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5. I PARADIGMI DELLA LEGALITA’

Essi sono cinque, e sono:

1. La Costituzione

2. La Scienza giuridica

3. Lo Stato sociale di diritto

4. L’Interpretazione

5. La Certezza del diritto

5.1. LA COSTITUZIONE

Quello della Costituzione è un paradigma “essenziale” della legalità, nonché proprio il primo

paradigma della legalità. La Rivoluzione francese innesta un principio fondamentale, ossia quello

della “sovranità popolare”. Qui si assiste al passaggio dal Medioevo (età in cui era chiaro perché si

dovesse obbedire alla legge) allo Stato moderno. Fino al Medioevo il sovrano aveva sempre

qualcuno sopra di lui: il Medioevo trova il suo fondamento in Dio. Passando allo Stato moderno,

l’ordinamento giuridico non ha più ancoraggi rassicuranti (ossia Dio). Quando il diritto romano

passa dal Medioevo allo Stato moderno, il diritto “canonico” rappresentava un elemento

fondamentale di questo passaggio; tutti i teorici, per poter sostituire Dio, lo dovevano sostituire con

qualcosa/uno, es. il Principe di Machiavelli. Per costituire lo stato moderno ci vuole un’autorità,

ossia il sovrano assoluto: l’origine del diritto sta nella sovranità del popolo, non del sovrano. Grazie

a Dio si ha la centralità della rivoluzione francese. La sovranità non è: “divisibile”, “delegabile”,

“alienabile”. Il “punto nodale” è il conflitto tra Jean Jacques Rousseau e Benjamin Constant

(capostipite del “Costituzionalismo”). Finché siamo nel Medioevo, non vi è la necessità del sovrano

assoluto, perché c’è Dio. Alla fine resta soltanto la forza del diritto. “Una volta che ho fatto fuori

Dio e il sovrano, la chiave di volta è il principio di legalità, con la centralità della

Costituzione”. Gli emendamenti rappresentano il mezzo attraverso cui la Costituzione viene resa

“fruibile”. Nessuna forza politica rinuncerebbe al saldo ancoraggio della Costituzione - “La

Costituzione è per tutti”. La Rivoluzione francese è stato un evento che ha segnato. Il dibattito

consiste nel fatto che nasce una visione della legalità nel Code Napoleòn (Napoleone è figlio del

Giacobinismo, divenuto generale a 28 anni, nacque ad Ajaccio, dunque anche il Giacobinismo

prende la sua tendenza). “Questa Costituzione nasce dal dibattito tra Constant e Rousseau”.

Il primo elemento da analizzare è il seguente: dice Max Weber: <<manca nel codice ogni

intrusione di elementi “non giuridici”>>. Ciò denota la scelta della “razionalità del diritto” (ogni nota

di dottrina o esortazione etica). Si passa dal diritto romano al diritto contemporaneo, “razionale”; il

secondo elemento da analizzare è la cd. “Formalizzazione del diritto” (qualità formali attribuite al

diritto, che ci danno un’illusione). Grossi dice: << La Rivoluzione del 1789-1795, con il

Giacobinismo, ha portato ad un “appiattimento del diritto sulla singolarità”>>; ora l’itinerario è

concluso: la legge è l’unica fonte del diritto. L’idea è che valgano le leggi: Grossi assume proprio

questo principio. La legge deve essere comprensibile a tutti (compresa da tutti), non solo dal

sovrano, ma anche dal villano. Ciò che preoccupa Constant è, dunque, il tentativo di imporre

l’uniformità; il problema è che l’uniformità induce a fare una polemica contro l’assolutismo

monarchico. Constant non è “anti-rivoluzionario”, è solo contrario agli effetti prodotti dalla

Rivoluzione francese. Constant dice: << il contratto sociale si è rivelato il più terribile aiuto,

sostegno ad ogni forma di disprezzo>>. Il principio di maggioranza non è sufficiente per dare

legittimazione alla tirannide della maggioranza, dice Dogville. Da un lato c’è l’uniformità e dall’altro

c’è il limite introdotto dal Cristianesimo (della persona). Il problema della persona dà senso al

limite: “non mi fermo, ma allo stesso tempo non posso andare oltre il limite “inalienabile” della

persona. Constant dice: <<Rousseau ha disconosciuto la verità e definisce il contratto sociale

“l’alienazione completa della libertà come singolo, ma anche come parte della comunità (come

parte della società)>>. Constant dice: << Rousseau ci dice che il sovrano non può nuocere

all’insieme dei suoi membri perché ciascuno, dandosi tutto intero, fa sì che la condizione sia

uguale per tutti e guadagna in cambio l’equivalente di tutto ciò che perde>>. Il tema delle garanzie

è un tema fondamentale per Constant. La volontà è “generale” per Rousseau. Ci deve essere una

separazione dei poteri. Rousseau parla di “inalienabilità”. Dice Constant: << se tutti alieniamo la

nostra libertà, ci vuole qualcuno che la eserciti>>. Il sovrano deve esercitare la forza: dato che egli

non la può esercitare da sé, la deve delegare, e tutti gli attributi di totalità spariscono. L’azione che

si fa a nome di tutti, donandosi a tutti, non è affatto vero che non si è donata a nessuno. Si dà la

libertà a colui che agisce in nome di tutti. Sorge un problema, che è quello dell’organizzazione del

potere. Rousseau vuole distinguere la volontà generale dal suffragio universale (che è un

inganno). Rousseau e Constant sono due metà di una stessa moneta. La lotta contro l’assolutismo

