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La relazione debito-credito ha luogo all’interno di un regime istituzionale della promessa: è in gioco
la credibilità, o meglio la verità del “pagherò”. Tale relazione esige, a priori, che il regime della
promessa sia sottoposto a forme di garanzia condivise. Solo a queste condizioni la moneta può
apparire come un mezzo di pagamento, cioè di liberazione da un debito. Prima ancora che pagare il
dovuto, il debitore deve mantenere una promessa. Il creditore deve avere la capacità di accettare
promesse, capacità che si lega a una necessità: il creditore ha bisogno del debitore (ciò che dà senso
al denaro risparmiato è la possibilità di investirlo nella produzione e nel commercio, direttamente o
prestandolo ad altri, che si assumano il rischio della redditività degli investimenti intrapresi. In
questo senso, è il debitore ad avere in mano il senso ultimo del potere d’acquisto della moneta del
creditore. Tale relazione è dissimmetrica e intrinsecamente rischiosa: lo squilibrio dev’essere
evitato, ma rischia continuamente di verificarsi.
Ma è proprio in questo rischio che è possibile individuale la solidarietà di fondo fra debitore e
creditore, una solidarietà che precede ogni possibile relazione antagonista fra loro.
Il pagamento del debito mediante moneta costituisce scioglimento del regime di fiducia fra debitore
e creditore, attraverso la consegna di “qualcosa”, la moneta, che continua a rappresentare quel
legame di fiducia, nella forma della sua circolazione.
Quindi la fiducia che devono reciprocamente scambiarsi debitori e creditori riposa a sua volta sulla
fiducia che essi ripongono nella moneta con cui avverrà lo scioglimento della promessa. Questo è il
nodo di ogni architettura finanziaria (è finanziaria ogni architettura che consenta, ogni volta e
secondo una misura, una rituale, periodica e preordinata, chiusura dei conti fra debitori e creditori).
c. La fiducia nel pensiero di Keynes
Il primo a comprendere a fondo l’estrema importanza della fiducia in economia è l’economista
britannico John Maynard Keynes (Cambridge 1883 – Firle 1946), uno dei più importanti del
ventesimo secolo. Con la sua opera principale, la “Teoria generale dell'occupazione, dell'interesse e
della moneta” del 1936, Keynes ha dato vita alla così detta “rivoluzione keynesiana”. Il suo
maggior merito è quello essere stato in grado non solo di cogliere la natura profonda del capitalismo,
ma di individuare anche gli strumenti per correggerne le contraddizioni, risolvendo la crisi del ’29:
ponendosi in opposizione al pensiero economico classico del liberismo, che difendeva la libertà di
mercato (teoria del laissez faire), Keynes riteneva necessario l’intervento dello Stato nei rapporti
economici.
La sua teoria aveva dimostrato come il mercato della domanda e dell’offerta non era, di per sé, in
grado di mantenere l’equilibrio tra risparmi ed investimenti.
Secondo Paul Krugman, (Premio Nobel per l’Economia nel 2008), la teoria di Keynes può essere
utile a comprendere anche la crisi dei nostri tempi: in questo testo del 1936 si trovano le risposte
alla grande crisi dei nostri tempi, causata dal crollo finanziario del 2008.
L’’economista francese Éloi Laurent riprende la tesi di Keynes nel suo saggio “L’economia della
fiducia” (2013), in cui affronta la tematica della fiducia in relazione alla società: ritiene
indispensabile, per superare la crisi economica attuale, ripartire dalla fiducia, in quanto in grado di
creare un’economia sana e trasparente.
A riprendere la tesi di Keynes del 1936 è anche la docente di sociologia Donatella Padua, autrice
del libro ““La fiducia nella crisi globale. L’attualità del pensiero sociale keynesiano” (2012), in cui
analizza le dinamiche della fiducia in un contesto economico complesso quale è quello della crisi
finanziaria iniziata nel 2007, governato non solo dal denaro ma anche da pulsioni emotive,
irrazionali.
Il concetto originale di economia della fiducia spiega la creazione di valore attraverso l’operare
spontaneo della fiducia quale dinamica sostitutiva del sistema istituzionale di garanzia e controllo.
L’autrice vede la fiducia come motore di cambiamento e crescita.
In definitiva, nella logica keynesiana le convenzioni e i sentimenti umani sono importanti
motivazioni dell’azione umana dietro il mercato: una larga parte delle nostre attività positive
dipende da un ottimismo spontaneo piuttosto che da un’aspettativa in termini matematici, sia morale
che edonistica o economica. La maggior parte, forse, delle nostre decisioni di fare qualcosa di
positivo, le cui conseguenze si potranno valutare pienamente soltanto a distanza di parecchi giorni,
si possono considerare soltanto come risultato di uno «spirito vitale», di uno stimolo spontaneo
all’azione invece che all’inazione, e non come risultato di una media ponderata di vantaggi
quantitativi, moltiplicati per probabilità quantitative. Se quindi lo spirito vitale si estingue, e se
l’ottimismo spontaneo svanisce, lasciandoci dipendere solo dalla speranza matematica,
l’intraprendenza illanguidisce e muore.
