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ESPERIENZE
I – MOLLY: sì
16 giugno 1904: data per l’azione dell’Ulisse.
Giornata in cui non accade nulla di essenziale: tutto appare troppo carnale, troppo quotidiano, non
romanzesco, assolutamente banale. Il quotidiano diventa letteratura grazie a Joyce. “Il 16 giugno
1904 non accade nulla di particolare se non il particolare accadere di questa stessa giornata” ( Eliot
su “Ulisse”).
Ripercorriamo gli ultimi due capitoli del libro: XVII, Itaca, e XVIII; Penelope.
Alla fine della giornata, i personaggi principali del libro – Leopold Bloom (Ulisse), Stephen
Dedalus e Molly (Penelope) – si ritrovano all’interno della stessa casa, ad Itaca.
E’ notte avanzata: Molly dorme, Leopold invita Stephen in casa e gli offre una tazza di cioccolata. I
due cercano di conoscersi meglio raccontandosi ambizioni e speranze: Bloom pensa alla propria
situazione familiare, al figlio Rudy morto quando aveva 11 giorni e alla figlia Milly, ormai lontana.
Leopold invita Stephen a fermarsi per la notte, quest’ultimo rifiuta e i due si fermano per qualche
istante a guardare il cielo pieno di stelle. Leopold rientra in casa da solo e si corica vicino a Molly,
nello stesso letto in cui lei lo aveva tradito nel pomeriggio con l’amante.
Stephen e Leopold sono due personaggi che vengono spesso messi di fronte, l’uno e l’altro, agli
stessi luoghi e alle stesse idee:
- Leopold: conosce se stesso per mezzo della realtà osservabile, è caratterizzato da un forte
temperamento e da una generosa buona volontà. Specula sul corpo e ritiene che le questioni
di spiritualità non possano essere poste e nemmeno trovare una risposta.
- Stephen: conosce se stesso attraverso i libri e la riflessione, ha un carattere angoloso ed è un
intellettuale. Riflette di metafisica, specula sull’anima ed è ossessionato dai diversi livelli di
spiritualità e di sostanza nelle persone della Trinità.
Ora, concentriamoci su Leopold, marito di Molly. I motivi dell’interno della casa, ovvero
universo/solitudine, casa/ordine, letto/sonno si intrecciano e si confermano tra loro. Dopo
l’Odissea nella Dublino - mondo, Leopold rientra, nel letto, all’interno della casa, all’interno di
Dublino, all’interno dell’Irlanda, all’interno del mondo, all’interno dell’universo…e riposa.
Leopold è un uomo buono, non un eroe, ma nemmeno un inetto, accetta la precarietà della vita, ma
non per questo cade alla rassegnazione e all’accidia, guarda le stelle e “ha qualcosa dell’artista”, ma
non è un uomo completo. Gli manca l’ultima parola, quella parola che è lasciata a Molly, la sua
Penelope, ha bisogno della sua controfirma per l’eternità. Molly è il clou del libro: al di là
dell’immagine di superficie che la vuole infedele, immorale e trasgressiva, Molly conferma i temi
dell’interno, della casa e del letto.
Molly è una comune donna di Dublino, la sua vita non è particolarmente interessante, tradisce ed è
tradita, ama e soffre, sogna e fantastica, è una donna fallita, alla quale la vita non è andata, è
insoddisfatta e passa i giorni della sua vita sul letto, dove mangia, dorme e tradisce il marito con
l’amante. Il letto sembra essere il suo solo mondo, dove compie le sue uniche due azioni di un
certo rilievo: il tradimento con l’amante Boylan e l’ultimo monologo interiore. Questo monologo
costituisce l’ultimo capitolo dell’Ulisse, privo di punteggiatura e articolato in 8 ampie sezioni:
- Prime quattro sezioni: Molly matura ( 33 anni)
- Ultime quattro sezioni: Molly giovane ( 15-18 anni)
Nel monologo Molly ricorda, fantastica, si sfoga, pensa all’amante, al proprio corpo, al marito e ai
diversi rapporti che ad esso lo legano. Il tema della femminilità, legato al corpo, al piacere, al
godimento, al marito, è ripreso più volte e spesso attraverso il confronto con altre donne: Molly non
è soggetta all’invidia, ma vuole diventare oggetto d’invidia per quelle altre donne che sono
senza passione e non sanno nulla della vita e degli uomini. Molly non è una “casalinga
disperata”, non fugge dalla vita, non la subisce, non la domina, ma la vive, la abita, si rilancia con
quello che ha, con il proprio corpo.
Una conferma della sua femminilità giunge dalla natura, dall’ordine naturale: le mestruazioni.
“Non è finita” per lei: ricorda Gibilterra, il luogo dell’infanzia, dei primi amori, delle sue prime
esperienze sessuali. ( pag. 32) Qui, ci troviamo di fronte ad una certa inquietudine, ad un rilancio
che le impediscono di abbandonarsi all’oblio del sonno, alla tranquillità della notte all’interno della
sicurezza. Molly non dorme, ma non si tratta di insonnia, ma di veglia: decide di stare sveglia, in
guardia, di prestare attenzione alla vita.
Il tema della fine è anche il tema del tempo, soprattutto dei tempi verbali, attraverso cui lo stesso
monologo giunge alla fine. Il flusso di ricordi del passato e di fantasticherie sul futuro si interrompe,
si ferma e firma, si rilancia ancora una volta verso la vicina e concreta figura del marito: “I’ll just
give him one more change”. “Non sono finita”, afferma Molly, dice sì alla vita, il suo tempo non è
più quello di Leopold: il flusso dei ricordi si interrompe e passa alla definizione delle concrete
condizioni di possibilità della nuova occasione, del futuro.
