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– LE RADICI CULTURALI DELL’EUROPA MODERNA

PARTE PRIMA

L’ORIGINALITA’ DEL MEDIOEVO: INTERPRETAZIONI STORIOGRAFICHE A CONFRONTO

La riabilitazione del Medioevo

L’originalità del

Nel saggio Medioevo: interpretazioni storiografiche a confronto, Chabod ci dà

diversi esempi dell'uso strumentale della storia e parte da uno dei problemi principali della

storiografia a partire dal settecento: quello della continuità tra i popoli romani e quelli barbari. Egli,

in particolare, si concentra sulla confutazione della tesi rinascimentale settecentesca che vedeva il

Medioevo come un’età buia e di decadenza. Chabod si oppone a questa tesi sottolineando come

nel corso dell'Ottocento gli studiosi hanno cominciato a rendersi conto che esistevano degli stretti

legami tra Medioevo ed età classica, inoltre perduravano elementi giuridici, economici e culturali

che impedivano di fatto al Medioevo di presentarsi come una fase decadente delle arti e delle

istituzioni. A questo proposito egli parte col delineare la tesi della discontinuità, facendo notare

come Henri de Boulainvilliers affermi che i popoli liberi che non conoscono il dispotismo e la

tirannia si oppongano all'impero romano per legittimare la monarchia in quel periodo storico. Nel

farlo Boulainvilliers dà una delle prime nozioni di "stirpe", intesa come popolo etnico, e di come

essa si sia ribellata al dispotismo. In particolare, nel 1727 vengono pubblicate postume due sue

opere: la Storia dell'antico governo della Francia e le Lettere sugli antichi Parlamenti di Francia

denominati Stati generali. Boulainvilliers era ostile all'assolutismo monarchico di Luigi XIV ed era

convinto che per ridare vigore alla Francia occorresse restaurare le leggi e gli ordinamenti propri

della nazione che erano stato violati dalla monarchia. Egli formula pertanto una sua personale

dottrina, affermando che la conquista ad opera dei franchi nel V secolo aveva fatto tabula rasa

nella Gallia romana, che le popolazioni gallo-romane erano state ridotte in schiavitù e che i loro

diritti erano stati ceduti ai conquistatori, cioè ai progenitori della nobiltà francese, liberi persino dai

loro capi, che venivano eletti indipendentemente dal principio ereditario e fortemente limitati, nella

loro azione, dalle leggi fondamentali della nazione francese. A questa tesi si oppone quella di Du

Bos, il quale formula quindi un quadro completamente diverso: a differenza di Boulainvilliers,

infatti, egli sostiene l'assolutismo monarchico e afferma che i franchi si erano insediati in Gallia con

l'accordo dei romani; essi, inoltre, avevano mantenuto le istituzioni politiche sociali dei romani,

mentre i diritti sulla Gallia erano stati ceduti, con atto solenne, dal re di Roma Giustiniano ai

franchi, i quali erano da considerarsi pertanto i soli legittimi eredi dell'impero romano.

Nel momento in cui Boulainvilliers e Du Bos discutono tra loro, emerge un importante problema

storiografico che si ricollega ad un problema politico attuale. Storia e politica diventano dunque

facce di uno stesso problema. Il sistema di Du Bos, in particolare, è un sistema nuovo, in quanto

non ha precedenti a parte l'idea, dominante nel medioevo, della translatio imperii, ossia la

continuità di potere tra l'impero Romano e l’impero medievale; quello di Bouilainvilliers, invece, non

è nuovo, in quanto riassume tutta una polemica di vecchia data: dal momento che il suo punto

fondamentale era la libertà dei germani, la loro organizzazione politica fondata sul consenso del

popolo all'elezione del re e sui limiti imposti a quest'ultimo, questo sistema non fa altro che

riprendere a approfondire il motivo dominante della pubblicistica tedesca e in parte francese

durante l'età della riforma e della controriforma. In quel periodo, infatti, da un lato Lutero e i suoi

sostenitori conducevano un’aperta campagna contro la Roma cattolica, dall’altro lato i principi

territoriali scendevano in piazza contro l'impero e in questa loro azione erano legittimati dagli stessi

storici e giuristi i quali sottolineavano come nelle aspirazioni dei principi si rispecchiasse la vera

natura del popolo germanico. In quegli anni si sollevano non a caso voci una serie di concezioni

orientate in questa direzione che trovano poi la loro codificazione definitiva nell'opera di Hermann

Conring De Germanorum imperio romano pubblicato nel 1643, dove si conclude che il vecchio

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impero romano è stato distrutto dai germani e che il nuovo impero, creato da Carlo Magno, è stato

modellato sulla base dei costumi del popolo tedesco. Sempre nello stesso periodo di tempo, tra

500 e 600, la polemica politica determinava a sua volta una polemica storica: le opinioni, già

comuni nel medioevo, sui diritti dei principi, sull'eleggibilità dell'imperatore giustificavano infatti ora,

sul piano storico, la tesi politica. Nel sistema di Boulainvilliers confluiva quindi un atteggiamento

storiografico che abbracciava quasi due secoli di polemiche e dibattiti, per questo motivo il suo

pensiero per così dire "germanistico” riusciva ad avere una presa maggiore sulla storiografia

settecentesca e, in parte, ottocentesca. La sua tesi fondamentale, in particolare, penetra nella

posterità attraverso l'opera di Montesquieu, il quale, aveva inizialmente accettato in pieno anche le

affermazioni estreme di Boulainvilliers a proposito del totale asservimento della popolazione gallo-

romana ad opera dei franchi; successivamente, però, ne Lo Spirito delle leggi, dopo aver letto

l'opera di Du Bos, aveva attenuato il suo giudizio, rifiutando la teoria dell'asservimento,

ciononostante continuava a confutare il sistema romanista di Du Bos. Dopo Montesquieu,

Robertson tracciava un quadro generale della società europea, insistendo sul "cambiamento

totale", verificatosi tra il IV e il V secolo ad opera dei germani e sul naufragio della antica civiltà. A

rimanere dominante era quindi ancora l'idea di un crollo totale del vecchio sistema politico-sociale,

al quale seguì la nascita di nazioni le quali, pur accettando alcune leggi del mondo romano,

rappresentavano nel complesso un organismo del tutto nuovo.

