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DETERMINISMO E AUTO SOGGETTIVAZIONE
La servitù è volontaria?
Nel corso di questo seminario il filo rosso su cui si è articolata la nostra riflessione è stato il testo fondamentale di Etienne de La Boetie “Discorso sulla servitù volontaria”, scritto in francese a metà del Cinquecento quand’egli era appena un ragazzo. Questo scritto particolare scomparve fino al 1727, quando fu pubblicato in Olanda, e da lì iniziò una vita clandestina tra i circoli europei, per poi scomparire e apparire nuovamente a seconda dei momenti storici. Per anni a venire non venne quasi mai più citato, salvo nei casi di grave crisi politica dove fiorirono edizioni e commenti, come durante la rivoluzione francese, la rivoluzione giacobina a Napoli, la Comune di Parigi, la rivoluzione della repubblica di Baviera in Germania e in Italia nel 2011 con la caduta del governo Berlusconi.
La Boetie e Montaigne si incontrarono molto giovani, strinsero
un sodalizio artistico e sentimentale che però si interruppe quando La Boetie venne colpito dalla peste e morì tra le braccia dell'amico, il quale decise di omaggiarlo scrivendo "I saggi", una cornice di testi per il libro dell'amico, che lo fece innamorare. Nel saggio "Della Vanità" Montaigne racconta un aneddoto molto suggestivo proprio con l'intento di chiarire il "Discorso sulla servitù volontaria" di La Boetie. Si tratta dell'aneddoto su Paneropoli, una città immaginaria costruita dal Re Filippo di Macedonia, padre di Alessandro Magno, il quale convogliò "tutti gli uomini più malvagi e incorregibili che potesse trovare" in una sorta di colonia penale a cielo aperto. Montaigne utilizza questa metafora per denunciare in realtà la condizione di tutte le città e dei loro abitanti. Egli osserva come nella sua Francia di metà Cinquecento, laNoi non abbiamo mai aderito a nessuna delle istituzioni nelle quali ci troviamo, che sia la famiglia, la chiesa, la scuola. Nessuno ha veramente deciso come si vive, nemmeno i nostri genitori, i quali a loro volta sono frutto delle idee che hanno ricevuto. In questo senso, la nostra sorte è in qualche modo già orientata prima della nascita, ad esempio in base alle condizioni in cui avviene la gravidanza, per cui una donna in un paese povero è denutrita e un'altra, in un altro paese, è nutrita a sufficienza per garantire la salute del nascituro. Montaigne non ne parla con tono moralistico, ma descrive con lucido realismo una comune condizione; la sua non è un'invettiva con intento eversivo, è più una vivida constatazione che rifiuta la lettura utopistica della città, ma che al contempo non sfocia assolutamente in un conservatorismo reazionario, come solo una lettura superficiale di Montaigne ci porterebbe a considerare.
Secondo Montaigne gli uomini non sono "cera da plasmare"; quando un regime funziona è perché si incastra bene con quell'apparato di abitudini e credenze provenienti da altre fonti rispetto alle istituzioni ufficiali. La riforma di Solone ad Atene ad esempio promulgò nuove leggi che sapeva gli ateniesi avrebbero accettato perché conformi a costumi precedenti; per questo motivo il cambiamento radicale che pretende di spazzare via il vecchio per imporre drasticamente il nuovo risulta spesso illusorio, fallace e inefficace, infatti spesso regole nuove lasciano intaccate molte dinamiche sedimentate nel tempo, sebbene scalfiscano aspetti marginali. Lo pseudo "conservatorismo" di Montaigne consiste dunque nel considerare il cambiamento non come proveniente dall'alto, ma operante all'interno di organismi preesistenti, perciò quando si rifonda una struttura sociale o statale non si parte da zero, ma si opera su un terreno.già battuto e modellato da regole, costumi, istituzioni, precetti morali e religiosi con i quali bisogna necessariamente misurarsi, pena lo scollamento tra l'innovazione e la reale attuabilità. Ad esempio le Leggi di Norimberga, alcune penetrarono perfettamente nella società, altre no, perché si scontravano con tradizioni e abitudini che non potevano essere così facilmente scalzate, come il tentativo fallimentare da parte del regime nazista di abolire il ruolo guida della chiesa (fu possibile nazificare le chiese piuttosto!). Per Montaigne le leggi sono sicuramente importanti per indirizzare le coscienze, ma non sono tutto! Sono piuttosto le piccole cose a documentare maggiormente un'epoca e le sue dinamiche, a partire da famiglia e scuola, le quali non agiscono su di noi come cinghie di trasmissione che addestrano a vivere conformemente a quanto fatto finora, dove si creano le attitudini che ci fanno capire chi siamo e quali margini dicambiamento cisiano concessi, dove gli esseri umani diventano quello che sono. La società è vista come l'insieme di microazioni e micro relazioni di ogni singolo