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Estratto del documento

Aristotele

della “Politica” di (vedi dispensa). In questo testo troviamo in maniera più articolata queste idee che Tommaso

riprenderà; Tommaso non conosceva il greco, quindi non aveva accesso diretto ai testi di Aristotele, ma conosceva le traduzioni in

latino. Anche qui per “politica” si intende ciò che ha a che fare con la polis, con la societas perfetta. Questo inizio del testo ha avuto

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un'influenza enorme nella nostra cultura, che va al di là anche degli schieramenti valoriali: Tommaso è un autore giusnaturalista di

orientamento cattolico, ma questo passo di Aristotele ha influenzato anche un autore molto distante da lui, ossia Karl Marx (distante

sia come ideologia sia come periodo). L'inizio dell'opera è la sua parte più nota, ed è il punto in cui Aristotele sviluppa l'idea della

societas perfetta, della connessione tra diritto e societas perfetta, e dell'importanza della polis per l'uomo: qua egli definisce l'uomo

come un “animale politico” = animale che per sua natura vive in una polis. L'uomo è l'unico animale (anche dal punto di vista fattuale,

antropologico, etnologico e biologico) che per sua natura si trova meglio in una polis, anzi realizza la sua fioritura solo in una polis.

Questo non è però un dato scontato dal punto di vista storico, perché comunque le città nascono molto tardi nella storia umana

(sono poche migliaia di anni che gli uomini vivono in città) per centinaia di migliaia di anni gli uomini infatti hanno vissuto in

piccolissimi gruppi e con pochissime persone loro simili; a un certo punto però, molto probabilmente prima verso l'Asia minore e poi

verso l'Africa settentrionale, iniziano a formarsi le prime grandi città (6­7­8000 anni va). Questo è stato il prodigio dello sviluppo

umano: il grande progresso culturale, scientifico e tecnologico dello sviluppo umano inizia con la nascita della città (prima le scoperte

erano lentissime). Ecco che allora per Aristotele è vero che la città non è un dato che gli uomini hanno sempre conosciuto, anzi per

la maggior parte della sua storia l'uomo non è vissuto in città, ma egli era comunque portato e finalizzato verso la città (quindi ha

comunque nel suo DNA il fatto di essere animale politico) la nascita della città non è un accidente, ma è un elemento essenziale

per la fioritura dell'umano. Il diritto in senso proprio si ha quando nascono le prime grandi città, anche dal punto di vista della storia

della cultura giuridica. Il grande civilista Rodolfo Sacco ha appena pubblicato un libro chiamato “Il diritto muto”: certamente in una

prospettiva di diritto muto, in cui il diritto dell'uomo è un tutt'uno con la sua vita, il diritto c'era anche prima delle città. Però se

consideriamo l'idea di Aristotele che il diritto è legato alla parola e poi alla scrittura, allora non si può parlare di diritto prima della

nascita della città. La città è quindi una forma qualitativamente diversa di aggregato umano: ciò che importa non è la quantità di

uomini da cui è formata, ma la qualità = la città è autosufficiente, in essa l'uomo trova ciò di cui ha bisogno senza uscirvi. Leggiamo

dunque l'incipit del libro qua Aristotele fa riferimento alla sua teoria generale dell'azione, secondo cui ogni ente, ogni uomo e ogni

altro essere vivente tende sempre a quello che ritiene essere il suo bene; non è ovviamente detto che quest'ultimo corrisponda al

suo bene reale. Aristotele dice che ciò vale anche per tutti gli aggregati sociali; la specificità della società però è che essa tende al

bene comune, al bene più grande (mentre per esempio la famiglia tende al suo bene particolare, cosi come ogni altro ordinamento

particolare) è solo la città che tende al bene di tutti, al bene comune. C'è quindi un aggregato politico che è superiore agli altri,

ossia la polis (che tende a un bene di carattere generale); il diritto è ciò che dà stabilità all'aggregato della polis, quindi le regole del

diritto sono le regole della polis (città, civitas o Stato). Aristotele in seguito fa una distinzione importante, per cui la differenza della

città rispetto ad altri aggregati umani non è solo quantitativa, ma è soprattutto qualitativa = la città non è semplicemente una famiglia

o un villaggio più grande, ma è proprio qualitativamente diverso il bene perseguito dalla città rispetto a quello perseguito da

famiglia/villaggio non è il bene di una famiglia contrapposto a quello di un'altra famiglia, ma al contrario il bene cui tende la città è

quello che accomuna tutte le famiglie e tutti i villaggi che fanno parte della città. In questo senso il re o il governatore di una città è

diverso da un capofamiglia o dall'amministratore di un villaggio da un lato abbiamo il governante della città e il re (coloro che

governano una polis), dall'altro lato abbiamo l'amministratore (di qualsiasi società, ente o aggregato) e il padrone (ossia un

capofamiglia, o in genere colui che è preposto a un'autorità su un gruppo particolare di persone): la differenza tra questi due insiemi

non è soltanto di natura quantitativa, ma è essenzialmente di natura qualitativa. Se fosse solo quantitativa, il re sarebbe soltanto

colui che diventa capo grazie alla sua forza, mentre il governante sarebbe colui che a volte può essere governante e a volte

governato = di diverso vi sarebbero solo le regole per la identificazione dei capi per Aristotele questo non è vero, perché appunto

la polis ha una sua differenza qualitativa.

