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Queste due politiche possono essere interpretare meglio valutando la situazione del Canada.
Con l’adozione della Carta canadese dei diritti che garantiva l’uguaglianza di trattamento dei
cittadini e che ha uniformato il sistema canadese a quello americano, sono infatti iniziati una
serie di problemi che hanno determinato come conseguenza la richiesta da parte dei franco
canadesi di un trattamento differenziato. La posta in gioco era il desiderio di sopravvivenza di
questi popoli, con la conseguente richiesta di certe forme di autonomia e di autogoverno, nonché
della possibilità di adottare certi tipi di legislazione considerati indispensabili proprio per la
sopravvivenza. Il Québec, per esempio, ha adottato, diverse leggi che riguardano la lingua. Una
di queste stabilisce ad esempio che non possono iscrivere i figli ad una scuola inglese né i
francofoni, né gli immigrati; un'altra prescrive che le imprese con più di cinquanta dipendenti
usino sul lavoro il francese; una terza legge vieta invece le insegne commerciali di lingua non
francese. A questo proposito, Taylor ritiene che si debbano favorire forme locali di comunità, la
sua visione è quindi quella di una società civile basata sulla decentralizzazione dei poteri, e di
una società liberale che privilegi le autonomie, l’autogoverno; difende quindi i diritti delle minorità
etniche e linguistiche. Secondo lui è quindi necessario far convivere le società differenziate
senza opprimerle. Il problema diventa dunque quello di garantire il riconoscimento delle
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differenze (culturali, politiche, sessuali) e tradurle in politiche concrete. Taylor si distacca quindi
dalla politica universalistica dell’uguale riconoscimento, perché a suo giudizio troppo
omogeneizzante.
Seguendo Dworkin, Taylor distingue due tipi di impegno morale, che poi devono dare luogo a
“procedurale”:
due politiche diverse. Il primo è quello quello che parte dall’idea di trattare tutti gli
uomini in modo uguale, indipendentemente dai nostri scopi; il secondo è invece quello
“sostanziale” che privilegia gli scopi individuali. Tra questi due impegni, quello che vale oggi è
“tirannia
quello procedurale, questo però finirebbe per imporre una della maggioranza” anche
alle minoranze, causando nel Québec gravi problemi, col rischio di eliminare la sua identità
storica. La politica della differenza rispetta i diritti fondamentali ma naturalmente questo non
significa che le culture debbano rimanere insensibili verso quelle diverse e quindi chiuse; c’è
bisogno quindi anche di «fusione degli orizzonti» come dice Gadamer, cioè cercare di imparare
a muoverci in orizzonti più ampi, aiutando così anche la propria cultura a aumentare le
conoscenze, favorendo in questo modo il rispetto delle diversità. Attraverso Gadamer, Taylor
giunge inoltre a teorizzare una presunzione di valore di tutte le culture. Come tutti devono avere
diritti civili e diritti politici uguali indipendentemente dalla razza e dalla cultura, così si dovrebbe
presumere che la cultura di ciascun gruppo abbia valore. In tal senso, un vero giudizio di valore,
come si è evidenziato sempre attraverso Gadamer, presuppone la fusione degli orizzonti
culturali e normativi; presuppone cioè che lo studio dell'altro ci abbia trasformato al punto che
non giudichiamo più soltanto in virtù dei nostri criteri originari. Un giudizio favorevole emesso
prematuramente sarebbe invece oltreché condiscendente, etnocentrico: parlerebbe bene
dell’altro perché è come noi. E qui sorge un altro problema: paradossalmente, infatti, la richiesta
di giudizi di valore positivi è OMOGENEIZZANTE perché implica che si possiedano già dei criteri
per la formazione di questi giudizi. In questo senso, la politica della differenza, invocando i nostri
criteri come metodo di giudizio di tutte le civiltà e culture, potrebbe finire per rendere tutti uguali.
Se ad esempio prendiamo il caso di una frase attribuita allo scrittore statunitense Saul Bellow,
“quando gli Zulù produrranno un Tolstoj, lo leggeremo”, questa citazione mette a nudo
l’etnocentrismo. Primo perché c’è l’assunzione che l’opera di un’altra cultura per acquisire
riconoscimento debba avere una forma a noi familiare, e poi perché assume implicitamente che
quest’altra cultura perverrà a un’opera, a una mente di questo calibro, soltanto in un futuro
indeterminato. Taylor, tuttavia, fa presente come debba comunque esserci una via di mezzo fra
la domanda, omogeneizzante, di un riconoscimento di uguale valore da un lato, e il misurarsi da
soli entro i propri criteri etnocentrici dall’altro. Questa via di mezzo è per l’appunto la presunzione
di uguale valore, cioè l'atteggiamento che ognuno di noi ha nel momento in cui si accinge a
studiare l’altro. Quello che la tesi presuntiva ci chiede però non è una serie di giudizi di uguale
valore ma un tipo di studio culturale comparativo che produrrà delle fusioni e quindi sposterà
inevitabilmente i nostri orizzonti. Riguardo invece il problema rappresentato dalla società
odierne che stanno diventando sempre più multiculturali e nello stesso tempo più porose cioè
più aperte alle migrazioni, la soluzione per Taylor è la rinascita di una società civile con piccoli
aggregati, fortemente localizzati, con culture differenti. Affinché ciò si realizzi, però, anche il
sistema politico deve cambiare in modo sostanziale, deve cioè diventare un sistema politico che
favorisca il multiculturalismo tutelando le minoranze. 3
LOTTA DI RICONOSCIMENTO NELLO STATO DEMOCRATICO DI DIRITTO (Jurgen
Habermas)
Habermas rielabora il dibattito fra i liberali e i comunitaristi (appartenenti rispettivamente a ciò
che egli chiama primo e secondo modello di liberalismo) inserendosi al suo interno come
mediatore, riesaminando i due punti di vista.
