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Gérard Gasarian, Champ Vallon, 1986, pag. 90.
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Il compito della poesia è quindi quello trovare un modo per liberare le parole, usate
per rappresentare le immagini sulla carta, dal fardello dell’illusione e cercare di
costruire un legame che le riconnetta con la realtà.
Il problema del linguaggio è infatti quello avere il potere di far allontanare
dall’esistenza fisica, di invitare al sogno e all’oblio della finitezza.
Come scrive il poeta, le parole sono in grado di mostrare “plus que ce qui est” e di
dire “autre chose que ce qui est” (vv. 62-63), perché ogni formulazione linguistica
infatti rimanda inevitabilmente a un’astrazione mentale e può rivelarsi perciò
menzognera. Come le immagini, come il mondo illusorio creato dal poeta nelle
prime strofe, così la parola ci pone delle insidie.
Bonnefoy parla di “double nature des mots”, individuando da un lato la forma
materiale della scrittura, quella dei veri e propri segni che costituiscono le parole, e
dall’altra, la faccia immortale della parola, trasmessa dal concetto e dall’idea che
questi stessi segni evocano. Citando a tal proposito Mallarmé, scrive:
C’est pourquoi les mots ont offert à l’anxiété poétique, aussi bien
leur opacité matérielle, ces lettres arbitraires et fascinantes, que la
clarté du concept. Je dis une fleur, et le son du mot, sa figure
mystérieuse est le rappel de l’énigme.
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È proprio a questo punto, però, che interviene la poesia: svolgendo un profondo e
faticoso lavoro sulle parole e sulle immagini, cercando di liberare il linguaggio
dall’indefinito e dalla fascinazione dell’inconscio, essa riesce a raggiungere una
scrittura autentica capace di evocare la “présence”. Per Bonnefoy, la poesia è capace
di individuare dei segni molto vicini alla “présence” che li ha evocati e di riunirli per
formare un “intellegible subjectif", creatore di un’ipostasi che riconnetterà il soggetto
all’unità della “présence”.
L’Acte et le lieu de la poésie, L’Improbable et autres essais,
Yves Bonnefoy, in Paris, Gallimard, 1983.
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Per questo la poesia è il solo mezzo che ci permette di andare “Au-delà des images
[…] par au-delà presque le langage”, è la guida della nostra barca, è la dea Venere
che ci incoraggia a riprendere il cammino verso una realtà più autentica.
È proprio la poesia infatti “qui a donné l’énergie de l’entreprendre, elle est la
ressource du chemin”. 9
Tuttavia, nei vv. 55-69, il poeta è assalito dal dubbio: tutto questo è davvero possibile
o è soltanto un’altra illusione? Quello che vediamo è forse la luce di un altro “éclat
trompeur" che ridisegna sotto nuovi tratti lo stesso mondo ingannevole dell’acqua
nera del sogno?
Non è la prima volta che vediamo Bonnefoy perdersi nei suoi ragionamenti. Luca
Bevilacqua ne parla a proposito dei Tombeaux de Ravenne, scrivendo:
Certo è che in quell’esitazione del pensiero, in quell’ansia di verità,
nelle parole che lo scrittore trova – ogni volta diverse – per definire
il problema che gli sta a cuore, ebbene in tutto ciò avvertiamo l’eco
inconfondibile della presenza. Un uomo, scrivendo quelle pagine,
ha riflettuto, ha lottato, ha cercato di spingersi oltre se stesso. Prova
ne è il fatto che si è perso. E lo smarrimento, assai più che il
sorgere improvviso di un’idea, gli appare luogo di verità. Se infatti
è vero che il concetto “s’accomplit dans la pensée ‘cohérente’”,
allora l’incoerenza, il cambiare strada, dimostrano che perdersi
equivale paradossalmente a trovare. […]
Ed è per questo motivo, per una capacità intrinseca di porci in
relazione con l’autentico, che Bonnefoy vede nel fatto di smarrirsi
L’Acte et le lieu de la poésie, L’Improbable et autres essais,
Yves Bonnefoy, in Paris, Gallimard, 1983.
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addirittura una virtù. “J’opposais d’ailleurs au concept la réalité du
sensible, c’est déjà reconnaître la vertu de l’égarement”.
10
‑
La perdita non è più allora un elemento negativo, ma è piuttosto un momento
necessario per raggiungere il vero senso delle cose, movimento inevitabile se
vogliamo raggiungere la “présence”.
È questo momento che il poeta vuole descrivere all’inizio della sesta strofa: abbiamo
ripreso in mano i remi, vogliamo ripartire per il nostro viaggio verso il
raggiungimento della verità, ma, proprio in questo istante, sembriamo perderci nelle
nere acque del sogno.
Non a caso l’illusione prende le forme di quest’elemento fisico. Il sogno, proprio
come un liquido, è inafferrabile, subdolamente si adatta a qualsiasi tipo di spazio,
avvolge completamente e a volte addirittura sommerge.
In un attimo non riusciamo più a distinguere dove ci troviamo, non sappiamo più se
sia il risveglio o il sonno, attorno a noi il buio che non ci permette di vedere più
nulla. Rimane soltanto una sottile inquietudine, propria del senso dello smarrimento.
