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NTROPOLOGIA E IL CUORE DI TENEBRA SECONDO ONRAD
Gli anni ottanta dell’Ottocento sono gli anni dello scramble for Africa. Non a caso è
questo il periodo in cui Joseph Conrad scrive “Cuore di tenebra”, nello specifico nel
1898. L’imperativo utilizzato da Sven Lindqvist come titolo della propria trattazione è
invece “Exterminate all the brutes”, “Sterminate quelle bestie”, frase conclusiva del
romanzo di Conrad, a testimonianza del profondo legame esistente tra i due autori e i
due testi. Kipling aveva usato l’espressione “fardello dell’uomo bianco” in riferimento a
un imperativo etico, una missione civilizzatrice, un compito gravoso ma ineludibile per
gli occidentali. Tuttavia, se si parla di “bestie” e si usa il verbo “sterminare”, risulta
evidente l’esito che l’esperienza coloniale ha avuto, esito nel quale non c’è traccia né
di etica né di civiltà. Le “bestie”, in un’ottica da condannare e che rimarca che l’idea
malata di sterminio di massa ha radici di gran lunga antecedenti al delirio hitleriano e
della Germania nazista, sono i selvaggi, le popolazioni africane che gli europei
incontrano durante la loro corsa coloniale alla fine del XIX secolo. L’Heart of Darkness
è quello della mentalità occidentale e dell’approccio dell’Europa nei confronti del
Continente Nero.
Conrad si chiamava in realtà Teodor Jòzef Konrad Korzeniowski. La sua famiglia,
polacca, fa parte della nobiltà terriera perseguitata dai russi. Egli rimane orfano molto
giovane, completa i suoi studi in Polonia, parte per Marsiglia imbarcandosi come
marinaio, e infine si sposta in Inghilterra servendo per anni la marina britannica.
Perché concentrarsi sulla vita dell’autore? Semplicemente perché la componente
biografica è molto importante per Conrad e ha un certo peso nella sua produzione
letteraria e in “Cuore di tenebra” in particolare. Mentre egli viaggia per mare, l’Europa
intera festeggia il ritorno a casa dell’esploratore Henry Morton Stanley, e chiunque si
mostra desideroso di ascoltarne i racconti. Le pagine di “The darkest Africa” narrano
della spedizione del 1886 organizzata per soccorrere il governatore di Equatoria Emin
Pascià, soffermandosi sul salvataggio di quest’ultimo con un battello a vapore che
aveva consentito la risalita del fiume Congo. Si tratta tuttavia del racconto di Stanley
e, inevitabilmente, della sua versione. Poco dopo, attraverso le parole di altri
partecipanti, cominciano a emergere scomode verità circa abusi e malversazioni di cui
i protagonisti della spedizione si erano macchiati per soggiogare le popolazioni locali
ed essere certi di riuscire a proseguire un cammino così impervio.
Anche in “Cuore di tenebra” i protagonisti sono un uomo da “salvare”, Kurtz, risalendo
un fiume nel cuore dell’Africa, quello stesso fiume, il Congo, e un marinaio, Marlow,
che si lancia in questa avventura. Ma Lindqvist associa il personaggio Kurtz alla
disumanità di Stanley e paragona il marinaio Marlow alla figura di Emin Pascià. Marlow
risale il fiume Congo per salvare Kurtz, ma ormai gli indigeni, letteralmente ammaliati,
ne hanno fatto una sorta di divinità. Tuttavia, al termine del romanzo Marlow si reca
dalla promessa sposa di Kurtz, e decide di mentire, non avendo il coraggio di rivelarle
la vera natura di quell’uomo che lei crede un modello di perfezione. Mente
comunicando alla donna che le ultime parole di Marlow erano rivolte a lei, e così
facendo tiene viva la malsana abitudine della menzogna: mentre Conrad scriveva il
suo racconto il mondo intero mentiva, e in particolare l’occidente mentiva anche e in
particolar modo a se stesso circa la vera natura della propria missione.
Intanto il progresso permette la realizzazione di nuove armi a costi relativamente
bassi e rende l’uomo bianco superiore a qualsiasi possibile avversario. Winston
Churchill descrive e commenta la battaglia di Omdurman, che vede il corpo di
spedizione anglo-egiziano contro Dervisci e guerrieri sudanesi. Per la prima volta
viene messo alla prova tutto il nuovo arsenale europeo, e questo scontro armato è la
prova incontrovertibile dello schiacciante strapotere tecnologico dell’occidente (“Mai
più si vedrà qualcosa di paragonabile alla battaglia di Omdurman”) che si rende
protagonista di veri e propri atti di sterminio. Questi sono avvolti in un tacito assenso
accresciuto dalla distanza fisica dalla madrepatria che mente e finge di guardare
altrove, o che garantisce impunità fornendo la propria versione dei fatti.
Con “Cuore di tenebra” Conrad (e il lettore con lui) compie anche un altro tipo di
viaggio, oltre a quello fisico in Africa. Compie un viaggio introspettivo nell’uomo, nel
suo universo interiore, nella sua natura. Kurtz ha soggiogato gli autoctoni, ha reso
quegli indigeni schiavi in modo brutale; tuttavia anch’egli è vittima della solitudine e
della follia della cultura occidentale e di un’Europa inumana, la quale si sgretola nel
momento in cui si rapporta all’Altro. Ovviamente questo percorso è anche un
resoconto del colonialismo europeo alle cui spalle, questo va sottolineato, si muovono
logiche politiche, culturali, e soprattutto economiche. È la concorrenza capitalistica che
spinge alla ricerca di materie prime, manodopera a basso costo e nuovi mercati per le
eccedenze non assorbite.
