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LEMENTI DI OLITICA
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ORBERTO OBBIO
un potere di comandare e quindi di ottenere obbedienza anche contro i recalcitranti, e di punire
coloro che non ubbidiscono. Svolgendo la funzione legislativa, il potere politico indirizza
positivamente o negativamente i comportamenti dei membri della comunità; mediante la funzione
esecutiva ottiene che questi fini siano raggiunti; esplicando la funzione giudiziaria risolve i conflitti
che nascono nella società e che, non risolti, sarebbero causa di disgregazione.
Il fine della politica è il bene comune, inteso come bene della comunità distinto dal bene dei singoli
individui che la compongono. La distinzione fra bene comune e bene del singolo è fra l’altro quella
che sin da Aristotele serve a distinguere le forme di governo buone da quelle corrotte: il buon
governante è colui che si preoccupa del bene comune, il cattivo bada al bene proprio, si vale del
potere per soddisfare interessi personali. il concetto di bene comune è tutt’altro che chiaro, a causa
della varietà di significati storicamente accertabili e la difficoltà di trovare le procedure adatte per
accertarlo di volta in volta. Le molteplicità dei fini che le comunità politiche si sono proposte nelle
«Per quanto gli stati abbiano in generale lo
diverse situazioni storiche ha fatto dire a Montesquieu:
stesso fine, che è quello di conservarsi, ciascuno è portato a desiderarne uno particolare». Per Hans
Kelsen lo stato è un ordinamento coattivo, un insieme di norme che vengono fatte valere contro i
trasgressori anche ricorrendo alla forza. Una via d’uscita da questa reale difficoltà consiste nel
distinguere il bene comune che può essere lasciato indeterminato, essendo variabile secondo i
tempi, i luoghi e i diversi regimi, dal bene che tutti gli individui riuniti in una comunità politica
hanno in comune, che è quello scopo non raggiungendo il quale lo stato non esiste o si dissolve.
Questo scopo minimo è l’ordine pubblico interno e internazionale.
La difficoltà di determinare di volta in volta in che cosa consiste il bene comune dipende dal fatto
che le scelte possibili sono molte, e che la scelta di una piuttosto che di un’altra alternativa dipende
a sua volta dal rapporto di forza fra i vari gruppi politici e dalle procedure che vengono adottate per
prendere le decisioni vincolanti la intera collettività, e che sono appunto le decisioni propriamente
politiche. L’unico criterio ragionevole che è quello di cui sono fautori gli utilitaristi, e che consiste
nel tener conto delle preferenze individuali e nel partire da esse, va incontro a tutte le difficoltà
inerenti al calcolo delle preferenze e al modo di sommarle in cui si dibatte senza apparente via
d’uscita la teoria delle decisioni razionali.
Il criterio più adeguato per distinguere il potere politico dalle altre forme di potere è quello che si
fonda sui mezzi di cui le diverse forme di potere si servono per ottenere gli effetti voluti: il mezzo
di cui si serve il potere politico, se pure in ultima istanza, è la forza. Il potere economico si vale del
possesso di beni necessari in una situazione di scarsità per indurre i non possidenti a tenere un certo
comportamento. Il potere ideologico si vale del possesso di certe forme di sapere inaccessibili ai
più, anche soltanto d’informazioni per esercitare una influenza su comportamento altrui. Da questo
deriva l’importanza sociale di coloro che sanno: attraverso le conoscenze che essi diffondono e i
valori che essi predicano si compie il processo di socializzazione che promuovendo la coesione di
gruppo permette ad una comunità di sopravvivere. In quanto il potere politico è caratterizzato
dall’uso della forza, esso è il potere sommo e sovrano, il cui possesso contraddistingue in ogni
società organizzata la classe dominante.
Ogni azione politica è un’azione sociale nel duplice senso di azione interindividuale e di azione di
gruppo. ma non ogni azione sociale è azione politica. La categoria della politica è una delle grandi
categorie entro cui si divide l’universo sociale. I greci conoscono la distinzione tra la sfera sociale
cui appartiene la politica e la sfera individuale cui appartiene l’etica, tra la vita attiva, che si svolge
nella società, e la vita contemplativa, che riguarda l’individuo singolo. Non si preoccupano della
distinzione, all’interno della sfera sociale, dei vari ambiti entro cui soltanto l’ambito politico assume
un suo carattere specifico. Aristotele parla delle società parziali e le considera come parti della
comunità politica. Il pensiero antico ha di fronte a sé una sola società perfetta, la polis, che
abbraccia nel suo seno le società minori. Solo col sorgere del cristianesimo e con la
istituzionalizzazione le societates perfectae diventano due, la chiesa e lo stato. da questa
differenziazione nasce il problema della loro distinzione tra potere spirituale e potere temporale.
Diventa communis opinio la distinzione tra la vis directiva (potere di dirigere) che è prerogativa
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della chiesa, e la vis coactiva (potere di costringere), che è prerogativa del potere politico. Nel
contrapporsi alla potestà spirituale, i difensori e i detentori della potestà temporale pretendono di
attribuire allo stato il diritto e il potere esclusivo di esercitare la forza fisica, lasciando alla chiesa il
diritto e il potere d’insegnare la vera religione.
