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LA COMUNICAZIONE
Non basta aprire bocca per riuscire a parlare, così come non basta parlare o inviare messaggi per
riuscire a comunicare, soprattutto se si vuole farlo bene. Qualsiasi atto comunicativo è sempre il
luogo del dramma. A riguardo Juan Vives dice : ‘La penetrazione nell’intimo delle cose e il largo
accoglimento di molti e gravi argomenti rendono infecondi gli ingegni più chiari e più eccellenti’. Il
significato di tale citazione è il fatto che se ti impossessi delle tecniche adeguate e se impari a
utilizzare gli strumenti più sofisticati, riesci a comunicare facilmente. Tutti parlano con tutti di
tutto/tutti continuamente; ognuno scambia con gli altri innumerevoli messaggi e informazioni. In
contrapposizione all’affermazione di Vives troviamo la tecnologia, questa convince che comunicare
è facile perché basta connettersi per comunicare con tutti di tutto. Comunicare implica una
riflessione e un lavoro in relazione al contesto, pensando all’altro mi metto a lavorare. Per
comunicare non basta la competenza semantica e la competenza sintattica, cioè non basta la
conoscenza del codice ma è necessaria un’altra competenza. L’ideologia finisce per considerare
come un’inutile complicazione ogni riflessione che insista nell’interrogare e nell’interrogarsi al
riguardo. L’ideologia non trova di meglio che semplificare al fine di tranquillizzare (non c’è
problema). Quando tu scegli quella parola, la scegli per dare un’immagine di te. La parola che tu
usi ti definisce. Allo stesso tempo definisce anche l’altro a cui si parla. La parola definisce la
questione, ciò di cui si parla. Terry Eagleton scrive a riguardo di questa : ’Il termine ideologia
sembrerebbe far riferimento non solo a sistemi di opinione, ma anche a questioni di potere. Un
potere dominante può legittimarsi promuovendo idee e valori a sé congeniali’. In pratica più hai
potere e più trasferisci. L’uomo usa il linguaggio per comunicare con gli altri, egli deve e vuole
dialogare con loro e l’unico problema sembrerebbe individuare delle tecniche migliori e degli
strumenti più adeguati affinché un dialogo possa essere portato a compimento; la cosa importante
è avere voglia di fare ciò. La comunicazione viene percepita come un semplice trasferimento di
messaggi e nozioni. Se dunque comunicare significa trasferire, allora per trasferire con successo,
cioè per comunicare bene, è necessario utilizzare gli strumenti migliori; il trasferimento è un lavoro
e serve energia per riuscire a svolgerlo bene. Dove c’è comunicazione c’è trasferimento ma dove
c’è trasferimento non necessariamente c’è la comunicazione. Il trasmittente e il ricevente sono
umani non condividono mai lo stesso codice perché di fronte alla stessa parola attribuiamo sensi
diversi. Il codice è un sistema di equivalenze, convenzionalizzate e socializzate tra, un insieme di
significanti e un insieme di significati. Bisogna ad ogni costo convincere il soggetto che più è
potente e sofisticato sarà lo strumento utilizzato, più ampia ed efficace sarà la comunicazione che
egli riuscirà a realizzare. Non basta trasmettere per comunicare (il computer trasferisce ma non
comunica), così come non basta stabilire un contatto con l’altro per riuscire a comunicare con lui.
Ci può essere un intenso ed efficace trasferimento di segni, messaggi e immagini senza che per
questa ci sia un solo atto comunicativo, così come ci può essere un continuo parlare all’altro senza
che per questo ci sia un solo istante di dialogo con lui. Perché ci sia trasferimento è necessario
che trasmittente e ricevente comunichino la stessa cosa. Oggi sembra che tutti desiderano entrare
in contatto con l’altro semplicemente perché sono interessati a sé : ci si rivolge a lui parlando di lui,
ma proprio nel fare questo non si smette un istante di parlare di sé. Parlo, dunque sono proprio
perché sono io che ti parlo, dove il ti è in verità uno strumento nelle mani dell’io. Fingere di
informarsi sull’altro è lo sconto che si deve pagare per poter parlare di sé e solo di sé. Il messaggio
rinvia sempre ad altro da se. Il tempo per eccellenza della nostra società sia il presente :
nell’istante stesso in cui gli eventi accadono possono essere trasformati in oggetto di una
comunicazione. Osserva Lee Siegel : ‘Poco a poco i fantasmi del tuo computer ti si stringono
sempre più attorno. Ma non sono persone. Non ci sono segni che indicano dove iniziano e
finiscono le altre persone online. E poiché siete soli potete esprimere voi stessi fuori dall’infinita
concezione che avete di voi’. Il soggetto è qui ma proprio grazie al cellulare o al tablet egli riesce
ad evadere da questa situazione per essere pure là; sono qui ma la tempo stesso sono anche
altrove, nel sogno di essere là. Ne La montagna incantata Thomas Mann scrive : ‘Aspettare
significa affrettare col pensiero; significa considerare il tempo e il presente come un ostacolo. Si
potrebbe dire che colui il quale non fa che aspettare assomigli a un divoratore il cui apparato
digerente inghiotte alimenti in massa senza elaborare le materie nutritive’. È difficile negare la
distanza che separa un simile commercio da un’autentica comunicazione e da un vero dialogo.