“ Non è ancora finita perché è stato possibile e quindi potrà esserlo ancora”: se in un passato
portò tra i capelli una rosa bianca, ci sarà un tempo, il futuro, in cui porterà una rosa rossa tra quegli
stessi capelli. Così Molly si mette a filare la possibile concretezza del domani per rinviare la
fine, per firmare e impedire che la sua veglia si trasformi in semplice insonnia e non svanire
mai nella semplice quotidianità.
Molly dice sì alla vita, decide per quella casa e per quel marito: la sua grandezza sta nella sulla
grande determinazione e generosità la sua firma è sì.
II – GERTRUDE: avrei dovuto
La figura del letto, nell’Ulisse immagine del ciclo vitale dell’esistenza, è l’ultima similitudine che
chiude la storia dei “Promessi sposi”. Anche in questo caso è un’immagine forte, non scelta a caso,
segno dell’unione della casa, del tempo, dell’intimità del luogo familiare e in più generale come
luogo dello svolgersi di molteplici esistenze, metafora delle possibilità e difficoltà della vita.
L’uomo, per Manzoni, è un infermo che si trova sempre su un letto scomodo e vede attorno a sé altri
letti, ben rifatti al di fuori: l’uomo, fin dal momento in cui nasce, si trova sempre scomodo nella vita
e guardando la vita degli altri, apparentemente liscia e perfetta, si accorge che è come la propria,
“piena di lische, bernoccoli e pieghe”. Anche Leopardi ritiene che ognuno di noi, nel momento in
cui nasce, si corica su un letto, ma in questo caso esso è anche duro e disagiato e quindi l’uomo
continua a cambiare posizione per prendere un po’ di sonno su di esso. Il letto duro è quindi
metafora della vita: il rivoltarsi continuamente è il cercare piaceri e felicità in modo vano e quel
credere un momento di addormentarsi è un’illusione atroce.
Ritornando ai Promessi Sposi, sono molti i letti “ duri e disagiati” e molti i sonni caratterizzati da
un’ “agitazione perenne dell’animo”. Possiamo ricordare, ad esempio, i sonni – letto di Don
Abbondio, di Renzo, di Don Rodrigo, di Lucia, dell’Innominato. Ma soprattutto, ritornando al
paragone con Molly e all’idea manzoniana dell’infermo, di colui che è fermo, rinchiuso,
imprigionato su un letto che non può mutare e che vede attorno a sé letti preferibili, è bene ricordare
il sonno di Gertrude.
Gertrude è una nobile, una signora, una donna fallita come Molly, ma che risponde alla vita in modo
diverso.
Gertrude non è solo espressione del “guazzabuglio del cuore umano”, ma del vero e proprio “abisso
del cuore umano” pascaliano. Il letto di Gertrude è, come direbbe Molly un sick-bed, il letto di un
ammalato, di dolore, ma ciò che caratterizza Gertrude ha soprattutto a che fare con la vista di altri
letti, di altri luoghi, di altri mondi, verso i quali prova rancore, rabbia, invidia e infine odio.
Gertrude non guarda mai diritto, ma sempre attraverso gli occhi di qualcuno, prima attraverso
gli occhi del padre e poi attraverso gli occhi di Egidio,
Nel primo tempo del dramma dello sguardo Gertrude vede il padre, lo sguardo del padre su di sé: è
dominata da lui ed è oggetto del suo sguardo. Questo sguardo paterno non è semplicemente cattivo
o malvagio: il padre sa quello che vuole, sa quale è il suo compito, ed è questo sapere, più che la
pura cattiveria, a condizionare il suo agire e a definire la sua morale. Lo sguardo del padre segna il
destino della figlia, uno sguardo che viene a dire direttamente ciò che la sua voce non dice:
Gertrude conosce quello sguardo, non ha dubbi sulla loquacità e il senso di quegli occhi, cede,
abbassa lo sguardo, si lascia guidare e infine dominare da esso.
Nel secondo tempo del dramma dello sguardo che impegna Gertrude coinvolge un’altra espressione
del padre: gli occhi del padre non giungono a lei solo tramite il padre, ma giungono sopra di lei
prima dal fratello e poi da Egidio.
Tramite l’incontro con Egidio Gertrude torna ad essere totalmente sotto gli occhi del padre: Egidio
è colui che guarda, che prende di mira, è un “profanatore del tempio” attraverso lo sguardo e
Gertrude fugge e si ritira, china lo sguardo e al tempo stesse mette in modo l’incessante attività di
pensiero tipica delle sue fughe repentine.
Gertrude agisce, reagisce,ma sempre e solo nella misura in cui corrisponde a quegli occhi che la
guardano dall’alto: il dramma dello sguardo matura così in una tragedia della non – azione e
della non – volontà che condizionano l’agire di Gertrude. Quindi Gertrude firma, risponde, dice
sì, ma questo sì non è l’espressione di una volontà realizzatasi, ma umiliata, non apre, ma chiude,
costringendola anche fisicamente in un luogo chiuso, ed è causa ed effetto di uno sguardo
abbassato, di un cedimento, è un compimento della rinuncia. Il sì di Gertrude non rilancia, ma
rinuncia, non afferma, ma si lascia travolgere: questo sì è una vera negazione al suo desiderio e un
no sarebbe stato una vera affermazi