“politica
1. La del riconoscimento” di Taylor
Habermas attacca Taylor, dichiarando che lui dà per scontato che la protezione delle identità
collettive entri in conflitto con il diritto alle pari libertà individuali, al punto tale da pretendere, in
“sui
riferimento all’esempio del Québec, di formare così una società generis”; cioè una società
che vuole tutelare localmente l’integrità delle sue forme di vita attraverso politiche restrittive.
Secondo Habermas questo rischia però di far perdere di vista quelle che sono le libertà
fondamentali. Dobbiamo dunque differenziare da un lato le libertà fondamentali, cioè quelle che
non dovrebbero mai essere violate, e dall’altro i privilegi che sono importanti ma possono essere
annullati per ragioni di interesse pubblico. Secondo Taylor il primo modello di liberalismo è quella
teoria secondo cui a tutti vengono garantiti, sotto forma di diritti fondamentali, eguali libertà
soggettive, e in caso di contesa i tribunali decidono quali diritti spettano e a chi. In questo modo,
secondo Taylor, il principio di eguale rispetto si esprimerebbe solo in quello della autonomia
giuridica, da Taylor questa viene considerata una lettura del sistema dei diritti che rimane
“paternalistica” che fa sminuire il concetto di autonomia. Per Habermas è invece chiaro che il
sistema dei diritti «non può essere cieco né verso le condizioni sociali diseguali né verso le
“nell’eccesso
differenze culturali». Habermas però sta attento a non cadere moralistico” della
proposta dei comunitaristi. Infatti la negatività che affligge la letteratura dei diritti, nel primo
modello di liberalismo scompare appena si capisce che le persone acquistano identità solo
tramite la socializzazione; una teoria dei diritti intesa in modo giusto richiederà dunque una
politica di riconoscimento che tuteli l’integrità dell’individuo, senza elaborare contromodelli che
partano da una diversa prospettiva normativa, come invece ha fatto Taylor. Secondo Habermas
il processo democratico deve quindi assicurare nello stesso tempo l’autonomia privata e
l’autonomia pubblica. Per Habermas una letteratura liberale che ignori questo nesso finirebbe
per fraintendere l’universalismo dei diritti nei termini di un astratto livello delle differenze,
differenze che invece devono essere valorizzate. Secondo Habermas inoltre non occorre
mettere in campo i due tipi di liberalismo evocati da Taylor se si considera seriamente il legame
interno tra stato di diritto e democrazia, ed è proprio in questo spazio di discussione pubblica
democratica che le richieste di riconoscimento avanzate come rimedio alla discriminazione
possono essere accolte sullo sfondo di una cultura civica e costituzionale da condividere.
Habermas è convinto che se ci poniamo in una visione di teoria di diritto, la questione sollevata
“neutralità
dal multiculturalismo è quella relativa alla etica” di diritto e politica. Quindi prendendo
spunto dal dibattito costituzionale canadese, Habermas prende in esame il bisogno liberale di
una neutralità etica del diritto, intesa nel senso che le questioni politiche di tipo etico, non
essendo suscettibili di regolazione giuridica imparziale, devono essere preliminarmente sottratte
al dibattito. In questo modo lo Stato, inteso nella prospettiva del primo modello di liberalismo,
non deve poter perseguire nessun fine collettivo che vada al di là della garanzia di libertà privata
di sicurezza individuale; in base al secondo modello di liberalismo invece lo stato deve
impegnarsi non solo a garantire i diritti fondamentali ma anche a far sopravvivere una
determinata nazione specifica con culture e religioni diverse. Il fatto che la teoria dei diritti affermi
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un’assoluta superiorità dei diritti individuali rispetto a quelli collettivi è assolutamente vero, ciò
però non basta per Habermas a provare che la teoria comunitarista di Taylor (cioè la questione
secondo cui il sistema dei diritti dovrebbe essere cieco di fronte alle tutele di forme di vita culturali
e di identità collettive) dica la verità. Bisogna invece considerare che lo sviluppo democratico
del sistema dei diritti introduce il perseguimento non solo di obiettivi generali politici, ma anche
di quei fini che si muovono nelle lotte di riconoscimento. Ogni ordinamento giuridico è infatti
anche manifestazione di una forma di vita particolare, e non riproduce solo il contenuto
universale dei diritti fondamentali. Le questioni etico politiche sono inoltre necessarie alla politica
e le loro normative manifestano l’identit&agrav