Non si può attendere, non si è più capaci di attendere : l’sms deve essere inviato subito affinché
subito se ne possa ricevere la risposta. In un ambiente simile il messaggiare diventa più
un’espressione del reagire piuttosto che del rispondere. Reagire ≠ rispondere. Reagire : a parità di
antecedente segue sempre lo stesso conseguente. L’uomo risponde, non reagisce. Scrive
Maurice Blanchot : ‘Parlare a qualcuno significa accettare di non introdurlo nel sistema delle cose
da sapere o degli esseri da conoscere, anzi riconoscerlo come ignoto e accoglierlo come estraneo
senza costringerlo a intaccare la sua differenza’. Nulla di più lontano da quanto accade oggi :
‘Questo nuovo mondo è controllato dal nostro polso e dalle nostre dita, troviamo difficile
comportarci semplicemente come esseri umani’. I mezzi tecnologici hanno ampiamente contribuito
al mutamento dei legami tra gli esseri umani. La vicinanza virtuale offre una presenza, ma non
obbliga. L’amico di internet è sempre a portata di un click. La comunicazione non è riducibile a un
trasferimento di messaggi : il dialogo non è riducibile a uno scambio di mail. Il linguaggio, il codice
e oggi internet e la rete se ne stanno lì, ma per quanto quell’essere parlante che è l’uomo in verità
è bene altra cosa. L’ipercomunicazione digitale banalizza il senso del comunicare. Il dramma della
comunicazione è dovuto dalla presenza dell’altro : per comunicare all’altro devo tener conto
dell’altro, ma tener conto dell’altro vuol dire tenere conto di qualcosa di cui non si può tenere conto.
Ci sono due teorie sul significato di comunicazione : Scambio : questa idea di comunicazione è
un’idea banale, è la messa in comune di messaggi, ‘Come devo parlare?’ : è frutto di conoscenza,
di sapienza; Ciò che si trasferisce è un significato ma ciò che si comunica è sempre un senso.
L’uomo è il luogo dove si produce una fattura tra significa e senso. Significato ≠ senso. Il significato
lo vado a cercare nel codice, è una cosa fissa mentre il senso è sempre incerto. Se ti fermi al
significato non capisci niente, il problema tra di noi è il senso. Noi attribuiamo alle parole un senso
alle parole che deriva dalla nostra esperienza. Aristotele : ‘In ogni atto comunicativo ci sono tre
attori : chi parla, colui a cui si parla, ciò di cui si parla’. Chi è colui a cui si parla? Ciò di cui si parla?
Quando parli, chi parla? Costruisco un insieme di pensieri che giustificano dei fallimenti.
Il tratto che ci caratterizza è la non comunicazione
1. Come devo parlare?
L’uomo si chiede ‘come devo parlare?’ perché fa esperienza dell’altro. La comunicazione sta nella
messa in comune con l’altro. E’ la domanda delle persone più colte, quelle che stanno più attente
all’altro. Quando tu parli devi capire che parole usare, quando parlare cercando di coordinare l’atto
di parola. Il testo (testum : intreccio) è un insieme finito e coordinato di segni retto da una
intenzione comunicativa. Il testo è il prodotto del lavoro che il soggetto compie sul codice allo
scopo di predeterminare l’incontro con l’altro come pieno accordo. L’incontro con l’altro è sempre
drammatico. La doppia articolazione del logos umano : ogni atto comunicativo è una dimensione
che ha due parti logico-proporzionale (contenuto) e della dimensione performativa-
comunicazionale. ‘L’altro ha sempre una buona ragione per non ascoltarvi’. Per dire A, cioè il
contenuto (logico-proporzionale) + ascoltami . seguimi – rispondimi (dimensione performativa-
comunicazionale). Il comunicare è una messa in scena, una performance. Non necessariamente il
contenuto logico e la dimensione performativa vanno insieme. Chi ascolta vuole veramente
apprendere? La forma del ‘capiscimi’ può essere inteso come ‘sottomettiti’. Il concetto di
comunicazione è astratto, noi comunichiamo sempre con un testo. Il testo è il frutto di un lavoro
che viene caratterizzato da due aspetti :
- Forte dimensione realista, non sei tu che decidi il contesto e non decidi chi è l’altro : non
puoi fare a meno di tenere in considerazione la situazione. Non decidi l’ampiezza del testo.
Tu non determini l’attenzione dell’altro. Devi sempre porti le questioni : dove parlo? Come
parlo? Quando parlo? Perché parlo? (devi stare attento a dove vivi)
- Dimensione immaginifica : ti fai un’idea dell’altro e cerchi di capire cosa piace all’altro
Il testo è una risposta alla domanda ‘come devo parlare?’; il testo è sempre un atto mancato, cioè
l’idea che tu ti fai dell’altro è sempre sbagliata. Quando tu scegli quella parola, la scegli per dare
un’immagine di te. La parola che tu usi ti definisce. Allo stesso tempo definisce anche l’altro a cui si
parla. La parola definisce la questione, ciò di cui si parla. Ogni atto comunicativo definisce
l’immagine di un mondo. La comunicazione umana è essenzialmente comunicativa (la letteratura è
il continuare a ridire le stesse cose r