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ALLA RADICE DEL DISVALORE
Lo scarso riconoscimento simbolico della cura si spiega con il fatto che il termine cura è associato con l’universo
femminile e il femminile è stato a lungo soggetto a una pesante valorizzazione, che trova legittimazione nei dualismi
che strutturano l’impianto del paradigma di pensiero prevalente in Occidente.
Dualismi concettuali radicalmente oppositivi: ragione/emozione, mente/corpo, materia/spirito, pubblico/privato. Solo
a un polo di ciascun dualismo è riconosciuto valore (ragione, mente spirito, pubblico), mentre l’altro è svalutato a cosa
di poco conto.
La polarità negativa viene identificata con il femminile, e con il femminile viene identificata la cura, la quale viene così
gravata di quella pesante svalorizzazione che patisce tutto ciò che è considerato in relazione al mondo delle donne.
Su questo dualismo si fondano l’allocazione del maschile nella sfera del pubblico, luogo in cui si genera cultura, e il
confinamento del femminile nel privato, contesto della cura.
Il binomio femminile-cura è stato interpretato con la vocazione materna.
Nel mito della cura oblativa come modo d’essere della donna vita come madre ha giocato un ruolo determinante la
riflessione roussiniana: la codificazione del femminile nella funzione materna e la concezione di questa funzione come
un presiedere alla sfera dei sentimenti.
Un altro paradigma che ha giocato un ruolo decisivo nella definizione del femminile è stato l’affresco bachifeniano del
mondo patriarcale: la donna è vista come madre, che dallo svolgere funzione materna apprende a sviluppare i sentimenti
di dedizione e di cura.
Secondo la visione biologistica della cura la donna realizzerebbe la sua umanità solo se si impegna in azioni di cura,
mentre per il principio della situazionalità culturale le donne si occupano di cura più degli uomini perché sarebbe il
costume sociale che le porta a occuparsi dei bambini e in genere di chi ha bisogno di cure.
Secondo la teoria esperienziale i figli maschi costruiscono la loro identità separandosi dalla figura femminile che li ha
allevati mentre le figlie crescono identificandosi con la madre.
Non è quindi corretto limitare l’aver cura entra una precisa sfera biologica perché per tutti la cura è una esperienza
esistenziale primaria. Rimane il fatto che l’immaginario occidentale identifica la donna con il materno, connota il
materno come oblativo e quindi confina il materno nel privato, rendendo la donna subalterna al mondo maschile
Il pensiero femminile ha evitato a lungo di parlare della cura per il rischio di annullare tutte le conquiste più recenti del
mondo femminile.
LA MATERIALITA’ DELLA CURA
Un’altra ragione che spiega la valutazione simbolica cui è sottoposta la cura consiste nel fatto che a identificare il
mondo della cura sono in genere le attività di accudimento dei bambini, di assistenza alle persone con handicap e agli
anziani: è centrale l’aver cura del corpo.
L’aver cura sarebbe concettualizzato come una pratica che tiene il caregiver, chi fa lavoro di cura, in connessione con la
materialità della vita.
Noi ci nutriamo di un pensiero che ha stabilito che il corpo è la prigione dell’anima e che solo l’anima costituisce
l’essenza dell’essere umano, ma la vita fisica è costitutiva dell’esistenza umana dal momento che l’esserci è incarnato .
Libertà e materialità sono inseparabili: una buona qualità della vita implica non solo una buona qualità della vita
spirituale, di quella sociale e di quella politica, ma anche una buona qualità della vita corporea. Di conseguenza le
pratiche di cura del corpo necessitano di un adeguato riconoscimento simbolico. È nella mente che si realizza il dialogo
della mente con sé stessa e con cui si attualizza l’essenza umana. Quindi la cura della mente è ontologicamente
essenziale.
Questo discorso che ha come oggetto il corpo non riduce l’importanza della cura della vita della mente (intelletto,
spirito e cuore).
3.DALLA SOTTO-TEORIZZAZIONE AL RICONOSCIMENTO SIMBOLICO
Se la cura non trova riconoscimento simbolico, la prima operazione da compiere è portarla al centro del discorso e
consentirle di uscire dalla sua attuale condizione di scarsa teorizzazione.
Il concetto di cura è una di quelle parole rimaste a lungo poco pensate, per questo nella nostra cultura la cura è qualcosa
di molto vago, amorfo. È necessario quindi avviare un analisi concettuale quanto più possibile accurata.
La cura può essere agita in contesti pubblici o privati, può essere retribuita o meno, può essere procurata in modo
formale o informale, ecc.
Ogni ricerca nasce da una domanda; una volta deciso che la pratica educativa può essere interpretata come pratica di
cura, la domanda generativa che si pone è la seguente: come si configura una buona pratica di cura in educazione?
Il primo passo consiste nel costruire una mappa dei significati del termine “cura” che risultano essere i più accreditati
nella letteratura, per procedere in un secondo momento a una concettualizzazione dell'essenza di una buona pratica di
cura.
Ciò che guida l'analisi è l'intenzione di capire cos'è essenziale nella pratica di cura.
CHE COS'E' LA CURA?
