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Si parla di primarietà ontologica della cura perché è l’aver cura che crea la possibilità dell’esserci; la
primarietà della cura si identifica nell’essere umano che ha bisogno di essere oggetto di cura (ricevere cura
significa sentirsi accolti dagli altri) e ha anche bisogno di essere soggetto di pratiche di cura (aver cura
significa coltivare quel tessuto di relazioni che sono la matrice del proprio essere nel mondo). La cura può
essere nominata come “fenomeno ontologico-esistenziale fondamentale” perché è il modo fondamentale
dell’essere di esserci, e come tale, determina ogni modo di essere. L’essere umano è presente, è aperto alla
possibilità di sviluppare il suo essere e il suo compito è quello ci curare o curarsi in relazione con il mondo.
L’esserci è sempre un trovarsi nel mondo e l’esserci non si trova compiuto, finito nel suo essere, ma deve
divenire il suo essere proprio. La cura costituisce un’apriorità esistenziale, nel senso che viene prima di ogni
altra situazione dell’esserci in quanto peculiare struttura d’essere dell’ente, poiché sono i modi della cura che
scolpiscono la nostra esistenza. Il tipo di forme che prende la vita è in stretta connessione con il tipo di cura
di cui facciamo esperienza. La qualità della condizione umana è quella di essere vincolata alla terra: essere
uomo significa essere sulle terra e la relazione con essa si definisce come abitare ,di cui il tratto
fondamentale è la cura; c’è un abitare che si attualizza nel costruire, e un abitare indifferente alle cose e agli
altri e l’incuria è negazione della direzione esistenziale; l’esserci come abitare e costruire è quell’abitare che
accade secondo il modo dell’aver cura delle cose e degli altri sulla terra in relazione al divino. Esistere
secondo il modo anonimo prevalente significa esistere secondo un modo dove il poter essere è già deciso; la
coscienza, che dà a conoscere la possibilità dell’autenticità, si rivela come chiamata che richiama l’esserci al
suo proprio esserci e ascoltare la chiamata a scegliere di scegliere significa scegliere di essere il proprio sé
stesso autentico e ad aver cura del proprio divenire. Sapere che la chiamata accade nella relazione significa
uscire dallo scacco dell’isolamento atomistico, che fa temere la possibilità che la chiamata non risvegli
l’anima visto che emerge da un fenomeno del contesto intersoggettivo; la chiamata alla cura si può concepire
come il cercare forma nella vita come peso del vivere o desiderio di trascendenza. La cura come affanno
oltre che avere pensiero per qualcosa, significa inquietudine e affanno anche in senso positivo; con il termine
“cura” si indica quell’inaggirabile modo di abitare il mondo che chiama l’essere umano alla responsabilità di
scegliere tra possibilità differenti, senza possedere conoscenza degli esiti di tale scelta. Lasciare che il tempo
prenda forma indipendentemente da un progetto di vita è un modo di essere inautentico; stare
nell’inautenticità è il mancare di rispondere alla chiamata di dare forma intenzionale al proprio essere.
Quando invece ci si comporta assumendo la responsabilità di dare consistenza attuativa, con un aver cura che
si muove nell’ordine della trascendenza e dell’esistenza, si ha un rapporto di autenticità con il tempo:
l’esistenza diventa in tempo vivo. Il desiderio si rispecchia nel rapporto etico ed estetico con il primo tempo,
cercando direzioni di senso capaci di inverare la vita: la contrapposizione tra paura d’essere e fiducia nella
vita come passione per l’arte di vivere, è essenziale per coltivare il desiderio di esistere, di esserci nella
propria qualità unica e singolare, custodirlo e nutrirlo. La ragione d’essere dell’educazione è il coltivare nel
soggetto educativo la passione per la cura di sé, ossi accompagnandolo nel processo di costruzione degli
strumenti cognitivi ed emotivi necessari a tracciare con autonomia e passione il proprio cammino
dell’esistenza, così da aver cura di ogni giorno della vita. Socrate assume come concetto paradigmatico della
sua filosofia pedagogica, il concetto di cura come epimeleia, che interpreta la cura come risposta al desiderio
di trascendenza e il concetto dell’aver cura è fondamentale per definire l’essenza dell’educare, quando si
lavora sull’etimologia della parola “educare”, si tende a ricondurla al significato di tirar fuori, ma significa
anche allevare, alimentare, nutrire, curare; se si considera la parola cultura come coltivare, prendersi cura, si
capisce che c’è una stretta connessione tra cura ed educazione, di conseguenza assegna alla pratica dell’aver
cura un ruolo basilare nella cultura. Una cultura che riscopre il valore della cura assume una nuova visione
del processo formativo, e l’aver cura diventa la primaria direzione di senso; è in questa direzione che diventa
necessario elaborare una teoria di quella che si può definire come una buona pratica dell’aver cura.