Un concetto chiave nell’ambito di questo specifico percorso è anche quello di razza.
Con Linneo e Gaubineau si compiono passi avanti notevoli nei tentativi di
classificazione. Il primo, naturalista del Settecento, aveva proposto una classificazione
basata su caratteri morfologici distintivi; per il secondo, autore del “Saggio sulla
disuguaglianza delle razze umane”, la disuguaglianza fisica implica delle diversità
mentali e fa di ogni gruppo umano una razza. Le idee tipiche dell’evoluzionismo
equiparano la razza umana a tutte le altre specie viventi, e gli studi in tal senso sono
molteplici. Dapprima Cuvier si concentra sui fossili e sul concetto di estinzione,
all’interno del quale l’uomo non fa eccezione tra le varie specie che corrono tale
“rischio”. Poco più tardi Knox, in maniera molto approssimativa poiché il suo studio
coinvolge un numero troppo basso di cadaveri, si abbandona a delle illazioni sulla
presunta inferiorità delle razze scure. Con il tempo e con l’affermazione della genetica
la categoria di razza si screditerà e perderà ogni validità scientifica.
Conrad è autore anche di un altro racconto, pubblicato sulla rivista Cosmopolis: A
Literary Review, dal titolo “Un avamposto del progresso”, il cui significato e la cui
importanza vengono sottolineati anche da Lindqvist mentre, tra numerose
considerazioni di carattere storico-antropologico, egli narra il proprio viaggio
nell’odierno Sahara e in un Africa in cui lo scontro tra la civiltà occidentale europea e
quella autoctona non si è affatto concluso. Questo testo di Conrad analizza il degrado
morale di due inviati coloniali europei, mentre sullo sfondo il legame tra colonialismo
ed esigenze commerciali si approfondisce sempre più. L’ambientazione nel Congo
belga di fine Ottocento non è casuale. Le nuove invenzioni del periodo stimolano la
domanda di materie prime, e dal Belgio Leopoldo II attribuisce il monopolio del
commercio della gomma e dell’avorio ai suoi rappresentanti. Proprio il decreto del re
intensifica e “legittima” lo sfruttamento: la manodopera locale “lavora” in condizioni di
effettiva schiavitù, la violenza ingiustificata da parte dei coloni è la prassi, qualsiasi
disordine è represso nel sangue in maniera disumana.
Anche la questione relativa alla lontananza come causa della degenerazione
dell’individuo è contenuta in “Un avamposto del progresso”. La solitudine, fisica ma
anche culturale, è vista come una spinta verso il più totale abbandono morale. La
figura di uno dei due protagonisti, inoltre, con il suo ordine di sterminare “all the
niggers”, non è tanto lontana dal Kurtz di “Cuore di tenebra”, secondo lo stesso
Conrad la parte più consistente del bottino che egli aveva portato via dall’Africa.
Ciò che fa riflettere è che azioni mostruose vengano compiute da individui magari
“normali”, cioè non “demoniaci né mostruosi”. È evidente, dunque, il fortissimo
legame con il contributo di Hannah Arendt la quale, in “La banalità del male”, si
concentra sul dramma dell’Olocausto, ma non c’è differenza: sia per quanto riguarda
la disumanità delle azioni dei colonizzatori che nel caso dell’agire dei nazisti il leitmotiv
alle spalle di un tale modus operandi sembra essere l’incapacità di pensare. Questi
atteggiamenti sono la componente fondamentale di quella che può essere vista come
una cieca obbedienza. Uomini perfettamente normali i cui atti sono “mostruosi”,
inenarrabili, e questa normalità è più spaventosa di tutte le atrocità messe insieme,
poiché l’individuo commette i suoi crimini senza riflettere sul male di cui si sta facendo
portare o sul contenuto di regole e ordini che applica incondizionatamente.
A proposito di Germania nazista, nel testo di Lindqvist viene messo in luce il legame
tra gli stermini dovuti al colonialismo e gli orrori perpetrati dagli ufficiali tedeschi.
Sterminare, e non guardare agli Altri come a delle persone, ma etichettarli come
bestie: l’agire dell’intera Europa, un’Europa che sembra aver dimenticato la lezione
dell’Illuminismo che soltanto un secolo prima predicava uguaglianza, è orientato in
questa direzione.
Lindqvist conclude infine l’ultimo capitolo rimarcando la tesi secondo cui la conoscenza
dei fatti non manca. Tutto l’occidente sa, conosce il cuore di tenebra dell’uomo bianco.
Il problema è che questa conoscenza è implicita, repressa, non manifesta. Se essa
non fosse tale l’immagine del mondo abilmente costruita e architettata dall’occidente
stesso si disgregherebbe inevitabilmente, sollevando non poche questioni. Una su
tutte, l’ambiguità di un occidente che per lungo tempo si è preoccupato di elaborare
una propria visione del non-occidentale, del non-europeo (visione parziale, influenzata
da vari fattori, analizzata a lungo, ad esempio, dall’”Orientalismo” di Said) senza
curare agli occhi del mondo i propri lati oscuri nei quali il male ha messo radici. In
realtà non è neanche questione