disposizione in tavola delle pietanze.
Nella suddetta scena, Truffaldino, incaricato di organizzare il pranzo per Pantalone e Beatrice (nei
panni del fratello Federigo per interesse personale), inizia a preoccuparsi della disposizione dei
piatti in tavola. ‘’No, amigo, me preme la scalcaria; tutto consiste in saver metter in tola ben’’ sono
le parole di Truffaldino nei confronti di Brighella, il locandiere. Sembra paradossale: Truffaldino,
che si sente male alla sola idea di gettare un pezzettino di pane, in questo caso si preoccupa tanto
della formalità. Truffaldino discute con Brighella sul cibo e sulla disposizione delle pietanze in
tavola e senza farci caso, per meglio indicargli la disposizione dei piatti, inizia a strappare la lettera
di cambio che Beatrice aveva ricevuto da Pantalone.
Segue l’arrivo di Beatrice e Pantalone. Beatrice rimprovera Truffaldino per aver strappato la
cambiale, ma Pantalone afferma di poterne produrre un’altra e che un pranzo ‘’alla buona’’ andrà
benissimo.
Così, Truffaldino si ritrova a servire il pranzo a entrambi i padroni allo stesso tempo. Nonostante
non ricordi esattamente chi abbia ordinato cosa, riesce a cavarsela abilmente. Se la cava anche
coi camerieri in modo da non far scoprire che serve due padroni.