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7. LA CULTURA LOMBARDA E LA LETTERATURA ITALIANA

5e il compito che ci è stato assegnato è di abbozzare in profilo della cultura lombarda, sarà

necessario, in via preliminare, ridurne l’assunto al tracciato della cultura di un unico centro: diciamo

Milano. Perché a dire Lombardia, ci sarebbe da fare posto a Bergamo, a Cremona, a Mantova ecc..

D’altra parte è anche vero che, dalla fine della dominazione spagnola circa fino all’unità italiana e

oltre, cioè nell’epoca in cui la cultura milanese acquista una funzione d’avanguardia nel quadro della

vita intellettuale italiana, quando si dice Lombardia si dice Milano. Un secondo rilievo preliminare

riguarda la soluzione di continuità della fiorente letteratura espressa nella parlata milanese, la quale

dopo la seconda metà del Trecento riprende solo alla fine del Cinquecento, in chiave però di

divertimento accademico e in veste «facchinesca», mentre, per vederla tornare a più seri impegni e

riportarsi alla sua base urbana, si dovrà calare di un altro secolo, fino all’età del Maggi. Questa linea,

spezzata in coincidenza esatta con la fine dell’età comunale e l’instaurarsi della Signoria visconteo-

sforzesca, non senza gli strascichi delle guerre di predominio fra Francia e Spagna, mette in evidenza

lo stretto legname d’interdipendenza che unisce quella letteratura on la struttura « borghese » della

società lombarda. E quanto sì afferma della letteratura cosiddetta « dialettale » sarà da intendersi, dal

Seicento in poi, anche della letteratura in lingua. Giova porre mente alla posizione geografica della

Lombardia, che ne determina il suo aspetto “bifronte”: volto da una parte verso la Toscana, dall’altra

verso la Francia. Anche dopo l’unità italiana, le classi « alte » lombarde usavano mandare i loro figli i a

studiare nei collegi toscani, ma avevano fisso davanti agli occhi il modello della Francia, con la quale

intrattenevano i loro commerci più attivi. Penso, per un esempio, a Linati, alla sua educazione al

Cicognini di Prato e alle sue predilezioni letterarie, ai i tempi di Tribunale verde; e penso anche alla

presenza dei lombardi nelle riviste del ‘900 fiorentino, tra la “Voce” e “Solaria” o “Letteratura”. E così è

sempre stato, come si vede dall’inventario dei libri che costituivano la biblioteca degli Sforza e dei

Visconi nel ‘400, dove sono ugualmente attestati gli interessi per la cultura umanistica toscana e la

consuetudine con la tradizione d’oc e d’oil: una coesistenza che circa un secolo dopo si lascia

sorprendere i uno scrittore come il Fregoso, il cui poema La cerva bianca mostra l’adattarsi della

cultura milanese nel gusto di quella linea allegorico-dottrinaria. Meraviglia però che il corso delle

lettere non sia per nulla all’altezza di quello delle arti figurative, che conoscono allora un’epoca di non

comune splendore. Ma difficilmente si sarà in grado di revocare in dubbio il giudizio che ne ha

espresso il Garin nel suo più recente bilancio generale, che, cioè, , gli studia humanitas alla corte

viscontea-sforzesca, furono volti da scuola dì vita a funzione ornamentale di ricchi e di potenti. Ne è

una riprova eloquente, fuori dal territorio più specificamente ino, la poesia cortigiana che alla fine del

Quattrocento illustra la a corte del Moro: non soltanto i vari 1 Piattino Piatti, Lancino Curti, e così vìa, o

l’incontinente Bellincioni, trasmigrato dalla rarefatta temperie della cultura medicea, ma lo stesso

Niccolò la Correggio, Gasparo Viscontl cultore di un petrarchismo aristocraticamente contaminato con

i moduli dì un persistente j gusto gotico-internazionale, il cui canzoniere, può essere assunto a

testimonianza emblematica del nobile decoro a cui tende tutta la cultura circostante. Sarà pur

necessario riconoscere la serietà con cui furono vissute e partecipate le proposte della prestigiosa

cultura toscana, rispetto alla quale Milano non era insomma in posizione diversa da qualsiasi altro

centro italiano o europeo. Così che il Salvioni, fin dalle premesse della sua giovanile Fonetica, da un

lato era costretto a rilevare, come si e visto, che tra i Volgari dì Bonvesin e i Grotteschi del Lomazzo si

stende, un « silenzio tre volte secolare » dall’altro volendo spiegarsi la mancata continuità fra dialetto

milanese antico e dialetto moderno, acutamente già ne faceva risalire le cause all’interferenza del

latino e alla simbiosi dell’italiano con base toscana. E se e vero che m quell’intervallo trisecolare «

ebbe sua elaborazione e compimento il milanese moderno è altresì vero che in quello stesso periodo

si posero le premesse essenziali per gli sviluppi successivi, in senso ormai « italiano », cioè unitario,

della cultura lombarda: così da potersi ben dire, come è stato detto, che la Lombardia, la quale era

stata nel Cinquecento fra le regioni più restie e disinteressante al rinnovamento letterario italiano

fosse, poi, all’altezza della prima cultura arcadica e soprattutto nel Setteccento fra le più alacri al

recupero e all’illustrazione della storia letteraria italiana e della eredità cinquecentesca in ispecie: anzi,

se ne facesse, nello scontro con la cultura di Francia, campione sostenitrice in campo aperto.