Keynes scrive: «Vogliamo soltanto rammentare che le decisioni umane che influiscono sul futuro,
siano esse personali o politiche o economiche, non possono dipendere da una rigorosa speranza
matematica, perché non esiste la base per compiere un tale calcolo; e che è il nostro stimolo innato
all’attività che mantiene il meccanismo in azione, mentre il nostro raziocinio sceglie tra alternative
nel miglior modo possibile, mediante il calcolo dove possiamo farlo, ma spesso ricadendo sul
capriccio o sul sentimento o sul caso per trovare un movente alla nostra azione».
Il problema è che la fiducia si nutre di incertezza, non è governabile né inquadrabile univocamente.
In un contesto sociale ed economico caratterizzato da insicurezza, la fiducia costituisce una solida
garanzia; inoltre rafforza i legami, stimola l’impegno a collaborare, fa chiudere le vendite. È dunque
indispensabile che istituzioni e imprese basino i propri rapporti economici sulla fiducia e sui suoi
valori fondanti di trasparenza e integrità, al fine di restare competitive sul mercato.
d. La fiducia e il “fiat money”
Dalla sinossi di “Le radici di una fede” – Massimo Amato
“Da sempre la moneta, per poter essere accettata in pagamento, richiede fiducia. Da sempre il
credito, per poter essere concesso, poggia sulla fiducia di poter essere ripagati “in buona moneta”.
Moneta e credito sono storicamente in rapporto ove è in gioco la possibilità di rendere umanamente
sopportabile la più rischiosa e fondante delle relazioni economiche: il rapporto fra debitore e
creditore. Dal Seicento, segretamente, e in modo esplicito dal 1973, la nostra moneta è divenuta
fiduciaria. Ma quale fiducia è in gioco? La moneta fiduciaria è fiat money: creata dal nulla. Essa è
null’altro che un debito delle banche centrali. Un debito impagabile, che nulla garantisce.
L’apparizione, all’alba dell’era industriale, di una moneta indistinguibile da un debito ha reso
possibile la nascita dei mercati finanziari; ma ha anche messo a repentaglio una relazione già in se
stessa rischiosa. Del rapporto cruciale fra debitori e creditori è possibile scrivere una storia: la storia
del rapporto fra moneta e credito, e, al fondo, la storia della fede che gli uomini sono chiamati a
riporre nella moneta. Là dove oggi crediamo che viga sempre più puramente il regno del calcolo,
tale storia ci invita a scoprire che proprio questo impero razionalistico si fonda su una “fede” e una
“religione” uniche nel loro genere. Andare alle radici della fede che regge fin dai suoi inizi la
moneta fiduciaria occidentale è un primo necessario passo per potersi successivamente chiedere in
quale terreno tali radici affondino. E, forse, per scoprire che l’economia politica è una scienza molto
più religiosa di quanto essa stessa non possa pensare e ammettere. E, infine, che tutto ciò può
diventare oggetto di una riflessione e l’occasione per una rilettura della nostra storia”.
Il 15 agosto 1971 il presidente americano Richard Nixon annuncia di aver dato disposizione di
sospendere temporaneamente la convertibilità del dollaro in oro. Nasce così la moneta
inconvertibile, puramente e solamente cartacea, senza alcun valore intrinseco, che può essere creata
dalla banca centrale in quantità potenzialmente illimitate con un semplice decreto; per questo viene
chiamata “fiat money”, una moneta creata dal nulla con la sola forza di una parola demiurgica. Ogni
moneta nasce in forza di un atto sovrano, cioè con la firma di chi la emette.
[da Luca Fantacci, Massimo Amato. Fine della finanza. Da dove viene la crisi e come si può
pensare di uscirne. 2012]
3. La crisi del 2008 come “crisi di fiducia”
L’attuale crisi è stata molto spesso definita “crisi di fiducia”: essendo nata nel 2007 come crisi
finanziaria, si è trasformata in una crisi del debito sovrano, che ha influenzato negativamente sia la
fiducia delle imprese, sia quella dei consumatori.
La crisi finanziaria del 2008 è stata seguita da uno stato di incertezza: si parla del 2008 come
“l’anno del terremoto” che ha fatto crollare l’edificio della finanza globale.
Il giornalista Gianfranco Fabi, in un articolo del 2008 da “Il Sole 24 Ore”, spiega come nel 2008 la
fiducia sia stata protagonista degli eventi economici: in negativo, perché il crollo della fiducia negli
strumenti della finanza ha causato il crollo dei mercati; in positivo, perché il ritorno alla fiducia può
limitare i danni della crisi.
Scrive Fabi: “La fiducia, in verità, non è innanzitutto un dato economico, ma un requisito umano e
sociale, e quindi una caratteristica morale. Ma dato che ogni economia ha al centro la persona,
allora l’economia si basa sulla fiducia. E’ ora necessario che la fiducia torni a fondarsi sui valori, e
quindi sulle persone, piuttosto che sugli strumenti, e quindi sul denaro”.
Massimo Amato, professore di storia economica all’Università Bocconi, spiega che la principale
causa della crisi stia nel fatto che “siamo un po’ tutti catturati da un principio insensato di
organizzazione della finanza, che presuppone l’esistenza di debiti fatti non per essere pagati ma per
essere venduti su un mercato. Fino a che si ha fiducia nella vendibilità dei titoli sul mercato, c’è
liquidità