Cap.3_RICONOSCIMENTO SIMBOLICO DELLA CURA
“Cura” è usato per indicare indifferentemente le pratiche di cura e il fornire terapie, ma in educazione come
si configura una buona pratica di cura? Cosa è essenziale? -La cura è una pratica che implica precise
disposizioni (pensieri ed emozioni) e che mira a precisare le finalità; per soddisfare i bisogni altrui è
necessario un investimento di tempo ed energia che rende la cura, una pratica, essendo un’attività orientata
all’altro per procurare beneficio. Nel suo significato più generale, la cura educativa è finalizzata a mettere
l’altro nelle condizioni di provvedere a sé stesso, ai suoi bisogni e al suo benessere. Per attualizzarsi la cura
necessita che chi ha cura e chi riceve cura, comunichino e interagiscano l’uno con l’altro; è difficile stabilire
confini tra attività di cura e non cura, perché la cura potrebbe essere indirizzata verso una pluralità di
soggetti, ma la pratica di cura si realizza necessariamente in una relazione diadica. Secondo l’affermazione di
Mayeroff si può dire che la cura crea la possibilità dell’esserci: il suo scopo è quello di promuovere il pieno
fiorire dell’altro; per questo l’aver cura implica l’assumere gli interessi e i bisogni dell’altro come basa per
l’azione. Dare forma a una relazione di cura significa assumere la possibilità d’essere dell’altro come
possibilità d’essere per sé stessi: nel suo senso più significativo, è aiutare a crescere e ad attualizzare sé
stessi. C’è una cura che preserva la vita da quanto la minaccia, quella che la ripara quando si creano fessure
di sofferenza e quella che la fa fiorire offrendo all’altro una pluralità di esperienze da cui può divenire il suo
essere; concettualizzare la cura come pratica che facilita il fiorire dell’essere, significa dirne tutte le
potenzialità ontogenetiche, ma anche tutte le problematicità. Una prativa di cura deve essere sostenuta da una
politica della cura, ovvero l’impegno a coltivare quelle relazioni che possono contribuire alla costruzione di
un contesto favorevole ai principi di cura, ed è quindi importante tessere relazioni con altre persone e dare
corpo ad azioni simboliche capaci di mostrare il valore della cura. 1_prendersi cura e aver cura: ci si prende
cura degli oggetti e si ha cura dei soggetti. La cura avviene sempre in una relazione che ci connette con il
mondo, ma la differenza fondamentale tra il prendersi cura delle cose utilizzabili e l’aver cura degli altri è
che la relazione con le persone è un “essere-con”, condivisa con una “cura-per”. La direzione autentica della
cura è il lasciar essere le cose e gli altri nella loro essenza; l’interpretazione inautentica prevede il rapportarsi
con gli altri secondo la logica della prensione.2_necessità e trascendenza: ci sono due differenti condizioni
esistenziali, quella del doversi preoccupare come obbligo e quella della possibilità di dedizione per dare
forma, ed è importante sul piano pedagogico individuare l’essenza della relazione educativa autentica.
Merimna è il lavoro del vivere connesso alla fatica del soddisfare le esigenze dell’esistenza. L’epimeleia è la
cura come sollecitudine, attenzione, occupazione, ed è ciò che deve includere una buone relazione di cura
come premura verso l’altro. 3_occuparsi e preoccuparsi: l’occuparsi è il procurare cose necessarie senza
sentirsi coinvolti sul piano soggettivo, il preoccuparsi è l’investimento personale sul piano del pensiero ed
emotivo, con devozione, percependo l’altro come qualcosa di sacro che fa essere responsivo con gratuità di
fronte alla necessità di aiuto che manifesta. La devozione è l’attenzione attiva ad agire con responsabilità,
agendo come fosse una necessità, e con ricettività, concentrandosi sull’altro; la premura è il prendersi a cuore
con un’attenzione intensiva, cioè con una dislocazione cognitiva e affettiva concentrata sull’altro. 4_cure e
care: la pratica dell’aver cura assume diverse forme a seconda dell’intenzione che la muove; la cure ripristina
lo stato di salute, con una direzione di senso e progettualità alla propria vita, mentre alla care sono associate
azioni come il monitorare, il proteggere, dedicare per facilitare il fiorire della vita. 5_relazioni simmetriche e
asimmetriche: nella simmetria c’è reciprocità nella cura, entrambi i soggetti della relazione hanno la
responsabilità della cura, nell’asimmetria la responsabilità della cura è assunta solo da chi-ha-cura perché ha
una posizione ben definita da chi-riceve-cura. Occorre considerare che quando ci si prende cura di una
persona, per l’educatore si traduce in una forma di potere; solo riconoscendo e accettando la realtà si può
agire efficacemente, dando importanza alla reciprocità: chi-riceve-cura offre sempre un feedback anche se
non intenzionale. 6_gratuità e retribuzione: la gratuità agisce secondo il principio del senso di responsabilità
per altri con un investimento affettivo rivolto a volere il bene dell’altro che è diverso da voler bene all’altro e
rivolto al guadagno d’essere che c’è sempre nel lavoro di cura; la cura può essere un servizio ed eseguire
delle attività così come è richiesto da un’organizzazione o da una legge, oppure può esser