L’avanzata nell’illusione passa attraverso il corpo: inizia dai piedi, per poi risalire
alle caviglie, fino alla completa immersione, momento in cui è il sogno stesso a farsi
corpo, attraverso una personificazione. Bonnefoy invoca il sogno della notte, perché
realizzi, prendendo nelle sue mani l’illusione del giorno, la “désirable unité” tanto
cercata.
È proprio attraverso questo smarrimento che ci si può avvicinare alla “présence”.
Solo così si può infatti superare la disgiunzione dei contrari e riunire “la querelle du
monde et de l’espérance”. La speranza del poeta è la realizzazione di un’unità che
Bonnefoy contro se stesso,
Luca Bevilacqua, in: "Rivista di Letterature moderne e comparate", LXX
10
(2018), pp. 67-87. 21
possa portare finalmente alla serenità, immaginata come il candore della spuma del
mare. Una fusione che accolga in sé, al tempo stesso, sia bellezza che verità.
Continua allora il viaggio per raggiungere questa bellezza, che secondo il poeta si
trova nelle cose semplici, ad esempio nel fascino esercitato dalle stelle, splendide
anche nella loro immobilità.
Alla guida della nave c’è la figura del “nautonier”, il traghettatore. Questo tema
anticipa il personaggio protagonista della sezione Les Planches courbes, ed è ripreso
a sua volta da una raccolta scritta dall’autore nel 1975, dal titolo Dans le leurre du
seuil. Qui, la figura del poeta si sovrappone e si fonde a quella di un traghettatore
che, cercando ostinatamente di raggiungere una nuova riva, urta con il suo remo il
fango nero del fondo del fiume:
Heurte,
Heurte à jamais.
Dans le leurre du seuil. […]
Dans le langage, noir.
Dans celui qui est là
Immobile, à veiller
A sa table, chargée
De signes, de lueurs. […]
Plus avant que le chien
Dans la terre noire
Se jette en criant le passeur
Vers l’autre rive. […]
Quel fond trouve ta perche, tu ne sais,
Quelle dérive. […]
Plus avant que le chien
Qu’on recouvre mal
On t’enveloppe, passeur,
Du manteau des signes. […]
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Plus avant que le chien
Qui est mort hier
On veut planter, passeur.
Ta phosphorescence. […]
Tu fus jeté sanglant
Dans la lumière.
Tu as ouvert les yeux, criant,
Pour nommer le jour. 11
L’idea di avvicinare la figura del poeta a quella del traghettatore è forse ripresa dal
dio egiziano Thor, che era al tempo stesso dio della scrittura e traghettatore delle
anime nel mondo dei morti. 12
Nella poesia, le due figure sono accomunate da funzioni e attributi simili. Ad
esempio, il traghettatore è caratterizzato dalla “phosphorescence” data dal “manteau
des signes” che lo avvolge. Ritroviamo gli stessi “signes” accompagnati da “lueurs”,
sulla tavola dove il poeta sta scrivendo. Inoltre i due personaggi sembrano svolgere
la stessa attività: il nocchiere colpisce con il suo remo il fango per avanzare nella
traversata e il poeta, alle prese con le parole, “heurte […] dans le langage, noir”.
Gérard Gasarian commenta a tal proposito:
Le travail du poète-nautonier consiste à faire <<passer>> les mots
de la rive noire que leur est native vers l’autre rive, lumineuse, où
le reflet exsangue à quoi ils réduisent toutes choses reprendrait vie.
L’écriture est ainsi le théâtre d’une lutte entre des mots obscurs et
une parole lumineuse qui cherche à s’y trouer un passage.
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Dans le leurre du seuil Poèmes,
Yves Bonnefoy, (1975), in Mercure de France, Paris,1978.
11 Yves Bonnefoy, la poésie, la présence,
Gérard Gasarian, Champ Vallon, 1986, pag. 90-91.
12 Yves Bonnefoy, la poésie, la présence,
Gérard Gasarian, Champ Vallon, 1986, pag. 92.
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Queste qualità ritornano in Dans le leurre des mots, dove il traghettatore è
caratterizzato da “une opacité phosphorescente”, perché naviga nel buio della materia
alla ricerca di parole che possano avvicinarlo alla “présence”. Il viaggio del poeta
non è mai finito e prosegue cullato dal rumore dell’acqua che si infrange contro la
barca, senza riuscire a capire se si è raggiunta una nuova riva o se si è ancora bloccati
nello stesso mondo da cui si era partiti.
I vv. 97-98 sono un riferimento a Baudelaire, che in Le Voyage scrive:
A l’accent familier nous devinons le spectre;
nos Pylades là-bas tendent leurs bras vers nous.
«Pour rafraîchir ton coeur nage vers ton Électre!»
dit celle dont jadis nous baisions les genoux.
O Mort, vieux capitaine, il est temps! levons l’ancre!
Ce pays nous ennuie, ô Mort! Appareillons!
Si le ciel et la mer sont noirs comme de l’encre,
nos coeurs que tu connais sont remplis de rayons!
Verse-nous ton poison pour qu’il nous réconforte!
Nous voulons, tant ce feu nous brûle le cerveau,
plonger au fond du gouffre, Enfer ou Ciel, qu’imp