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Se si analizza la parola educare si tende a farla risalire al latino educere che significa
trarre alla luce mentre è più corretto ricondurla a educare che significa allevare, nutrire e
curare.
La parola cultura invece deriva da colere che vuol dire coltivare e prendersi cura.
Di recente il lessico pedagogico ha subito un’ulteriore modificazione a causa della
concezione delle istituzioni educative in termini di aziende dove il soggetto da educare
diventa cliente e dove domina la mentalità utilitaristica che assoggetta la cultura della
formazione a un modo di ragionare mercantile.
Le scuole che meglio funzionano sono quelle dove docenti sanno aver cura degli allievi
anche se questo elemento spesso viene sottovalutato e non valorizzato.
La svalorizzazione della culturale
La cura occupa gran parte della nostra vita, sia in termini passivi che in termini attivi, ma
ad essa non si presta una giusta attenzione.
Bubeck → ipotizza che la cura non abbia avuto una valorizzazione adeguata perché i
soggetti sociali che se ne occupano sono per lo più invisibili e soprattutto donne. Le cure
sono associate alle donne che a lungo sono state svalutate e non adeguatamente
retribuite.
Tronto → ritiene che la cura come attività svalutata è qualcosa che riguarderebbe non le
donne in generale, ma solo certe categorie di donne appartenenti alle classi sociali e alle
etnie più svantaggiate. Quindi la costrizione alla cura costituirebbe non un fenomeno di
genere, ma un fenomeno legato alla struttura socioeconomica della società.
Secondo loro coloro che si occupano delle cure si collocano nei posti più bassi della scala
sociale e nella retribuzione economica mentre chi occupa i posti più alti e riceve
retribuzioni elevate quasi finge di non aver necessitato di cure.
Impossibile che qualcuno non abbia avuto bisogno di cure in quanto è solo in questo modo
che si realizza il proprio poter essere.
Anzi si può dire che proprio le persone che rivestono ruoli più importanti nella società
hanno avuto le cure migliori perché è proprio ciò che gli ha permesso di sviluppare simili
capacità
Kittay e Nussbaum → dove ci sono situazioni di estrema dipendenza:
-Bambini
-Disabili
-Anziani
sono le donne che se ne fanno carico in maniera molto maggiore rispetto agli uomini infatti
sono proprio loro che sono disposte ad accettare lavori part-time o addirittura a non
lavorare affatto. Ciò le mette in una situazione di fragilità e di grande vulnerabilità.
Solo a partire dagli anni Settanta il concetto di cura ha iniziato ad essere analizzato dalle
Scienze Sociali
Alla radice del disvalore delle pratiche di cura → Nella nostra cultura ha prevalso
l’immagine del soggetto maschile come essere razionale contrapposto all’immagine del
soggetto femminile come essere emotivo e quindi irrazionale. L’uomo viene collocato nella
sfera del pubblico mentre la donna in quella del privato e quindi strettamente legata al
prendersi cura.
Il binomio femminile-cura ha acquistato peso in quando la donna, capace di dare la vita,
viene considerata biologicamente portata al prendersi cura degli esseri vulnerabili rispetto
all’uomo che invece non ha questo ruolo.
Nel processo della costruzione di questo mito sono entrati in gioco vari elementi tra cui:
Riflessione di Rousseau sul ruolo della donna
• Affresco bachofeniano del mondo patriarcale → la donna viene vista
• essenzialmente come madre
Tendenza a naturalizzare la cura e cioè a legarla biologicamente alla donna
•
In realtà il concetto di prendersi cura può essere adempito perfettamente anche dagli
uomini in quanto la cura è esperienza esistenziale primaria e irrinunciabile
La materialità della cura → C’è un’altra ragione che spiega la svalutazione dell’aver cura e
cioè che in tutte le pratiche di cura è fondamentale prendersi cura del corpo, ma nella
nostra cultura il corpo è giudicato in modo negativo e viene considerato la prigione
dell’anima. Si tende a pensare che l’uomo è solo spirito, ma il realtà il corpo è essenziale
perché senza di esso non esisteremmo.
Per avere una buona qualità di vita totale bisogna salvaguardare sia l’aspetto spirituale
che quello corporeo perché libertà e materialità sono due aspetti inseparabili della vita
Dalla sotto-teorizzazione al riconoscimento simbolico
Se la cura non trova riconoscimento simbolico allora la prima cosa da fare è portarla al
centro del discorso e permetterle di uscire dalla sua condizione di svalorizzazione.
Per la nostra cultura la parola cura è qualcosa di vago, che ha numerose accezioni e che
si riferisce a diverse attività che avvengono in vari contesti, non è facile darle una
definizione
Che cos’è la cura? →
→ Bubeck → afferma che la cura ha come scopo il soddisfare i bisogni degli altri e per
questo motivo è necessario investire tempo ed impegno. Il lavoro di cura può essere
definito come un’attività orientata all’altro e a ciò che all’altro procura beneficio.