individuo. Lo stesso approccio analitico è tipico della psicoanalisi di Freud: per ricostruire il quadro clinico del pazienti, egli riportava senza censura avvenimenti aneddotici del passato, come venivano percepiti i rapporti, le micro storie dell'educazione familiare (sguardi, occhiate, sorrisi, risate), episodi singoli e personali che li avevano formati e che divennero poi oggetto di letteratura. Il mondo dunque è da lui visto come il prodotto di una continua serie di aggiustamenti e accomodamenti dei corpi, governato da un potere che ci precede e dunque invincibile, anche se legittimo a denunciarsi; un potere lontano ma non trascendente, frutto di reciproche e necessarie relazioni tra micro poteri e micro resistenze, per cui posso sia influire sia essere influenzato. Tuttavia attribuirela colpa di tutto quello che accade a un unico potere forte, che sia Dio o la politica, è secondo lui un vigliacco esonero delle nostre responsabilità individuali. Montaigne infatti non si abbandona al fatalismo, ma coglie in questo sistema prestabilito un margine di movimento per i corpi. Anche se cambiare il quadro generale è impossibile, ogni corpo possiede una certa una quota di autodeterminazione. Dalla Paneropoli non puoi scappare, ma puoi ricercare un adattamento che tenga conto dei tuoi bisogni, dei tuoi desideri e di quelli degli altri, con l'obiettivo di instaurare la miglior convivenza possibile, agendo politicamente a partire dalle relazioni private e dai piccoli gesti quotidiani, non solo da quelli eclatanti come il voto, l'ascesa politica o l'incarico pubblico. Sulla scorta di quanto detto sull'antisemitismo eliminazionista e sul tacito consenso che incontra, comprendiamo come anche il capitalismo, sebbene produca infelicità.storture, disuguaglianze e ingiustizie, abbia potuto espandersi quasi incontrastato con così tanta pervasività fino a diventare regime economico e produttivo planetario e secolare. I suoi dettami come la vendibilità e monetizzazione di tutto, lo sfruttamento selvaggio di risorse naturali, esseri umani e animali, hanno potuto appoggiarsi sul consenso generalizzato derivante dall'impiego di principi preesistenti considerati ancora validi, come l'atavica idea familiare della dipendenza economica che impone la fedeltà assoluta e dunque l'idea del padrone come colui che ti paga e che in cambio di soldi esige adesione aziendalistica e obbedienza, oppure l'autoritarismo e la gerarchizzazione, non solo propri della famiglia ma anche dall'esercito e dalla chiesa, come modello del meccanismo di incentivazione e retribuzione promosso dal capitalismo, il quale assegna premi in base all'utilità di ciò che uno fa. Questa
ricompensa materiale del capitalismo può essere vista come retaggio etrasposizione laica della salvezza spirituale promessa dalla chiesa in cambio della fede dogmatica dei suoi seguaci. In “Discorso sulla servitù volontaria”, guardando alla Francia del suo tempo sottoposta alle tensioni accentratrici della monarchia, La Boetie si chiede come sia possibile che il popolo francese, composto da milioni di persone, si sottometta interamente a un solo monarca. Il potere coercitivo non può risiedere nella figura del solo tiranno, che molto spesso non è altro che un vigliacco “omuncolo che non ha mai annusato la polvere delle battaglie”. Alla luce di questa netta sproporzione di forze, la sottomissione allora è resa possibile solo grazie al contributo di ambo le parti: il paradosso centrale, l’enigma senza soluzione di tutto il discorso è il fatto che l’oppressione si fondi sul sostegno degli stessi oppressi, i qualiforniscono al tiranno la forza di cui ha bisogno per assoggettarli, sono loro a mettere in atto il loro stesso asservimento. In questo senso la servitù è volontaria e testimoniata dall’estrema facilità dell’emancipazione di per sé poco onerosa e a portata di mano. La Boetie insiste anche sull’estrema sofferenza che comporta la condizione di oppressione, dalla quale non può darsi alcuna felicità! Sudditi stuprati, derubati, uccisi, se perseverano in questa condizione miserabile di certo non è perché ne traggono qualche vantaggio. La Boetie allora si domanda: “Perché gli uomini perpetuano questa vile condizione dalla quale potrebbero uscire facilmente?” Nella Seconda parte del Discorso tenta di rispondere all’enigmatico quesito con risposte non del tutto esaustive. La prima ragione potrebbe essere l’abitudine, per cui ad esempio qualcuno educato all’obbedienza domestica cieca fin da piccolo,
sarà più propenso ad accettare passivamente altre forme coercitive. Queste persone hanno obliato la libertà dimenticando cosa significa essere liberi e quindi per forza di inerzia continuano a servire. Tuttavia l'abitudine viene relativizzata poiché vi è sempre qualcuno che nasce insofferente al giogo e che tiene