Dalla pluralità delle confessioni religiose viene la richiesta, caratteristica di una società
secolarizzata, della tolleranza religiosa, che si risolve nella difesa giuridicamente garantita della
libertà di coscienza. La richiesta di libertà religiosa si estende alla libertà di pensiero e di opinione e
si afferma con la libertà di stampa. Nell’esercizio di tutte queste libertà si costituisce il ceto
moderno dei liberi pensatori, degli scrittori indipendenti, dei formatori di opinione pubblica, dei
philosophes, in una parola degli intellettuali, che sostituiscono i sacerdoti delle religioni tradizionali
nell’esercizio del potere ideologico, cioè dell’indirizzare le menti.
Quelle forme di stato in cui si ha una soppressione della dialettica tra sfera dove si elaborano le idee
e sfera dove viene esercitato il monopolio della forza legittima si chiamano totalitarie.
L’età moderna conosce un’altra forma di delimitazione della politica, quella che nasce dalla
graduale emancipazione del potere economico rispetto al potere politico. L’imperium del sovrano
(comando propriamente politico i cui destinatari sono soggetti umani) non è mai dissociato
totalmente dal dominium (potere sulle cose). Con la formazione della classe mercantile borghese
che lotta contro i vincoli feudali per la libertà dello scambio prima all’interno dello stato, poi anche
all’esterno, la società civile, come sfera dei rapporti economici che ubbidiscono a leggi naturali
oggettive, che dovrebbero imporsi alle leggi poste dal potere politico o si ritiene siano regolate da
una razionalità spontanea (giusta la dottrina del mercato e della mano invisibile di Adam Smith e
degli economisti classici), pretende di staccarsi dall’abbraccio mortale dello Stato e in quanto sfera
autonoma che ha proprie leggi di formazione e di sviluppo, si pone come limite alla sfera di
competenza del potere politico, anzi tende a restringerla sempre più alle funzioni meramente
protettive dei diritti dei proprietari e repressive dei delitti contro la proprietà. Ne nasce la dottrina
secondo cui lo stato che governa meglio è quello che governa meno, oggi detta dello stato minimo.
Si afferma il pensiero liberale, secondo cui il sistema politico ha la funzione esclusiva di permettere
lo sviluppo naturale del sistema economico, e ne è quindi rigidamente condizionato.
Il problema dei rapporti tra politica e morale si pone sul piano deontologico, o del dover essere,
anziché sul piano ontologico, o dell’essere. Si chiama autonomia della politica il riconoscere che il
criterio in base al quale si considera buona o cattiva un’azione rientrante nella categoria della
politica quale è stata sinora precisata, è diverso dal criterio in base al quale si giudica buona o
cattiva un’azione morale.
Il problema nella sua forma più acuta è nato con la formazione dei grandi stati territoriali moderni
nei quali attraverso la condotta dei detentori del potere la politica si rivela sempre più come il luogo
in cui si esplica la volontà di potenza. Il primo scrittore politico che pone con la massima chiarezza
il problema è Niccolò Machiavelli. Nel capitolo XVIII del Principe, Machiavelli si pone il
problema se l’uomo sia stato obbligato a stare ai patti, principio fondamentale della morale.
Machiavelli espone chiaramente il suo pensiero là dove afferma che per giudicare della bontà o
cattiveria di un’azione politica occorre guardare al fine (in altre parole al risultato dell’azione). Il
non stare ai patti diventa per lui una condotta non solo lecita, ma doverosa. Si fa risalire a queste
pagine la massima che presiederebbe all’azione politica e la distinguerebbe dall’azione morale: il
1
fine giustifica i mezzi. Il nucleo principale della cosiddetta dottrina della ragion di stato , secondo
cui la politica ha le sue ragioni, e quindi le sue giustificazioni, diverse da quelle del singolo
individuo che agisce in vita dei propri interessi.
La condotta degli uomini di stato troppo spesso clamorosamente contraria alle regole della morale,
fa sorgere il tema più discusso della filosofia politica: la spiegazione e la giustificazione di questo
1 Ragion di stato: per ragion di stato s’intende quell’insieme di principi e di massime in base alle quali azioni che non
sarebbero giustificate se compiute da un individuo singolo, sono non solo giustificate ma addirittura in taluni casi
esaltate e glorificate se compiute dal principe, o da chiunque eserciti il potere in nome dello stato.
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contrasto. Si hanno due versioni: la prima è quella che spiega e giustifica il contrasto sulla base
della differenza tra regola ed eccezione, per ci le regole morali, siano esse fondate su una
rivelazione divina, oppure argomenti razionali o storici, sono, sì, universali, nel senso che valgono
per tutti i tempi e per tutti gli uomini, ma non sono assolute, nel senso che ammettono eccezioni, e
pertanto in taluni casi possono ammettere una deroga. Una risposta di questo genere permette di
mantener fede all’idea che non vi siano due morali, una pubblica e una privata, ma la morale sia una
sola, salvo casi s