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JOHN STUART MILL
Uomini illuminati appoggiarono negli anni le rivendicazioni delle donne, innanzi tutto la
parità dei sessi nel diritto di famiglia come pure il suffragio universale.
John Stuart Mill, filosofo ed economista britannico, uno dei massimi esponenti del
liberalismo e dell'utilitarismo, appoggiando le idee innovative e femministe della moglie,
Harriet Hardy Taylor, sostenne che questa nuova strada avrebbe migliorato anche gli
uomini, i quali avrebbero smesso di sentirsi superiori per il solo fatto di essere nati maschi
e avrebbe posto fine anche all’ultimo rigurgito di schiavismo legalizzato,
dopo che gli Stati Uniti avevano abolito quello contro le persone di colore.
Vediamo di inquadrare più nel dettaglio l’autore, la situazione storica e il pensiero che
esprime nella sua opera.
John Stuart Mill è un filosofo ed economista inglese, nasce a Pentonville (Londra) il 20
maggio 1806. Figlio di uno storico e filosofo scozzese, gli viene impartita una rigida
educazione con lo scopo di creare un genio intellettuale. Mill è stato fin da piccolo un
bambino molto precoce. Già dai 3 anni studia matematica e storia; a 10 anni legge spesso
in greco e latino. A 13 anni studia Economia Politica e a 14 anni si trasferisce in Francia.
A causa delle fatiche fisiche e mentali provocato dallo studio, Mill entra in depressione,
anche se poi guarirà in breve tempo.
Accetta un impiego alla British East India Company, sotto consiglio del padre, dove lavora
come impiegato dal 1823 al 1858. Nel 1851 John Stuart Mill sposa Harriet Hardy Taylor,
dopo 21 anni di amicizia.
Dopo pochi anni di matrimonio, la moglie muore: la sua influenza verso Mill sarà
fondamentale per il suo pensiero circa i diritti delle donne.
Tra il 1865 e il 1868 Mill e rettore della University of St. Andrews, e al tempo stesso e
deputato liberale al Parlamento per il collegio londinese di City e Westminster; Mill
sostiene la limitazione delle nascite, propone il diritto di voto alle donne, il sistema
elettorale proporzionale e la legalizzazione dei sindacati e delle cooperative.
Ostile a ogni forma di socialismo che avrebbe limitato la liberta individuale, si pronuncio
per una politica di riforme istituzionali con lo scopo di realizzare una maggiore giustizia e
un governo di tutti e per tutti. Alla base di queste riforme c’è il proposito di arrivare al
massimo benessere per il maggior numero d’individui. Affermando che la realizzazione
della felicità altrui comporta per ciascun individuo un accrescimento di piacere, Mill
giustifica la razionalità di comportamenti guidati dal sentimento dell’unita e della solidarietà
del genere umano che prima Comte aveva teorizzato come Altruismo e lo aveva messo
come base della sua filosofia politica.
John Stuart Mill muore ad Avignone (Francia) il giorno 8 maggio 1873, all'età di 67 anni.
Harriet Hardy Taylor è nata a Londra nel 1807.
A diciassette anni sentendosi oppressa da una famiglia patriarcale, dove il padre aveva
qualunque potere decisionale sulla moglie e i figli, decide di sposare John Taylor, un
borghese influente e molto più grande di lei che le diede tre figli, ma con cui il matrimonio
non fu il coronamento di un amore.
Le prime conoscenze le vennero dalla religione: lei si avvicinò al suo pastore spirituale, e
fu proprio lui a presentarla per la prima volta a Stuart Mill. Nel 1833 Harriet si separò
lentamente dal marito. Durante il periodo di separazione, lei e Mill continuarono a
frequentarsi, ciò porto a diversi scandali nonostante che i due spiegarono che la loro era
una relazione unicamente intellettuale. Dopo la morte del primo marito della Taylor, essa si
sposò con Mill.
Harriet Taylor era una femminista, il suo obiettivo era quello di raggiungere una completa
parità dei sessi su tutti i campi, sull’istruzione, sul matrimonio e sulla giurisprudenza.
Fece molte proteste contro giornali e quotidiani contro i casi di violenza domestica nei
confronti delle donne. Harriet morì ad Avignone nel 1857.
Agli occhi di Stuart Mill sua moglie era a tutti gli effetti una sua pari. La questione
dell'emancipazione viene trattata dai due non solo teoricamente, ma anche considerando i
vantaggi che essa potrebbe portare a un nucleo familiare, come una migliore distribuzione
dei compiti domestici o lavorativi.
Un altro punto importante per Harriet era la dipendenza economica delle donne che solo in
pochi casi avevano la possibilità di guadagnarsi il denaro necessario per sopravvivere o
per contribuire alle spese di casa. Questa forma di dipendenza era degradante per il sesso
femminile, che si vedeva sempre sottomesso. I due coniugi insistevano anche nel cercare
di spiegare che, costruendo una situazione di eguaglianza tra moglie e marito, si
sarebbero potuti diminuire i casi di abuso e violenza tra le mura domestiche, dovuti a una
condizione di subordinazione. Se la donna avesse pari diritti e dignità di un uomo,
probabilmente non si sentirebbe costretta a sopportare in silenzio certe forme di violenza.
Tutti questi concetti, erano difficili da accettare nella società.
Il Novecento ne è stato un esempio: quando le donne ottennero la parità, gli uomini
dell’epoca non accettarono questo riconoscimento.