A queste considerazioni di natura ancora sostanzialmente politica, che alla stregua di

Montesquieu, continuavano ad addurre come causa della rovina dell’impero il crollo dei suoi

ordinamenti militari e il venir meno delle virtù guerriere dei suoi cittadini, si aggiunse però un nuovo

elemento che traspare in Voltaire, il quale è lontano dal compiacersi della libertà dei Sassoni e dei

franchi, ma al contrario sottolinea il proprio disdegno per le barbarie, la rozzezza dei popoli che

avevano distrutto una grande civiltà: emerge quindi un giudizio non più politico e positivo, bensì

culturale e negativo. Nel sistema culturale di Voltaire, inoltre, confluiva, oltre alla tradizione del

distacco netto tra romanità e medioevo, un'altra tradizione, quella artistica-letteraria dell'Italia del

Rinascimento che contrapponeva l'ideale e la bellezza culturale di Roma antica alla rozzezza

medievale. Questa tradizione ben radicata poneva dunque, nella discussione sulla "catastrofe del

V secolo", accanto all'elemento politico-giuridico, l'elemento culturale; inoltre implicava considerare

più attentamente, accanto al fattore "Germani" il fattore "cristianesimo" fra le cause della catastrofe

stessa. Non a caso, nei Commentarii di Lorenzo Ghiberti la rovina della pittura, della scultura e di

ogni senso artistico era ricondotta donna agli invasori germani, bensì al cristianesimo. Si trattava di

una interpretazione notevole in quanto vi era già accennato un motivo che sarà ripreso anche al di

fuori della storiografia dell'arte, rendendo più complessa la questione relativa al crollo del mondo

antico. Anche nello stesso Voltaire si ha una valutazione negativa della religione cristiana

considerata la vera causa non solo della catastrofe, ma anche del periodo buio e decadente che

seguì ad essa. E anche lo stesso Gibbon, un credente tormentato quindi uno spirito molto diverso

da Voltaire, affermava che il cristianesimo era un problema centrale per comprendere la crisi

dell'impero romano. iIl quadro relativo alla rovina di Roma e all'inizio della medioevo fu pertanto

completato, adducendone la causa alle invasioni dei germani (rese possibili dall'indebolimento

militare dell'impero e dal venir meno delle virtù guerriere dei romani) e dal trionfo del cristianesimo;

come conseguenza si erano poi avuti nuovi ordinamenti politico-sociali e la barbarie culturale.

Proprio quest'ultimo preconcetto, quello della barbarie culturale, sussisterà con tenacia anche negli

studiosi del XIX secolo che più di tutti esalteranno l’epoca rinascimentale. Gli stessi entusiasmi dei

romantici per il medioevo e la stessa maggiore comprensione che, in seguito al rifiorire del

cattolicesimo Europa, si ebbe per la cattolicità essenziale del medioevo, non furono infatti

sufficienti a contrastare l'idea, estremamente radicata, della decadenza spirituale in età medievale,

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anche considerando che questi entusiasmi si rivolgono non alla prima fase del medioevo bensì alla

sua fase finale.

La forte resistenza di questa tradizione spiega anche l'influsso relativamente limitato, nonostante il

clamore iniziale, della Storia delle istituzioni politiche dell'antica Francia di Fustel de Coulanges, il

quale, riprendendo la tesi romanista di Du Bos, negava che i germani fossero stati tra di loro uniti,

anzi li descriveva come un popolo continuamente in lotta; sosteneva inoltre che i Germani nel IV e

V secolo erano diventati nemici di Roma solo quando non avevano potuto diventare suoi alleati e

soldati e infine affermava che non si ebbe alcun mutamento sostanziale, a parte la sostituzione di

una autorità con un'altra. Quest'opera ebbe dell'influsso limitato proprio perché insisteva ancora su

problemi politico-giuridici, sui quali si era fatto maggiormente leva per contrastare la teoria della

catastrofe. Rimanevano invece ancora oscuri il problema culturale e quello economico, che

saranno poi chiariti dalla storiografia contemporanea.

“L’inizio di un nuovo mondo”

Mentre la storiografia del Settecento nacque dalla convinzione che il corso della storia dell'umanità

fosse stato, tratti, interrotto bruscamente da catastrofe, la storiografia del novecento è al contrario

convinta che nel fluire degli eventi si possano ritrovare tutti gli anelli di una catena ininterrotta che è

appunto la storia dell'umanità. L’esigenza dello storico diventa quindi quella di scorgere, al di là dei

singoli quadri, il quadro complessivo, cioè di scorgere, al di sopra delle singole forme di civil

Dettagli
Publisher
A.A. 2011-2012
23 pagine
SSD Scienze politiche e sociali SPS/01 Filosofia politica

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Valja di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Teorie politiche e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Bari o del prof Chiantera Patricia.