La cura si profila nei termini di una pratica, di un agire che implica precise disposizioni e che mira a precise finalità.
Significa prendere le distanze dal concepire la cura come un principio o come uno stato emotivo.
Parlare di pratica significa concepire la cura come un'azione in cui prendono forma pensieri ed emozioni, interrelati e
orientati verso una precisa finalità.
Bubeck afferma che la cura è un'attività o pratica la cui caratteristica è quella di soddisfare i bisogni di altri; a questo
scopo è necessario un investimento di tempo e di energia ed è tale investimento che fa della cura una pratica. Proprio in
quanto teso a trovare una risposta ai bisogni dell'altro, il lavoro di cura può essere definito come un'attività orientata
all'altro e a ciò che all'altro procura beneficio.
Risulta riduttivo concepirla in questo modo perchè implica che l'altro sia sempre in una situazione di dipendenza da chi
ha cura.
Il fine della cura educativa, invece, è quello di mettere l'altro nelle condizioni di provvedere da sé ai propri bisogni,
rendendolo capace sia di azioni cognitive sia di azioni concrete.
La cura è quindi orientata a promuovere la capacità di aver cura di sé, per essere in grado a propria volta di costruirsi
come persone capaci di pratiche di cura per gli altri.
La cura può essere definita una pratica che mira a procurare benessere dell'altro e a metterlo nelle condizioni di decidere
e di provvedere da sé al proprio benessere.
Cura come necessità universale della condizione umana: la cura costituisce una risposta necessaria a una condizione
di forte dipendenza da altri;
Cura come necessità per coltivare ogni aspetto della vita umana: sia quello corporeo sia quelli immateriali, cioè la
vita cognitiva, emotiva e spirituale, cioè quella della mente.
Bubeck individua fra la cura e le altre attività una differenza fondamentale: mentre gli altri lavori sono soggetti alla
logica del progresso fondato sull'evoluzione tecnologica, il lavoro di cura è rimasto lo stesso nel corso del tempo.
Qualora manchi del contatto relazionale fra i soggetti, qualsiasi pratica che vuole essere di cura di fatto cessa di esserlo,
dal momento che la cura nella sua essenza è relazione.
La cura richiede tempo, è dare tempo all'altro.
Per attualizzarsi la cura necessita che chi ha cura e chi riceve cura comunichino e interagiscano l'uno con l'altro e che in
questa interazione chi ha cura eserciti le qualità distintive dell'essere umano.
Fischer e Tronto suggeriscono che la cura sia considerata un tipo di attività che include ogni cosa che noi facciamo per
conservare, preservare e riparare il nostro mondo così che possiamo vivere in esso nel miglior modo possibile.
Si può indirizzare la cura verso una pluralità di soggetti , ma la pratica di cura si realizza necessariamente in una
relazione diadica, perchè chi ha cura non può che aver cura di ogni persona nella sua unicità. Ogni essere umano ha un
profilo unico e singolare di cui occorre tener conto se si vuole creare un'autentica relazione di cura.
Mayeroff afferma che la cura è sempre aver cura di un'altra persona e questo aver cura nel suo senso più significativo, è
aiutarla a crescere e ad attualizzare se stessa.
È la cura a creare le possibilità dell'esserci: il suo scopo è quello di promuovere il pieno fiorire dell'altro. Per questo
l'aver cura implica l'assumere gli interessi e i bisogni dell'altro come base per l'azione. Al centro quindi viene posto
l'altro perchè solo in questo modo anche chi ha cura trova la propria autorealizzazione.
Noddings afferma che dare forma a una relazione di cura significa assumere le possibilità d'essere dell'altro come
possibilità d'essere per noi stessi perchè la nostra motivazione a impegnarci nella cura consiste nel promuovere il
benessere, la protezione e la crescita piena di chi riceve cura.
Secondo la Groenhout affinchè si possa dichiarare di essere in presenza di una pratica di cura è necessario che ci sia una
persona intenzionalmente e chiaramente impegnata a promuovere il benessere di un'altra persona.
La direzione di senso che orienta chi si impegna nelle pratiche di cura è promuovere il benessere, la protezione e la
valorizzazione di chi riceve cura in tutti gli aspetti della sua persona.
C'è dunque una cura che preserva la vita da quanto la minaccia, quella che la ripara quando si creano fessure di
sofferenza e quella che la fa fiorire, offrendo all'altro esperienze in cui poter vivere una pluralità di differenti modi del
divenire il proprio essere.
L'espressione divenire se stessi, o divenire il proprio poter essere va interpretata nello spazio ermeneutico aperto
dall'ontologia relazionale, dove assume il significato di chiamare l'altro a disegnare il profilo unico e singolare del
proprio essere.
Mayeroff afferma che il modo di crescere dell'altro è strettamente connesso al mio proprio senso di benessere.
Secondo Daryl Koehn le azioni di cura cono quelle in cui chi ha cura mostra un interesse attivo nel prestare attenzione
ai bisogni, ai sentimenti e agli interessi di chi riceve cura considerato nella sua individualità.
Per essere efficace una pratica di cura deve essere sostenuta da un