Perfino nel Ventunesimo secolo, dove il ruolo femminile è ormai riconosciuto al 100% e
dove le donne possono ricoprire tutte le attività degli uomini, ci sono ancora mariti e padri
che costringono le donne in famiglia a mortificazioni.
“L’asservimento delle donne” (The Subjection of Women) è il testo di Mill che più di ogni
altro fornisce una precisa descrizione della condizione di subordinazione subita dalle
donne, tracciando un preciso quadro sociale, familiare e psicologico della situazione
femminile. Il testo viene scritto in una prima stesura nel 1861, ma l’autore decide di
pubblicarlo solo nel 1869, dopo la sua esperienza come parlamentare alla Camera dei
Comuni, ritenendo che quello sia il momento più appropriato per l’uscita dell’opera. Mill ha
voluto presentare l’argomento al pubblico dopo che la questione della parità dei diritti delle
donne era stata affrontata sotto più profili: in sede parlamentare per l’estensione del
suffragio femminile con una petizione appoggiata dallo stesso Mill nel 1866 e nella società
civile che da tempo discuteva dell’accesso alle professioni anche per le donne, per le quali
la totalità delle carriere pubbliche (comprese quelle munite di prestigio sociale) era
preclusa.
Il testo si pone come prima autentica critica al ruolo della donna all’interno del contesto
familiare, evidenziando il rapporto di disuguaglianza esistente tra i due sessi.
L’autore denuncia la cultura dominante, che vuole la donna subordinata al marito, come
espressione di un retaggio feudale non conciliabile con la modernità del XIX secolo.
La vittoria delle rivendicazioni della borghesia, spiega Mill, in contrapposizione all’antico
privilegio aristocratico ha posto definitivamente fine alle teorie e alle istituzioni che
consacrano rapporti di servitù e vassallaggio, ma la condizione della donna e la struttura
patriarcale della famiglia non si sono adeguate al cambiamento e sono invece rimaste
immutate da secoli. L’impostazione tradizionale della famiglia stride con il concetto di
uguaglianza che si afferma con sempre maggiore consapevolezza nelle classi subalterne.
Gli esseri umani non nascono con un posto già assegnato nella vita, incatenati con vincoli
indissolubili all’ambito sociale nel quale sono nati, ma sono liberi di impiegare le proprie
facoltà e di sfruttare le occasioni favorevoli che si presentano per raggiungere il destino
che pare maggiormente desiderabile.
Nel saggio Mill paragona la condizione femminile con quella delle popolazioni ridotte in
schiavitù, con una differenza: al tempo in cui John Stuart Mill scrive la schiavitù è quasi
scomparsa, perlomeno nei paesi che si definiscono cristiani, mentre la condizione
femminile è di totale asservimento.
L'autore si chiede perché sia ancora valida, in questo caso, la legge del più forte, come
nello stato di natura descritto da Hobbes.
Il filosofo inglese spiega che, storicamente, la soggezione delle donne non nasce da
un’inferiorità naturale, ma da un atto di forza (del genere umano maschile) che ha volto in
servitù la loro debolezza fisica. La condizione di fatto che ne è derivata, avallata dal diritto
e diffusa dalla tradizione e dal pregiudizio, è in contrasto con l’uguaglianza dei diritti che
regge la civiltà liberale: non può esservi una compiuta libertà se metà del genere
umano ne è esclusa. Perciò ciò di cui le persone della sua epoca (e di tutte le epoche
passate) hanno esperienza non è la vera natura della donna, ma la femminilità quale si è
manifestata nella condizione di subordinazione sessuale.
Il luogo in cui più si consuma e si tramanda l’oppressione femminile è la famiglia e il
principale mezzo di asservimento è l’educazione. Mill, infatti, individua la causa della
mancanza di diritti civili delle donne nella storica subordinazione della donna all'uomo.
Scrive Mill: «Le società antiche sono tramontate da secoli e la schiavitù è stata da poco
abrogata anche in America, ma l'asservimento delle donne, oggi come ieri, persiste.
Questa forma di schiavitù viene esercitata dagli uomini sulle donne in forma compiuta, nel
luogo privato della famiglia. Questa sottomissione è resa possibile dalla maggior forza
autoritaria dell'uomo e si esercita non solo dal lato fisico, ma anche sull'affetto. Gli uomini
non vogliono solamente l'obbedienza delle donne, vogliono possedere i loro sentimenti.
Paradossalmente gli uomini vogliono avere una donna che a loro sia legata non da
schiavitù forzata, (che magari aborriscono) ma volontaria, in fin dei conti nella consorte
vogliono una favorita di cui però avere un controllo totale anima e corpo».
Perché le donne siano vittime volontarie di tale schiavitù e la considerino necessaria e
naturale, questa convinzione viene inculcata nelle loro menti fin dall'infanzia.
L’educazione rende una donna adeguata alle finalità che assecondano i progetti e i
desideri maschili. Esse sono educate a pensare di dover essere l'opposto dell'uomo: non
devono esprimere «una libera volontà e un comportamento auto-controllato, ma una
sottomissione e una subordinazione al controllo altrui. Tutte le morali etiche politiche e
religiose dicono che è dovere delle donne, e che è proprio della loro natura vivere per gli
altri, compiere una totale abnegazione di sé e non avere altra vita che la vita affett