Come già detto la famiglia è la prima comunità che gli uomini incontrano (perché la città storicamente nasce dopo): la famiglia è

molto cambiata nel corso del tempo, ma sono tutte variazioni di una medesima idea, ossia del rapporto che l'uomo intrattiene con la

dimensione immediata della generazione e col fatto di prendersi cura delle minori generazione. La famiglia è infatti intimamente

connessa a questa idea della generazione, e storicamente variano soltanto le modalità con cui essa viene vissuta. Infatti la famiglia è

il luogo dell'essere generati e del generare (detta comunità naturale), e per questo essa è sempre presente nella storia Aristotele

dice che Esiodo, in una sua famosa opera, disse “innanzitutto la casa, la donna e il bue che ara”. Questa forma di aggregato umano

però non è sufficiente alla realizzazione dell'uomo: non a caso presto si è posto il problema, per assicurare nuove generazioni, di

uscire dal contesto della famiglia (la quale non può assicurare da sola nuove famiglie). Aristotele nel testo cita Caronda, il quale è

uno dei primi legislatori storici che viveva in una città greca della Sicilia, ossia Catania: egli ha scritto il primo corpo di norme di

questa città, le quali ebbero un successo enorme e si diffusero anche in altre parti della Sicilia; Caronda scrisse le proprie leggi in

versi c'era un rapporto molto strano tra la poesia e il diritto, perché le prime leggi furono rese in versi ed erano addirittura

musicate. Carona chiamò i membri della famiglia “compagni di pane”, per indicare coloro che convivono sotto lo stesso tetto e alla

stessa mensa. Dunque la famiglia è stata la prima comunità umana, ma essa non è una società perfetta: consente l'essere generati

ma non consente di creare altre famiglie da qui il villaggio, il quale è l'unione di più famiglie tra loro, ma sempre in un contesto

molto limitato. La differenza sociologica tra il villaggio/famiglia e la città (seppure una città molto contenuta, al massimo di 10­12mila

persone) è il fatto che nelle città capita anche di incontrare persone che non si conoscono; da qui la necessità del diritto, ossia di

trovare regole che non siano soltanto quelle di carattere personale basate sulla fiducia. Il villaggio non è altro che una federazione di

famiglie separate; in questo senso si adatta al villaggio il verso di Omero che dice “ciascuno regna sui figli e sulle moglie” = la

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famiglia è la dimensione esclusiva del potere, dove ciascuno regna sui propri famigliari, e il villaggio non è altro che l'insieme di più

famiglie. Questo verso era stato utilizzato da Omero nell'Odissea a proposito della popolazione dei ciclopi i ciclopi rappresentano

uno sviluppo molto primitivo della socialità, per cui ognuno vive da solo con i propri famigliari: un ciclope rappresenta un grado non

evoluto di organizzazione sociale, dove non c'è solidarietà politica, non c'è una rappresentanza, non ci sono regole comuni (villaggio

estremamente semplice in cui ognuno vive separato dagli altri, solo con i propri figli).

città

La invece è la comunità perfetta (stesso aggettivo che abbiamo trovato in Tommaso), cioè una società che raggiunge il suo fine,

una società compiuta, completa. La comunità perfetta di più villaggi costituisce la città, che ha raggiunto il livello dell'autosufficienza =

in greco. Si tratta cioè di una società che ha in sé il proprio principio, che è autosufficiente: questo significa che la città

autarkeia istituzione naturale

sorge per rendere possibile la vita e sussiste per produrre le condizioni di una vita buona. Per ciò ogni città è una

= una istituzione che non è il frutto solo di un disegno, di un progetto, di un artificio, ma è un'istituzione che in qualche modo gli uomini

attendevano fin dall'inizio; non è dunque un fatto arbitrario, artificiale o che potrebbe esserci o no l'uomo per natura è destinato a

vivere in una comunità, che non è solo la comunità organica e elementare della sua sussistenza, non è solo una comunità in cui è

inserito grazie a rapporti di generazione; l'uomo infatti deve vivere in un ambito più allargato, che corrisponda alla ricchezza e

all'ampiezza delle sue potenzialità (che così possono essere attuate). Sicuramente anche la famiglia o il villaggio sono comunità

naturali, ma solo la città è anche una comunità perfetta. Questo, nella prospettiva di Aristotele, NON significa che la famiglia o il

villaggio debbano essere superati o eliminati; anzi questi ultimi trovano la loro vera collocazione solo in quanto fanno parte di una città,

ossia si re

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Publisher
A.A. 2015-2016
65 pagine
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SSD Scienze giuridiche IUS/20 Filosofia del diritto

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Chiaratognini di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Teoria generale del diritto e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Pavia o del prof Azzoni Giampaolo.