Significativo è, in tale senso, il brusco revirement del giudizio della generazione del Muratori e del

Maffei nei confronti della lirica italiana del Maggi tolta dall’altare per mano dei suoi stessi ammiratori

non appena (vinta la battaglia con la tarda cultura barocca) fu palese che il vero fronte su cui la cultura

impegnata era chiamata a combattere era il fronte italo-francese; e in tale scontro, per la difesa da

una parte e lo smantellamento dall’altra del caposaldo di tutto un sistema di valori, la lirica italiana del

Maggi che fu oggetto di una nuova lettura, intesa a verificarne l’esemplarità, vale a dire la dignità di

essere assunta come modello da imitarsi. Bastò il sospetto che il Maggi fosse uno scrittore troppo

vicino ai gusti e alle posizioni teoretiche degli avversari francesi perché non se ne parlasse più: anzi,

noblesse oblige, parve la sua opera al Maffei prestarsi magnificamente a un’elegante dimostrazione

dell’impossibilità di ridurre la poesia a pensiero (come sostenevano i cartesiani d’oltralpe), Anche un

Muratori gettava presto molta acqua sui suoi giovanili ardori maggeschi e faceva proprie le

persuasioni del Maffei, le stesse da cui svolge l’opera del Parini, le premesse di tutta la sua poetica.

Se si intende bene il senso della posizione del Parini tra Arcadia e Illuminismo si dovrà anche dire che

le sue premesse sono appunto da ricercare dell’Arcadia antiarcadica dei Muratori e dei Maffei. Non si

sente il polso del classicismo del Parini se non se ne intende lo spirito agonistico, se cioè non si tiene

presente che la forza della sua replica alla tradizione classica sta tutta nella sua capacità di vivere un

rapporto nuovo con quella tradizione, e che per opporre alla tavola dei valori illuministici la tavola dei

valori umanistici, doveva tagliare innanzitutto i ponti col borioso classicismo accademico dei suoi

maestri di scuola e stabilire un colloquio diretto con gli autentici maestri del passato. Ribadiva, inoltre,

la non minore dignità della letteratura milanese rispetto a quella toscana, poiché della sua vantava il

vigore che le veniva dall’aderenza ai caratteri propri della gente da cui era nata, la sua sincerità

espressiva. Si pensi alla posizione dei Verri, del Beccaria e in genere di tutto il “Caffè”: posizione,

anche la loro, di radicale condanna del provincialismo toscano, non meno che del municipalismo

milanese, di cui combattevano i rappresentanti più autorevoli nel loro stessi padri, il che non impediva

loro l’idea di poesia sublime. Parini operava nella direzione di un vigoroso recupero dell’eredità

classica, gli scrittori del “Caffè guardavano invece alla Francia: non più vista da loro come una

minaccia alla civiltà delle lettere, ma come modello di una civiltà nuova, diversa e non estranea perché

vero prolungamento dell’ecumenica civiltà rinascimentale. Altrove non si sono date, o in misura

minore, le favorevoli condizioni che in lombardia consentirono alle nuove idee illuministiche di calarsi

nella realtà effettuale, di uscire dai libri per attuarsi in riforme radicali nell’assetto giuridico ed

economico della macchina dello stato e della vita sociale, e intraprese a introdurre nuove industrie e

nuove tecniche produttive. Condizioni che si possono riassuntivamente indicare da un lato

nell’impulso impresso alla Lombardia dall’illuminato governo di Maria Teresa e di Giuseppe II, dall’altro

nella possibilità, che fu da loro e concessa ai migliori ingegni bombardi, ddi collaudare, nell’esercizio di

responsabili funzioni di governo della cosa pubblica, le idee propugnate in sede teoretica e per

converso di elaborare speculativamente i dati della propria esperienza diretta. E soccorre alla mente il

corrucciato riserbo e l’orgoglioso silenzio del Panni che dopo il ^65 continua a lavorare al Giorno, ma

non ne pubblica un solo verso, sicché, nata come positiva correzione morale della società, nel mutato

rapporto con questa muta anche il valore stesso della sua opera. Quando il • poema a uscì, a cura del

Reina, nel 1801, la sua pubblicazione cadeva,, dopo gli eventi dell’89 3 anni seguenti, in una

situazione culturale radicalmente modificata, e tanto più favorevole: erano ormai vicini i tempi n cui il

problema di fondo della cultura lombarda sarebbe stato, in accordo con l’evoluzione della cultura

europea, il problema della conciliazione dialettica dei contrari: e questo fu il compito della generazione

romantica del 1816 e del gruppo del «Conciliatore», come dice oltre che il titolo, e il motto latino della

loro rivista, ìl sottotitolo di « Foglio scientifico-letterario ». Ancora una volta la battaglia si combatteva

su due diversi fronti, di portata diseguale. Quello che spesso finisce col richiamare su di sé

un’attenzione eccessiva, rispetto alla sua effettiva importanza, è il fronte interno, di liquidazione

dell’ala destra, o centro destra, dello schieramento d letterario, il fronte delle polemiche con gli

assertori di una classicità sclerotica, politicamente reazionaria, coi quali la sola arma valida era quella

del ridicolo che il Porta seppe usare come nessuno; le vicende ben altrimenti importanti dell’altro si

leggono, più segretamente, nel lavoro concreto degli

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A.A. 2014-2015
31 pagine
4 download
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-FIL-LET/10 Letteratura italiana

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher monica.des di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Letteratura italiana e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi Gabriele D'Annunzio di Chieti e Pescara o del prof Oliva Gianni.