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Prezzo
concorrenza mercato
Dunque, in un sistema autoequilibrante (la c.d. “mano invisibile”, espressione coniata da
Adam Smith) lo Stato deve assolutamente astenersi dall'intervenire nel campo
dell'economia, se non in rarissimi casi (per arginare i fallimenti del mercato e per
correggere una distribuzione del reddito eccessivamente iniqua). Dunque il principio
liberista del “lassez fair, lassez passer”, che per gli economisti classici era un
programma di politica economica da realizzare, per la scuola marginalista diventa un
dogma di fede.
La scuola neoclassica si sviluppa a partire dagli ultimi decenni del XIX secolo, grazie
anche agli strumenti matematici del calcolo infinitesimale, proponendosi di affrontare con
metodo rigorosamente scientifico i problemi dell'economia. Il pensiero neoclassico
dominerà incontrastato fino agli anni Trenta del Novecento quando, di fronte alla
catastrofe della Grande depressione, un gruppo di economisti inglesi, tra i quali spicca
John Maynard Keynes, lo metterà in discussione. La nascita del modello keynesiano,
tuttavia, non implica la scomparsa dell'approccio neoclassico, il quale giunge fino ai giorni
nostri e costituisce ancora oggi una delle principali correnti del pensiero economico
contemporaneo.
Secondo Lionel Robbins, uno degli esponenti di spicco dei neoclassici, l'economia è la
scienza che studia l'uso di mezzi scarsi per il raggiungimento di fini alternativi.
Tale definizione mostra con chiarezza la differenza tra l'economia neoclassica e le correnti
di pensiero che l'hanno preceduta: l'analisi neoclassica assume come proprio cardine il
concetto di scarsità, in antitesi a quello di riproducibilità, che aveva caratterizzato
l'economia classica.
Gli autori classici, infatti, (ricordiamo Adam Smith, David Ricardo e Thomas Malthus)
avevano sviluppato le loro teorie durante gli anni della prima e i primi anni della seconda
rivoluzione industriale (tra la seconda metà Settecento e la prima dell’Ottocento) e per tale
ragione si erano concentrati sui problemi della crescita e della distribuzione del reddito,
piuttosto che su quelli della scarsità delle risorse rispetto ai bisogni illimitati dell’uomo e
quindi della loro efficiente allocazione tra usi alternativi.
Ipotesi alla base della teoria neoclassica:
1. I mercati sono perfettamente concorrenziali, dunque le imprese sono
atomistiche: cioè sono così numerose e piccole e i consumatori sono così tanti che
sia consumatori che venditori accettano il prezzo di mercato così com’è (c.d.
“sistema del pricetaking” o “tatonnement”)
2. L’informazione è perfetta tra venditori e consumatori
3. I prodotti sono omogenei, cioè perfettamente scambiabili tra loro.
4. Piena libertà d’ingresso e di uscita, cioè non ci sono barriere.
Tutti e quattro queste ipotesi sono state, nelle realtà, confutate:
1- Il mercato capitalistico è caratterizzato da forte concentrazioni d’imprese, che
spesso si sono unite in grandi conglomerati in grado d’imporre il prezzo deciso
2- Se l’informazione è perfetta, come si spiegano gli infami fenomeni dell’insider
trading e dell’immoral azard?
3- L’uomo non è l’homo economicus che decide razionalmente in base alla
convenienza costi/benefici, ma le sue scelte sono influenzate anche e soprattutto da
fattori irrazionali e soggettivi (educazione, umore, cultura, ecc.) perciò non è affatto
indifferente scegliere tra un prodotto o un altro.
4- Esistono eccome le barriere (es: costi di fallimento, costi d’ingresso)
Teoria keynesiana : la condizione tipica del sistema economico non è il pieno
impiego dei fattori produttivi, come sostenevano i neoclassici, ma la sottoccupazione: la
domanda e le risorse disponibili sono inferiori all’offerta, c’è un eccesso di offerta poiché al
crescere del reddito i consumi crescono in maniera meno che proporzionale. Perciò,
bisogna che si effettuino investimenti che assorbiscano la differenza tra la produzione
totale e i consumi. Per far sì che il sistema raggiunga l’equilibrio, è necessario che si
verifichi l’uguaglianza tra investimenti e risparmio (investimenti = risparmio), attraverso
le variazioni di reddito e non il tasso d’interesse, come sostenevano i neoclassici. Ciò è
possibile solo mediante l’intervento dello Stato attraverso un aumento della spesa
pubblica: Aumento dei
Aumento spesa Aumento della Aumento
redditi e quindi
pubblica produzione occupazione
della domanda
Contesto storico: la crisi del ’29. La grande crisi che colpì l'America e gli altri paesi
occidentali tra il 1929 e il 1932 smentì le teorie della scuola classica ed in particolare la
teoria di Say, che riteneva che il sistema economico è autoequilibrante poiché l’offerta è
sempre in grado di controllare la domanda mediante il prezzo, perciò fenomeni di
scostamento dalla piena occupazione del lavoro e degli altri fattori produttivi erano da
considerarsi solo transitori, fasi di passaggio tra due situazioni di equilibrio.