Però risulta deduttivo concepirla come una pratica che troverebbe il suo senso unicamente
nel soddisfare i bisogni perché ciò implicherebbe una dipendenza continua da parte di chi
riceve le cure verso chi gliele dà. Esiste una cura invece, quella educativa, che ha come
fine quello di mettere l’altro nella condizione di provvedere da sé ai suoi bisogni quindi che
lo rende autonomo e capace di offrire cure agli altri.
Nel corso della vita tutti gli esseri umani vivono momenti in cui hanno bisogno di cure, è
impossibile che ciò non accada e per questo possiamo affermare che la cura è universale.
Bubeck individua tra l’attività di cura e le altre attività dell’uomo una differenza sostanziale
→ il lavoro di cura non si evolve in senso tecnologico, è rimasto lo stesso di sempre infatti
è uno dei pochissimi campi d’azione dell’essere umano dove non è assolutamente
possibile applicare la tecnologia infatti è impensabile l’idea di affidare bambini e anziani a
strumenti meccanici ed informatici. L’uomo si nutre di relazioni e se manca il contatto
relazionale non può esserci neanche azione di cura
→ Noddings → afferma che dare forma a una relazione di cura significa assumere le
possibilità d’essere dell’altro come possibilità d’essere per noi stessi
Possiamo affermare che c’è una cura che preserva la vita dalle cose che la minacciano,
una cura che ripara quando si crea sofferenza e una cura che fa fiorire dando all’altro
esperienze di cui può vivere diversi modi per sviluppare il proprio essere.
→ Mayeroff → ha una visione di diventare se stesso diverso da quella platonica che si
basava sul fatto che l’educazione non facesse altro che far emergere ciò che già era
predefinito. Egli, al contrario, ritiene che l’educazione possa disegnare un profilo unico
della persona e che ciò accade nella rete di relazioni.
Analisi concettuale della cura → Il fenomeno della cura è molto complesso da analizzare
ed è possibile farlo in base a questi parametri:
1. L’oggetto cui si dirige: la cura si rivolge all’altro in ogni contesto e in ogni sua forma
e si basa sulla relazione tra esseri umani, senza relazione non può neanche esserci
cura.
Heidegger parla di due modi costitutivi dell’attività di cura:
-Prendersi cura: non parliamo di una cura autentica, ma di una cura inautentica
dove ci si rapporta con gli altri secondo la logica del controllo e della manipolazione
-Aver cura: ci si prende cura di altre persone con il fine di conservare il loro essere
e di coltivarlo
2. La direzione o lo scopo che la muove: Heidgger ci parla anche di cura come
merimna e cura come epimeleia.
-Cura merimna → cura come pena e affanno che spinge l’uomo a dover far fronte a
una situazione problematica
-Cura epimeleia → cura come sollecitudine e premura rispetto al proprio divenire
possibile e a quello degli altri.
Il compito dell’uomo è quello di trovare la giusta misura della cura intesa come
affanno di procurarsi il necessario perché solo quando l’anima non si lascia
prendere dell’angoscia può germogliare
3. Atteggiamento relazionale che la sostiene-→ occuparsi e preoccuparsi → questi
sono i due modi appartenenti a chi si prende cura di qualcuno.
- Occuparsi → è il procurare cose necessarie a conservare, riparare, promuovere la
qualità della vita senza un investimento personale. L’occuparsi è un agire neutro
dove chi svolge la pratica di cura non si mette in gioco sul piano soggettivo. C’è
anche un modo negativo di occuparsi che corrisponde nel trattare l’altro come un
oggetto.
- Preoccuparsi → è un prendersi a cuore. L’altro entra nei tuoi pensieri e ciò
comporta un grandissimo investimento personale ed emotivo per via del
coinvolgimento affettivo. Il prendersi a cuore può essere interpretato come un avere
premura, ma anche come devozione che si fonda sul pensare che l’altro sia sacro
4. La ragione generativa della responsabilità di cura → cure e care → la pratica della
cura assume forme differenti a seconda dell’ intenzione di chi la guida.
- Cure → Cura destinata ai malati, agli anziani non autonomi e alle persone con
disabilità. La cura viene concettualizzata come accudimento e come il tentare di
ripristinare lo stato di salute e riparare
- Care → la cura mira a promuovere il pieno fiorire dell’umano ed è concettualizzata
come pratica che punta a proteggere e a dedicare attenzione
5. La qualità della relazione → relazioni asimmetriche e relazioni simmetriche → le
relazioni sono alla base delle azioni di cura.
-Relazione è simmetrica → quando la responsabilità della cura è suddivisa
equamente in entrambi i soggetti della relazione. Ciò avviene in caso di amici e
coniugi
- Relazione è asimmetrica → quando la responsabilità di cura si trova nelle mani di
una sola persona e quindi non c’è reciprocità intenzionale
6. Il tipo di riconoscimento di cui necessita la cura → gratuità e retribuzione → la cura
può assumere tratti di una pratica gratuita quando si agisce secondo il principio di
responsabilità verso gli altri mentre diventa lavoro retribuito quando si agisce
all’interno di organizzazioni. Esiste un lavoro di cura che ha bisogno solo di un
riconoscimento simbolico ed &e