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LA FORMULA DI RADBRUCH
In Germania dopo la seconda guerra mondiale si pone il problema di giudicare tutta una serie di gravi fatti
avvenuti tra il 1933 e il 1945 e si sviluppò una vera e propria giurisprudenza volta a realizzare questo
giudizio. La tipica difesa era “non ho fatto altro che obbedire alle leggi”. In alcuni casi eravamo davvero in
presenza di comportamenti conformi al diritto tedesco:
- caso di una persona che aveva denunciato il collega perché aveva scritto in un bagno pubblico “Hitler è
un carnefice” e per questo fu condannato alla pena di morte e ucciso. All’indomani nel 1946 questo
fatto venne portato in tribunale e ci si pose il problema di come giudicare colui che aveva denunciato il
collega. Costui rispose di aver semplicemente obbedito alle leggi del Reich.
Questo fatto è un fatto emblematico e in Germania si applicò proprio quella dottrina risalente a Tommaso
che distingue i casi in cui una norma di diritto positivo si evidentemente contro le norme di diritto naturale
e i casi in cui è meno stridente questo contrasto.
E allora dobbiamo ricordare un famoso giurista tedesco dell’epoca che è Radbruch egli, interrogato su
à
come dovessero comportarsi i tribunali tedeschi all’indomani della seconda guerra mondiale, formulò un
parere noto proprio come “la formula di Radbruch”. Tale formula consiste in una riflessione sul rapporto tra
certezza e giustizia e afferma che esiste un valore che è il primo valore del diritto ovvero la certezza. Però
ragionare in termini di un solo valore non è il modo di ragionare del giurista non si dà mai un valore che
à
in qualche modo elimini tutti gli altri valori. L’obbedienza è dovuta anche nei casi in cui vi è contrasto con
alcuni precetti secondi mentre la disobbedienza è dovuta quando c’è un contrasto con i precetti primi del
diritto naturale. Occorre obbedire al diritto anche quando è ingiusto purché questa ingiustizia non sia
grave.
“La certezza del diritto non è l’unico valore e neanche quello decisivo la cui realizzazione il diritto debba
promuovere. A fianco della certezza del diritto si presentano piuttosto altri due valori: l’adeguatezza allo
scopo e la giustizia. La certezza del diritto prende una curiosa posizione mediana tra l’adeguatezza allo
scopo e la giustizia. Dove sorge un conflitto fra certezza del diritto e giustizia si ha a che fare in realtà con un
conflitto della giustizia con sé stessa: un conflitto tra giustizia apparente e giustizia reale. Il conflitto tra la
giustizia e la certezza del diritto potrebbe dunque dover essere risolto in un senso tale per cui il diritto
positivo abbia la precedenza, anche quando è, nel suo contenuto ingiusto e inadatto allo scopo, a meno che
il contrasto fra la legge positiva e la giustizia giunga a un grado tale di intollerabilità che la legge, in quanto
“diritto ingiusto” debba arretrare di fronte alla giustizia”.
ART. 1 DELLA COSTITUZIONE TEDESCA E ART. 3 DELLA CARTA DEI DIRITTI FONDAMENTALI
DELL’UNIONE EUROPEA
La carta dei diritti fondamentali dell’UE è un testo che nel sistema delle fonti occupa il posto dei trattati
avendo un valore in qualche misura analogo a quello della costituzione. Tutto il primo titolo è dedicato alla
dignità e l’art. 1 ha come rubrica il titolo “dignità umana” La dignità umana è inviolabile, essa deve
à
essere rispettata e tutelata. Negli ordinamenti costituzionali ritroviamo molto spesso il principio di 30
Syllabus Teoria Generale del Diritto aa. 2016-2017
Camilla Passaniti Prof. G. Azzoni
bilanciamento dei valori. La dignità umana è invece la base stessa dei diritti fondamentali, è l’unico diritto
fondamentale non bilanciabile un ipotetico conflitto tra la dignità umana e altri principi vede la dignità
à
umana avere la meglio. Il problema è che la dignità umana è molto importante ma è molto complesso
determinare che cosa sia perché si tratta di un concetto non giuridico in senso stretto (un concetto che il
diritto ha recepito dalla filosofia).
La dignità umana presenta due aspetti:
- è un diritto fondamentale della persona che altri non può comprimere o offendere;
- aspetto che ha a che fare non con quanto altri fanno ma con quanto facciamo noi stessi tematica di
à
grande attualità è il tema della dignità umana quando riguarda il comportamento altrui, ma quando
riguarda il nostro stesso comportamento.
La dignità umana rispetto al diritto privato attuale può apparire come una sorta di masso erratico à
imponente, ma sostanzialmente estranea al paesaggio che la circonda.
L’impotenza della dignità umana deriva dal rilievo assunto nel costituzionalismo europeo a partire dalla
costituzione tedesca (Grundgesetz) del 1949 fino alla carta di Nizza, dove “la dignità della persona umana
non è soltanto un diritto fondamentale in sé, ma costituisce la base stessa dei diritti fondamentali”.
L’estraneità dipende da una diversità d’origine il concetto di dignità umana deve al diritto la sua fortuna,
à
ma le sue radici sono teologiche e filosofiche, prima che giuridiche.