L'incapacità della teoria neoclassica di spiegare in maniera coerente e accettabile il
fenomeno della disoccupazione di massa di quegli anni determina l'esigenza di elaborare
una nuova teoria, più coerente con quella realtà storica.
Tale compito venne assolto dal britannico John Maynard Keynes. Nella sua opera
principale, “Teoria generale dell'occupazione, dell'interesse e della moneta” (1936), Keynes
esamina le cause e i rimedi di quello che ritiene essere il principale fallimento del sistema
di mercato, di natura macroeconomica: la sottoutilizzazione delle risorse
disponibili, e in particolare della forza lavoro, cioè il non riuscire a dare un posto di
lavoro fisso a tutti coloro che lo desiderano.
Rovescia il principio fondamentale di tutta la tradizione precedente, la legge di Say, e la
sostituisce con il principio, diametralmente opposto, della domanda effettiva: l’offerta
di un’impresa trova un limite nella domanda proveniente da consumatori e altre imprese.
Se la produzione supera tale limite, si forma un eccesso di merci invendute che non trova
sbocco sui mercati e spinge le aziende a ridurre la propria attività con inevitabili
conseguenze sul numero degli occupati.
Quindi, per poter mantenere un determinato volume di occupazione e per raggiungere
l’eguaglianza tra risparmi e investimenti, sono necessarie nuove occasioni d’investimento.
Il volume di quest’ultime sarà determinato dall’efficienza marginale del capitale, cioè dal
saggio di ricavo che gli imprenditori pensano di ottenere, in raffronto al saggio d’interesse
che devono pagare per acquisire il capitale di finanziamento e, soprattutto, dalle
aspettative di guadagno futuro, che rappresentano la motivazione psicologica della
decisione di investire.
Quando vi è una perturbazione economica, spesso entrano in gioco fattori psicologici che
frenano la domanda e aumentano il risparmio, seppure il capitale presenti un costo (saggio
d’interesse) piuttosto basso. Per questo, Keynes, riteneva necessario l'intervento dello
Stato, il solo che, attraverso la spesa pubblica, sostituendo l’insufficiente domanda privata
con la domanda pubblica, può determinare un aumento del livello di occupazione e, di
conseguenza, un aumento dei redditi delle famiglie e, quindi, dei consumi.
Le imprese, di fronte all'aumento della domanda, avrebbero aumentato la produzione
creando così nuovi posti di lavoro e innescando un meccanismo di ripresa.
L'aumento della spesa pubblica, essendo dispendiosa, poteva portare lo Stato verso un
disavanzo del bilancio (entrate < spese), detto deficit spending, termine con il quale si
intende proprio l'aumento del deficit pubblico dovuto ad una crescita della spesa pubblica
che ha come finalità quella di portare ad un aumento della domanda.
Secondo Keynes, nei momenti di sottoccupazione, è utile aumentare la spesa pubblica
anche a costo di incorrere in un deficit spending, perché tale aumento avrebbe portato
successivamente ad una situazione di avanzo. Infatti, l'incremento di reddito generato
dall'aumento della spesa pubblica accrescerà il gettito delle imposte e quindi delle entrate;
oppure, se la ripresa viene finanziata col ricorso all’espansione monetaria, mediante il
ritiro dalla circolazione del denaro eccedente. La spesa aggiuntiva dovrà essere destinata –
e qui si riprende la domanda effettiva di Malthus – in settori (come le opere pubbliche)
che aumentino la domanda ma non l’offerta e che non generino concorrenza con l’industria
privata.
Dunque, prire le spese il bilancio dello Stato si trova in deficit. Nella nuova prospettiva
delineata da Keynes il deficit di bilancio dello Stato non costituisce più un pericolo,
come sosteneva la teoria neoclassica, ma diventa lo strumento necessario per
raggiungere l'obiettivo primario del pieno impiego.
New Deal: le teorie keynesiane furono alla base del New Deal, un piano di interventi
pubblici finanziati dallo Stato adottato negli Stati Uniti d'America sotto il presidente
Roosevelt che permise agli USA di uscire dalla crisi. Il piano prevedeva l'inizio di una serie