è una lotta contro la volontà generale. Lo Stato non è un ente di ragione: ha i difetti che hanno gli

esseri umani. Per quanto riguarda i due concetti, di individualità e universalità, l’universale è

“assoluto”, dal latino “absolutus” (sciolto, slegato); l’individuale è “storico”: la storia è fatta di

procedimenti individuali e quindi storici. La libertà individuale è sempre “incomprimibile”. La

storicità accompagna l’individualità; Constant era avversario di Napoleone, ma anche Rousseau

era “anti-napoleonico”. Persino Constant si propone di scrivere la Costituzione per Napoleone. Gli

individui, una volta alienato tutto se stessi, non hanno in cambio che la volontà generale e sono

ancora più “liberi”. Il totalitarismo appare come la negazione della certezza della legge, di certo

non della certezza del diritto. Il peggio di Napoleone è giustificato dal contratto sociale; lui diceva:

<<Lo Stato sono io>>, <<io sono la Francia>>.

Ricapitolando:

La Costituzione è un paradigma: il popolo è “sovrano”. Rousseau aveva detto: <<proprio perché so

che il “rappresentante” può esprimere una volontà che coincida con quella del “rappresentato”, ma

può anche non coincidere, l’unico modo è fare una Costituzione>>. La libertà di manifestazione del

pensiero rappresenta un limite ella tirannide. Ciò che veramente contraddistingue Rousseau e

Constant è l’elemento di forza della “codificazione”, ossia l’Illuminismo: quest’ultimo ti fa dire che la

ragione, che è comune a tutti quanti, ti fa vedere la verità. Constant muove una sottile critica anti-

illuministica, in cui, insieme alla ragione, bisogna porre la storia. Constant dirà che solo la storia mi

dà la verità. La Costituzione non la fanno i costituenti del ’48, ma era un prodotto storico, di ragione

“storica” non “astratta”. Il tema affrontato da Constant è, dunque, quello della sua “storicità”; il tema

affrontato da Rousseau, invece, è quello della “coscienza collettiva”. Secondo Capograssi l’azione

è del tutto “storica”, dunque è “irripetibile”. Se per Rousseau la legalità è la volontà del legislatore,

per Constant la legalità è la rispondenza a questo principio che muove il diritto. Il “corpo sociale”

delinea una visione mistica di Rousseau: <<l’uomo non potrebbe mai far del male nella società,

perché la società è lui stesso>>. Ciò denota il fatto che il singolo membro non può mai mettersi

contro la società nel suo insieme; di conseguenza, egli non può esistere “confuso” nell’insieme. Il

diritto costituzionale è un “prodotto storico”: la Costituzione “porta con sé”. Con l’età napoleonica

(1814) il re è liberamente chiamato dal popolo: torna Napoleone. Constant, nemico (rivale) di

Napoleone, nel Maggio del 1814, viene chiamato da Napoleone e fa uno scritto: “Le riflessioni sulle

Costituzioni e sulle garanzie”. Il diritto costituzionale si fonda sul fissare un limite: ciò significa che

non si può oltrepassare il limite posto. Constant dice: <<Le Costituzioni si fanno “raramente” in

ragione della volontà degli uomini; il tempo le crea; esse si creano “gradualmente”, proprio come la

storia, in modo “insensibile”. Questo passaggio è quello che determina il passaggio dal principio di

legalità, ossia dalla legge, alla Costituzione. Ora, dunque, il principio di legalità non è più radicato

nella legge, ma lo riporto alla Costituzione (primo paradigma della legalità). I temi della

“rappresentanza” e della “volontà generale” debbono trovare delle forme. Constant dice: << La

sovranità non esiste che in maniera “limitata” e “relativa”: laddove inizia l’indipendenza e

l’esistenza individuale, si ferma la giurisdizione di questa sovranità>>. Il diritto costituzionale, in

quanto prodotto storico e non astratto, per sua natura, non può essere riducibile alla mera scienza

giuridica: qui, da notare, è la contrapposizione della storia alla ragione). Ogni progetto

costituzionale è sempre insufficiente a scovare le garanzie. De Sanctis, nell’Ottocento, dice: << la

Francia si comporta come la “malata” di cui parla Dante Alighieri, che, voltandosi dall’altra parte,

crede di trovare sollievo al suo male>>. Nella Costituzione vi è un lento equilibrio tra diritto e

morale (libero arbitrio). Constant sostiene che anche se la volontà generale oltrepassasse la linea

invalicabile del diritto individuale, è stato violato il principio di legali

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Publisher
A.A. 2015-2016
14 pagine
5 download
SSD Scienze politiche e sociali SPS/01 Filosofia politica

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Franiov di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Teoria generale del diritto e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi di Napoli Federico II o del prof Acocella Giuseppe.