Un esempio è quello della maternità surrogata (GPA Gestazione per altri). È rispettoso della dignità
à
umana portare avanti una gravidanza per altri?
O ancora è lecita la vendita di un proprio organo non vitale? O ancora la materia della sperimentazione di
farmaci. Oppure posso vendere il mio sangue? Posso cedere il mio latte materno? Posso vendere i miei
capelli? Posso fare un contratto di prostituzione volendolo?
Si tratta di casi che sono accomunati dal fatto di essere atti voluti rispetto ai quali il soggetto ha una precisa
determinazione. Non sono atti imposti, ma contrastano con qualche idea che noi possiamo avere di uomo,
donna, dignità umana ecc.
Sono atti in cui abbiamo una sorta di contrasto con la dignità umana.
IL CASO DEL LANCIO DEL NANO
Il caso più celebre in cui la dignità umana è stata considerata come un limite all’autodeterminazione è
quello del cosiddetto “lancio del nano”. Si tratta di una competizione che pare sia nata in Australia e da lì si
sia diffusa negli USA e negli altri paesi in essa una persona affetta da nanismo, adeguatamente protetta,
à
viene lanciata da un concorrente il più lontano possibile su dei materassi.
I sindaci di alcuni comuni francesi vietarono lo spettacolo. Contro tali decisioni la società organizzatrice e la
stessa persona che veniva lanciata si rivolsero ai tribunali amministrativi di Versailles e di Marsiglia che
diedero loro ragione, annullando i divieti e condannando al risarcimento dei danni.
La questione venne poi esaminata in secondo grado dal Consiglio di Stato francese nel 1995 che annullò le
decisioni dei tribunali amministrativi confermando la legittimità dei divieti. La sentenza si basava
totalmente attorno al concetto di dignità umana.
La pronuncia del Consiglio di Stato è rilevante in quanto basata sul rispetto della dignità umana che dopo
essere stata riconosciuta come un principio avente valore costituzionale, per la prima volta in Francia, viene
ritenuta una componente essenziale dell’ordine pubblico integrando la tradizionale triade “securité,
tranquillité e salubrité publique”. La dignità umana veniva offesa perché l’uomo veniva utilizzato solo come
mezzo, come se fosse un oggetto. E dunque veniva svilita l’intera categoria cui i nani appartenevano.
LE RAGIONI DI CHI VIETO’ IL LANCIO DEL NANO E LE RAGIONI DEI NANI CHE LO DIFENDEVANO.
LA VICENDA GIURISPRUDENZIALE
Le argomentazioni del Consiglio di Stato sono in uno stile tipicamente kantiano: il lancio del nano porta a
utilizzare come un proiettile una persona affetta da un handicap fisico e presentata come tale e ciò attenta
alla dignità umana.
A giudizio del Consiglio di Stato, essendo la dignità umana parte dell’ordine pubblico, qualora essa possa
essere offesa, si giustifica il divieto di attività altrimenti lecite, anche se così vengono compresse la libertà di
lavoro e la libertà di commercio e dell’industria. 31
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La persona che veniva lanciata lamento una violazione del proprio diritto al lavoro e quindi alla propria
dignità (i nani erano assolutamente d’accordo con la procedura); si rivolse pertanto alle Nazioni Unite
accusando la Francia di aver violato nei suoi confronti l’art. 26 del “Patto internazionale sui diritti civili e
politici” (divieto di discriminazione). Il comitato dei diritti dell’uomo ha prodotto un’articolata ed
interessante decisione in cui afferma che tale interdizione è stata necessaria al fine di proteggere l’ordine
pubblico viste le considerazioni sul concetto di dignità umana.
Va infine detto che in altri paesi del mondo altre persone affette da nanismo e diverse associazioni che le
difendono hanno chiesto di vietare lo spettacolo del lancio del nano.
Questa vicenda ci insegna che l’autodeterminazione, la volontà personale, incontra comunque un limite
nella dignità umana le persone anche se esercitano un diritto e anche se sono adulte esattamente come
à
non possono vendere un rene così non possono essere lanciate umiliando sé stesse e la categoria.
[opinione 1 hanno ragione i comuni perché i nani abusano di una loro qualità fisica]
à
[opinione 2 nani sono una categoria emarginata e questo è un lavoro per cui c’è una domanda]
ài
[opinione 3 rispetto (attenzione che si deve alle persone), se noi lanciamo dei nani anche consenzienti in
à
qualche modo veniamo meno al rispetto dovuto alla persona umana]
L’art. 5 del codice civile vieta tutti quegli atti di disposizione del proprio corpo che cagionino una
diminuzione permanete dell’integrità fisica ma anche tutti gli atti che sono contrari alla legge, all’ordine
pubblico e al buon costume.
IL CASO OMEGA
Paradigmatica dell’orientamento secondo cui la dignità umana si configura come limite
all’autodeterminazione è la sentenza che viene ancora oggi considerata il punto di riferimento in tema di
tutela della dignità nell’UE, cioè quella pronunciata nel 2004 dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea nel
cosiddetto “caso Omega”. In questione era un gioco che avveniva in una speciale arena in cui i partecipanti
simulavano omicidi attravers